Come si mette in regola l'islam?

Matteo Matzuzzi

La storia della legge austriaca, il ruolo degli imam e la bomba culturale nel cuore dell’Europa

Roma. Ci sono voluti due anni, ma alla fine il Parlamento di Vienna ha approvato la nuova legge che regola i rapporti con le 450 organizzazioni islamiche presenti sul suolo nazionale.  La vecchia, del 1912, era stata firmata dall’ottuagenario Kaiser Cecco Beppe quando ancora esisteva l’impero e gli Asburgo erano i padroni di mezzo continente. A velocizzare l’iter, forse, è stata anche la presa d’atto che il Centro per il dialogo interreligioso inaugurato tre anni fa a Vienna (e finanziariamente sostenuto dalla famiglia reale saudita) ha evitato di esprimersi sulla condanna a mille frustate del blogger Raif Badawi, colpevole “d’aver creato un sito liberale”. L’estrema destra ha votato contro quello che definisce un placebo: “L’islam non appartiene all’Austria, né sul piano culturale né su quello storico”, ha detto il suo leader, Heinz-Christian Strache.

 

“Andavano messi al bando burqa e minareti”, qui invece “c’è perfino il menù halal per i carcerati”, hanno aggiunto in coro i suoi più autorevoli esponenti. Per il ventottenne ministro degli Esteri, il popolare Sebastian Kurz – convinto che ora le organizzazioni musulmane saranno chiamate a “dimostrare un positivo approccio verso la società e lo stato” – “potrà nascere un islam in stile austriaco”. Ma a tanti membri della fiorente comunità musulmana del paese alpino – rappresenta il sette per cento della popolazione – la legge non va proprio giù. Due sono i punti contestati: l’obbligo per gli imam di saper parlare tedesco e, soprattutto, lo stop ai finanziamenti provenienti dall’estero. “Il tentativo di creare un ‘islam austrian-style’ ignora la necessità di promuovere la diversità religiosa e il mutuo rispetto”, ha denunciato l’Unione turco-islamica che ha base a due passi dal Ring viennese: “La legge sull’islam è stata trasformata in una legge sulla sicurezza”. Sfumatura, questa, che pare essere però apprezzata dai cittadini austriaci visto che, stando a un sondaggio della tv pubblica, ben il 58 per cento di loro coglie una certa radicalizzazione tra i vicini di casa musulmani. Ma è dall’estero che sono arrivate le critiche più dure, e in particolare dalla Turchia. Il responsabile per gli Affari religiosi, Mehmet Görmez – colui che lo scorso agosto aveva chiesto al Papa di denunciare gli attacchi alle moschee in Europa – ha ammonito i governanti europei: “Gli sforzi dei leader nazionali di creare la loro versione di islam sono vani, visto che la religione non è una questione d’ingegneria. Questi sforzi porteranno l’Europa in un vicolo cieco, mentre dovrebbero concentrarsi di più sui problemi che scaturiscono dalle politiche di integrazione, sull’indebolimento della cultura della convivenza e prendere precauzioni più serie contro l’avanzare dell’islamofobia”.

 

Il fatto è che, come ha scritto il quotidiano Daily Sabah, “la legge mette al bando il dipartimento per gli Affari religiosi di Ankara, visto che non potrà più fornire assistenza finanziaria, inviare pubblicazioni ai musulmani al di fuori del paese e formare in patria gli imam” da spedire tra Klagenfurt, Graz e Salisburgo. E questo, chiarisce il Daily Sabah, è “una bomba a orologeria messa nel cuore d’Europa”, dopo che “negli ultimi quarant’anni la Turchia ha mandato imam moderati a condurre le preghiere in duecento moschee d’Austria”.

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  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.