Ferdinando Uliano

Landini turbofazioso

Luciano Capone
“Meglio il Jobs Act del populismo. Vedi il caso Fiat”, ci dice Uliano, leader dei metalmeccanici Cisl

Milano. Stessa piazza (del Popolo), stessa felpa, stessa onnipresenza televisiva, stessa protesta. Ferdinando Uliano, segretario nazionale della Fim – il sindacato dei metalmeccanici della Cisl – e uno degli artefici degli accordi in Fiat con Sergio Marchionne, paragona l’attivismo politico del capo della Fiom Maurizio Landini a quello del leader della Lega Matteo Salvini: “Tutti e due lavorano sullo stesso piano, il piano della protesta politica senza alcuna proposta. Conviene fare i populisti, ma Landini e Salvini sanno che anche se andassero al governo non potrebbero cancellare la riforma Fornero. Per riformare bisogna guardare alla realtà, occorre scrostare situazioni che tengono fermo il paese, la conservazione non serve e Landini in questi anni ha detto solo di no”.

 

Uliano si è a lungo scontrato con le posizioni radicali della Fiom sulla ristrutturazione della Fiat e sulla cura Marchionne ed è convinto che lo spostamento sul terreno prettamente politico del sindacato di Landini con la sua “Coalizione sociale” nasca proprio da quella frattura: “Avendo ricevuto una sconfitta nel primo accordo di Pomigliano, sia dal voto dei sindacati sia poi con il referendum dei lavoratori – dice al Foglio Uliano – E visto che nelle fabbriche non trovava più consenso, la Fiom ha utilizzato la compiacenza dei mezzi di informazione a cui piaceva il paradigma del sindacalista buono contro la Fiat cattiva per spostare lo scontro sul piano mediatico”. L’Espresso ha documentato come in questi anni il sindacato di Landini abbia perso oltre 10 mila iscritti (più o meno gli stessi che ha guadagnato la Fim-Cisl) e abbia registrato un calo notevole nelle elezioni delle Rappresentanze sindacali unitarie (Rsu) di molte fabbriche del paese. Il flop più clamoroso è quello in Fiat, dove gli scioperi della Fiom contro gli straordinari hanno registrato adesioni dello zerovirgola: “Pure sabato scorso a Pomigliano hanno scioperato in 6, alla Sevel le adesioni sono state del 2-3 per cento, a Melfi hanno aderito in 29. Landini ha disturbato Trentin per giustificare le proprie posizioni, ma quei sindacalisti non si sognavano nemmeno di non considerare il fallimento di un’azione di sciopero.

 

[**Video_box_2**]Da sempre il sindacato quando uno sciopero fallisce fa autocritica e si chiede come mai la base va da un’altra parte, Landini per Pomigliano ha addirittura dichiarato al mondo che già sapeva che lo sciopero sarebbe stato un fallimento, e il fatto che si continui su questa linea lascia perplessi”. La Coalizione sociale per Uliano non è altro che il proseguimento della lotta iniziata in Fiat e l’abbandono della logica sindacale per entrare nel campo della lotta politica: “Una volta che Landini ha visto le proprie iniziative sindacali disertate dai lavoratori, ha iniziato a intercettare il consenso di soggetti terzi, ma in passato queste cose non hanno avuto grandi effetti sindacali, sono però servite a lanciare i sindacalisti sul piano politico. Questa operazione è una partita politica, o al massimo una lotta interna alla Cgil, ma non ha a che fare con gli interessi dei lavoratori”. Il responsabile dell’automotive della Cisl rivendica il ruolo dei sindacati riformisti nel processo che ha portato Fiat ad assumere di nuovo: “Pomigliano è il primo caso in cui un’industria sposta la produzione dalla Polonia all’Italia, in questi anni è accaduto sempre il contrario. Mentre Landini fino a pochi mesi fa continuava a dire che la Fiat andava via dall’Italia, con i nostri accordi abbiamo difeso i livelli occupazionali e determinato le condizioni per nuovi investimenti. Per un sindacalista firmare accordi e concretizzare le richieste è necessario come il pane, per un politico basta testimoniare la propria contrarietà e Landini sta assumendo sempre più connotazioni politiche”. La scelta del terreno politico e della piazza “rischia di distogliere il paese dalla centralità dell’industria per finire a parlare delle alchimie politiche della nuova sinistra, e fa sì che si resti nel solco di un sindacato legato alla conservazione, incapace di innovarsi ed entrare nel merito dei problemi di un mondo del lavoro che cambia”. Tipo? “Il fatto di non vedere che nel Jobs Act si riconsegna ai giovani una possibilità di futuro attraverso una prevalenza dei contratti a tempo indeterminato è davvero cecità, come si fa a non vederlo?”.

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali