Platone ha ragione: basta Cocoricò

Camillo Langone
Quattro mesi di chiusura per la discoteca in cui i minori sballano fino a morire? Troppo pochi, oppure entrino solo quarantenni. Quando sei giovane non puoi aggiungere fuoco al fuoco, l’ebbrezza è un dono per la vecchiaia.

Non per quattro mesi ma per quattro anni dovevano chiuderlo, il Cocoricò. O farlo riaprire prima, dopo il giusto periodo di lutto per la morte del ragazzo di Città di Castello, però con ingresso vietato ai minori di anni 40. Perché Platone ha ragione: “Ai ragazzi di meno di diciotto anni non sarà permesso di assaggiare il vino, perché non è bene aggiungere fuoco al fuoco. L’uomo giovane deve astenersi dall’ubriachezza. Ma quando un uomo entra nel suo quarantesimo anno può invitare Dioniso a partecipare al sacro rito dei vecchi che il dio stesso ha donato agli uomini per alleggerire il loro fardello, ossia il vino, il rimedio contro i malumori della vecchiaia per mezzo del quale possiamo rinnovare la nostra giovinezza”. Qui il filosofo greco è più pragmatico del solito e ci offre un insegnamento temo troppo difficile da capire per il nostro tempo così ottuso, manicheo e ideologico (la dichiarazione di guerra di Obama ai cambiamenti climatici conferma l’estinzione del buon senso in occidente).

 

Che l’ebbrezza sia pericolosa per tutti ma per i giovani di più dovrebbe risultare evidente. Perché un ragazzo non la sa gestire. Perché crede di non avere niente da perdere. Perché vi getta dentro le sue esuberanti energie (il fuoco che si aggiunge al fuoco…). L’uomo adulto ha quasi sempre un lavoro, spesso qualche bene al sole, vecchi genitori a cui non dare ulteriori dispiaceri, figli che hanno bisogno di lui, insomma una ragnatela di doveri che lo aiuta se non altro a fare attenzione alle dosi. Fino ai fatali anni Sessanta la droga non aveva una speciale connotazione giovanile: D’Annunzio cominciò a tirare coca a Fiume e quindi ben oltre i cinquant’anni, Cocteau fu oppiomane fino a tarda età, Jünger sperimentò per la prima volta l’Lsd verso i sessanta… Siccome Platone ha ragione sono tutti sopravvissuti piuttosto bene (Jünger benissimo) a tali licenze. Appunto perché Platone ha ragione un locale per drogati sedicenni non si può sentire. Non si può sentire la definizione di “enormità” per la chiusura di una discoteca che in poco più di dieci anni ha prodotto tre cadaveri, un trapianto di fegato e innumerevoli ospedalizzazioni. Si impasticcheranno da altre parti? Quasi certamente. Ma un giro di vite andava dato, se non altro per aumentare i prezzi rendendo le dosi meno accessibili (pare che l’ecstasy costi appena 15-20 euri) e per ravvivare l’attenzione dei gestori rendendo i locali meno permeabili (ti muore qualcuno nei cessi? Non pensare di cavartela dicendo che “il problema è culturale”). Nessun localaro è innocente, tantomeno se chiama Morphine il proprio privé (“quello dove i rischi e le situazioni musicali pericolose sono più amate e cercate” trovo scritto sul sito della discoteca). Dal punto di vista della stupefazione anche i generi musicali hanno le loro colpe: il reggae chiama la marijuana, la psichedelia l’Lsd e i funghetti, il punk e il grunge l’eroina, l’edm l’mdma… L’unico rock pulito è il christian rock, che infatti è noiosissimo.

 

Al Cocoricò non ho mai messo piede e non solo per il nome ridicolo. Me ne parlava Isabella Santacroce quando eravamo amici (poi divenne animalista e cominciò a inveire contro chi mangia agnello a Pasqua), ci aveva lavorato e forse ci stava ancora lavorando ma il dionisismo di massa mi ha sempre intimorito, anche prima di leggere René Girard percepivo l’incombere del sacrificio umano. Anni prima avevo frequentato la Villa delle Rose, uno dei posti dove gli orfani del Cocco si riverseranno, e mi era stato sufficiente. Fu in quel periodo che cominciai a considerare uno dei più bei testi della canzone italiana di sempre “Il mare d’inverno” di Enrico Ruggeri: “Discoteche illuminate piene di bugie”.

 

[**Video_box_2**]Se il nostro tempo non fosse così ottuso, manicheo e ideologico, dal caso Riccione si potrebbe ricavare che la distinzione fra droghe leggere e droghe pesanti è vecchia ma non obsoleta. Mai sentito di ragazzi uccisi dalla cannabis: instupiditi magari, uccisi no. E invece la tragedia del ragazzo di Città di Castello viene usata dai politici per continuare a fare di ogni droga un fascio, per continuare a vietare tutto che è il modo migliore per consentire tutto. Un governo che non sembra avere Platone come pensatore di riferimento, e nemmeno Aristotele, in Romagna chiude le discoteche mentre in Sicilia lascia sbarcare ogni giorno nuovi spacciatori. Tuttavia credo che i quattro mesi siano meglio di niente. Anche fosse modesta l’utilità pratica della chiusura del Cocoricò, grande sarà il suo valore morale: per quattro mesi ci si ricorderà di un ragazzo che avrebbe dovuto cominciare a drogarsi fra ventiquattro anni.

 

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  • Camillo Langone
  • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).