Il capo dei servizi segreti turchi Hakan Fidan

Ascesa e progetti di Fidan, l'ex 007 di Erdogan che può diventare il suo erede politico

Dario D'Urso

L’arrivo del taciturno Fidan nell’agone politico di Ankara scopre alcuni tasselli fondamentali per comprendere la direzione che Erdogan intende dare alla Turchia.

Fidan è considerato un fedelissimo del presidente, cui deve la sua folgorante carriera: dopo averlo notato come capo della TIKA (l’agenzia governativa turca di aiuto allo sviluppo e influente strumento di politica estera soprattutto in Africa e Asia Centrale), Erdogan lo chiamò nel 2007 nell’Ufficio del Primo Ministro come vice-sottosegretario agli affari internazionali per poi nominarlo – nel 2010 – a capo del MIT. Nella sua nuova veste, Fidan ha svolto con assoluta discrezione il compito di “braccio operativo” di alcune delle policies più controverse dell’allora premier, come il temporaneo allineamento all’Iran – secondo alcune fonti statunitensi, avrebbe passato a Teheran dossier della CIA sulla Repubblica Islamica – e, soprattutto, la fornitura indiscriminata di armamenti e supporto logistico ai jihadisti di Jabhat al-Nusra, considerati a lungo da Ankara come gli oppositori militarmente più efficaci al regime di Bashar al-Assad. Sul fronte domestico, Fidan ha condotto in prima persona parte dei recenti negoziati con Abdullah Ocalan e la leadership del PKK, negoziati con cui l’AKP intende porre la parola fine alla questione curda in Turchia. Il coinvolgimento del leader del MIT nel cosiddetto processo di Oslo (la capitale norvegese è stata la sede di alcuni colloqui) ha fornito il pretesto affinché, nel 2012, una corte speciale interrogasse Fidan col sospetto di collusione al PKK, episodio che ha ufficialmente sancito la guerra aperta tra l’establishment dell’AKP e il “Servizio”, il movimento del predicatore Fethullah Gulen sospettato di avere importanti ramificazioni proprio nella magistratura. La lotta senza quartiere contro le presunte infiltrazioni “golpiste” del Servizio negli organi dello Stato e nei media è da allora divenuta prerogativa del MIT. 

 

Le dimissioni di Fidan aprono scenari di importanza critica per definire le prossime mosse della Turchia di Erdogan. Per quanto quest’ultimo abbia in un paio di occasioni esplicitato la propria contrarietà alle dimissioni del suo protetto dal MIT per un ingresso in politica, sono in molti a ritenere il presidente l’artefice principale della sua decisione. Erdogan potrebbe puntare ad avere l’ex capo dell’intelligence come prossimo primo ministro dopo la scontata vittoria elettorale del 7 giugno: la scelta di Fidan di sottoporsi al test elettorale fornisce un indizio in questo senso, dato che, secondo la Costituzione turca, il premier deve essere necessariamente nominato tra i deputati.

 

[**Video_box_2**]Avere il leale Fidan a capo del governo darebbe a Erdogan due importanti garanzie. Da un lato, la copertura politica alla prosecuzione delle strategie esterne di Ankara in un momento di pressoché totale isolamento regionale, specie dopo che l’unico alleato tattico rimasto – il Qatar – è tornato all’ovile saudita cercando la riappacificazione con l’Egitto. Dall’altro, Fidan premier potrebbe sostenere senza riserve il grande disegno di Erdogan sul fronte domestico: il completamento della trasformazione della Turchia in una piena repubblica presidenziale. Stando ad alcuni commentatori, l’attuale premier Davutoglu non si sarebbe dimostrato sufficientemente entusiasta verso un rafforzamento dei poteri presidenziali, avendo già tradito una certa insofferenza alle pesanti incursioni di Erdogan nella vita del suo esecutivo. Fidan – il “mio custode dei segreti”, come l’ha definito una volta il presidente – rappresenta oggi la migliore garanzia sul mercato per raccogliere l’eredità di Erdogan e per portare Ankara un altro passo più lontano da noi.

 

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