Giovanni Toti e Silvio Berlusconi

berlusconi

No, stavolta non li cacci

Redazione

Non s’è visto mai né mai si vedrà, dentro a Forza Italia, un Gianni Cuperlo del berlusconismo. Perché una minoranza interna a Forza Italia sarebbe una bella idea. Non necessariamente noiosa e spocchiosa come quella del Pd, se possibile.

Siccome lo stile è lo stile, e ognuno ha il suo, compresi i partiti politici, non s’è visto mai né mai si vedrà, dentro a Forza Italia, un signore felpato e che sembra sempre appena uscito da un salone del  libro impancarsi a leader di una minoranza interna e sputare sentenze sul “partito estinto”. Insomma un Gianni Cuperlo del berlusconismo, capo di una cordata di vecchi notabili, criticoni e rosiconi, non si dà. Nel centrodestra la tradizione parla piuttosto di piccoli leader che vorrebbero prendere il posto del capo, e a un certo punto tirano su il ditino e dicono: “Che fai, mi cacci?”, un minuto prima di essere cacciati a pedate. Insomma i Fini e gli Alfano, se ve li ricordate. Eppure questa volta, nel nuovo rimescolamento o rilancio o rinascita che dir si voglia di Forza Italia, se dovessimo dare un consiglio al Cavaliere, gli diremmo di tenersela, anzi di coltivarsela, una minoranza interna. Non necessariamente noiosa e spocchiosa come quella del Pd,  ma nel passaggio che Stefano Parisi intende proporre a Forza Italia e al centrodestra in generale – riunire i moderati su un programma liberal-popolare e riformista, alternativo a Renzi ma anche alla destra lepenista – una minoranza dissenziente interna dovrebbe avere il suo posto.

 

Per prima cosa, perché già esiste. Basta ascoltare il governatore della Liguria, Giovanni Toti, a una festa della Lega: “Ero già confuso prima, ma dopo aver letto le interviste e i discorsi di Stefano Parisi mi sono confuso ancor di più. Però può darsi che non abbia capito io”. Anche Toti, in passato, aveva ricevuto mandato di “coordinare” il magma di Forza Italia. Dunque è comprensibile che ora dica, un po’ irritato: “Non so qual è il mandato che Berlusconi ha affidato a Parisi anche perché si sono parlati solo loro due”. Ma non sono soltanto personalismi, e sarebbe un errore considerarli tali. Oltre a Toti, da Renato Brunetta a Paolo Romani a Mariastella Gelmini sono in molti, nel partito, a non condividere appieno il nuovo corso. Per paura che sia troppo moderato, quindi incapace di intercettare il voto anti renziano; per paura di spezzare l’alleanza promettente con Matteo Salvini; per paura di ritrovarsi impantanati in un simil-patto del Nazareno. “Ventilare coalizioni neocentriste non porta da nessuna parte”, per usare ancora le parole di Toti. Sono posizioni con un loro peso specifico, e opinioni presenti nell’elettorato di riferimento di un grande partito. Non è tradizione, dicevamo, di un sistema leaderistico come è stato finora FI confrontarsi con minoranze interne e magari persino votare mozioni contrapposte. Ma lo sforzo di tenere insieme più punti di vista, rendere contendibili decisioni e programmi, e misurarne i risultati, potrebbe diventare una risorsa per un centrodestra che in passato è stato troppo diviso. Non li cacci, Cavaliere.