La protesta di alcuni genitori davanti alla scuola di Perignano-Casciana Terme Lari

La grottesca laïcité à l'italienne

Matteo Matzuzzi

Il vade retro al prete che voleva benedire una scuola in Toscana. Le circolari della preside, i picchetti dei genitori (anche musulmani), i pronunciamenti in stile Comintern dei Cobas. Storie e follie multiculti

Alla fine, la benedizione nella scuola primaria di Perignano, frazione del comune di Casciana Terme Lari, provincia di Pisa, s’è fatta. Anche se non come avvenuto negli ultimi trentatré anni, visto che il parroco, don Armando Zappolini, non ha potuto accedere alle aule. Acqua santa solo nell’atrio, in modo simbolico. E solo sulle teste dei cattolici, precedentemente separati dagli altri bambini e radunati in aula magna. Di celebrare la messa pasquale nella palestra di Casciana, come s’è sempre fatto, neanche a parlarne: dopo riunioni, assemblee e proposte di mediazione, non se n’è fatto nulla. La preside, Angela Gadducci, ha deciso che non si può, e davanti ai sit-in di genitori, bambini e anziani del luogo incuriositi dal gran baccano, ha giurato di non aver nulla contro la religione cattolica. Anzi, “sono credente praticante”, ha confessato. Il problema è che la Corte costituzionale e il Consiglio di stato e le circolari ministeriali affermano senza ombra di dubbio che lo stato è laico e che nulla che abbia a che fare con madonne, santi e padreterni può interrompere la sacralità della lezione (le okkupazioni, a quanto pare, sì). La colpa sembra essere tutta di don Armando, che “non ha presentato la richiesta d’autorizzazione” per poter procedere al tradizionale rito. Niente domanda, niente acquasantiera a scuola. Il consiglio di istituto, subito convocato “d’urgenza”, ha ratificato la decisione, precisando che non c’è stata nessuna votazione, visto che il sacerdote aveva mancato di inoltrare la regolare documentazione. Questione di mera burocrazia, insomma, ma anche la considerazione che la scuola è laica e c’è da rispettare anche chi non crede o crede in altre divinità. Per quest’anno è andata così, per il prossimo si vedrà: è allo studio l’ipotesi di “permettere agli esponenti di qualsiasi religione di poter procedere con una richiesta di celebrazione all’interno della scuola”, ha spiegato la presidente del consiglio d’istituto. Per le modalità c’è tempo.

 

Ma a don Armando l’intera vicenda non è andata giù, e davanti ai parrocchiani riuniti in chiesa, lo scorso 31 marzo, alla vigilia della Settimana santa, ha detto: “Mi hanno chiuso le porte della scuola. Non potrò recarmi a benedire i vostri figli come ho sempre fatto”. Il mattino dopo, come i parigini rabbiosi giunti nel 1789 con picche e forche fin sotto l’aurea cancellata di Versailles, reclamando la parrucca di Luigi Capeto e della di lui consorte Maria Antonietta, schiere di genitori d’ogni colore politico e credo religioso si sono ritrovati davanti all’istituto reclamando la benedizione. Il governatore toscano, Enrico Rossi, s’è schierato dalle parti del parroco: “Un’idea astratta di multiculturalismo e pluralismo religioso non favorisce il rispetto e il dialogo tra diversi e rischia di suscitare paure e reazioni negative”. Perfino una donna islamica, ha scritto il Tirreno, ha alzato la voce contro la preside: “Mio figlio è musulmano ma vorrei ugualmente che ricevesse la benedizione. In questo modo si rischia di insegnare il razzismo ai bambini già nei loro primi anni di età”. I Cobas del pubblico impiego hanno preso, naturalmente, subito le difese della dirigente scolastica con toni da brigata partigiana rossa saltata fuori da un libro di storia: “Solidarizziamo con la preside e non con un prete che ha il sostegno delle destre e del Pd”. Visto che c’era, il sindacato – emulando le direttive della Federazione del libero pensiero così attiva in Francia – ha anche chiesto che vengano tolti i crocifissi dalle aule, “dal momento che non hanno nulla a che fare con la tradizione”. I Cobas attaccano direttamente il parroco, che ha osato presentarsi fuori dalla scuola con i paramenti sacri indossati (cotta e stola bianca): “Un prete con il sostegno del Pd e delle destre diventa il paladino della benedizione delle scuole dimenticando che sul territorio ci sarebbero da fare ben altre cose a sostegno di famiglie che non arrivano più a fine mese, di aziende chiuse per la prepotenza padronale ma non prima di avere beneficiato di ammortizzatori sociali e aiuti dalle istituzioni locali”, recita il comunicato che parrebbe vergato da Nicolae Ceausescu in persona, trenta o quarant’anni fa, prima di essere processato e fucilato da quelli che la moglie Elena continuava a chiamare fino all’ultimo “i miei figli”. La tradizione, semmai, prosegue la nota sindacale, “è quella della chiesa che ha benedetto le camicie nere fino al 1943”.

 

[**Video_box_2**]Osservazioni quantomeno avventate, visto che tutto si può dire di don Armando Zappolini tranne che sia una sorta di fiancheggiatore salviniano pronto a benedire la demolizione dei campi rom da un capo all’altro della penisola. Tutt’altro. E’ uomo dalle idee alquanto originali. Anni fa, gli toccò ricevere perfino una ramanzina dal Vaticano, che gli imputava di aver adibito la canonica a scuola di formazione islamica, una specie di madrasa nei sobborghi pisani: “Questo richiamo non era una cosa leggera. Se ce ne fosse stato un altro, non sarei più stato un prete”. Lui  assicura di non voler tutelare una religione piuttosto che un’altra, neppure la cattolica di cui è (dopotutto) ministro: “Esistono tante religioni ma un solo Dio. E io sono pure favorevole a concedere la cittadinanza anche agli stranieri”. Al quotidiano online Quinews spiega che è assurdo dipingerlo come un crociato o, peggio, come un prete dedito al proselitismo nelle scuole – Blaise Pascal, probabilmente, gli avrebbe dato del lassista. Quel che è importante, dice, è “rispettare le tradizioni, e la preside non l’ha fatto”. Un po’ come i gesuiti con i riti malabarici e cinesi nel Seicento, insomma. Il dirigente scolastico avrebbe potuto prendere esempio proprio da don Armando, che quando si trovava in Burkina Faso si unì al saluto collettivo di un padre di famiglia che tornava dal pellegrinaggio alla Mecca prescritto dal Corano: “Corsi con tutto il paese a omaggiarlo. Mi unii di buon grado alla festa e al saluto collettivo”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.