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Ma quanto ci costano tre mesi di vacanza? Indagine tra mamme in carriera

Marianna Rizzini
Tre mesi di vacanza son forse troppi? Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti pensa di sì, ed è tutto un dibattere tra prof. (che protestano), studenti (che protestano) e intellettuali che si dividono.

Roma. C’è chi, a dodici anni, nei tre mesi di vacanze estive, ha letto di fila tutti i gialli di Agatha Christie, e nella controra, con canto di cicale in sottofondo, la noia veniva sconfitta dall’intreccio: le piramidi con l’assassino nascosto dietro la mummia, il treno, Miss Marple, le uova a colazione di Hercule Poirot, l’isola greca con il cattivo che trama dalla cima della scogliera. E c’è chi, nei pomeriggi d’estate, ha visto qualsiasi mondiale di sport anche sconosciuti sul televisore portatile, con i nonni addormentati in cabina. C’è chi ha giocato a ping-pong e chi ha guardato le versioni estive dei programmi tv, provando balletti davanti allo schermo, come fa (ma d’inverno) la ragazzina di “1992”, la serie tv su Tangentopoli (su Sky Atlantic, da ieri), che si piazza a casa del padre assente e non fa nulla, nell’età in cui non si vuole fare nulla, imitando però quelle di “Non è la Rai”.

 

Ma tre mesi di vacanza son forse troppi? Il ministro del Lavoro Giuliano Poletti pensa di sì, ed è tutto un dibattere tra prof. (che protestano), studenti (che protestano) e intellettuali che si dividono in “mozione Cacciari” (Massimo, sul Fatto di ieri: “Trogloditi, ragionate peggio di Brunetta”) e in “mozione De Mauro” (Tullio, sempre sul Fatto di ieri: “Buona idea, se riposi a lungo impari meno”). A monte della querelle, c’è la categoria di persone per cui i tre mesi di vacanza (due all’asilo), con scuole chiuse, rappresentano il momento del massimo esercizio creativo familiare ed extrafamiliare. Orde di genitori lavoratori (e sono i fortunati) ricordano con terrore quei tardi pomeriggi di luglio, stipati sul treno della speranza, in piedi come su un autobus lungo la tratta per il mare, tra borsoni altrui, in corsa verso il bimbo rimasto con nonno, nonna, tata, vicetata, vicenonna o zia laggiù sul litorale – per non dire di quei lunedì mattina all’alba, percorso inverso, sempre stipati e sempre in piedi, con (in più) l’incombenza di lavoro da sbrigare senza copertura wifi (e senza aria condizionata o con l’aria condizionata gelata). E se la tata non può? E se il nonno si scoccia? E se il bambino diventa ingestibile? Si pensa allora di ridurre il danno ricorrendo, almeno per un mese, al centro estivo in città, carissimo – e questi sono sempre i fortunati (dal punto di vista economico). Ma che cosa dicono alcune madri lavoratrici (categoria “fortunate” ma “affannate”)? “Sicuramente il tema c’è”, scherza Elisabetta Gualmini, politologa ma anche autrice di “Le mamme ce la fanno” (Mondadori), al pensiero di quei “tre mesi che terrorizzano qualunque genitore”. Non avendo nonni in città, Gualmini d’estate “si arrabatta”, percorrendo in media quattro ore al giorno in macchina, tra andata e ritorno dal paese sull’appennino dove lascia i due bambini, senza però mai trascorrere lontano da loro più di una notte di seguito. Centro estivo (per lei) vade retro: “Sono così stanchi quando finiscono la scuola che preferisco diventare matta io. E credo possa servire  anche quel periodo di vita non telecomandata, buttati su un divano a guardare il soffitto”.

 

[**Video_box_2**]La deputata di Ncd ed ex ministro Nunzia De Girolamo dice che se entrambi nella coppia lavorano “il problema c’è”, ma che lei è “certamente fortunata ad avere due genitori ancora giovani per i quali prendersi cura di Gea nel periodo estivo è un grande piacere e al contempo una grande fatica”, e che “il dramma” è per lei, che “deve stare lontana”. Il titolo della sua “slide”, dice, è quindi “viva i nonni”, “l’unico sistema di welfare che funzioni”. Nonni tuttofare e “molto attivi” pure per Sarah Varetto, direttore di Skytg24, che d’estate va avanti e indietro dalla casa sul litorale dove lascia i due figli piccoli. E però, dice, “nel caso di un adolescente, non vedo perché non si debba fare un’esperienza professionale o di formazione durante l’estate, per vedere come funziona il mondo del lavoro, per imparare una lingua, magari per capire che si preferisce studiare ancora un po’. Io, al liceo, d’estate ho sempre lavorato, e non me ne sono mai pentita”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.