Perché in Italia si fanno così pochi figli (e come se ne può uscire)

Roberto Volpi

Le nascite si sono fermate nel 2014 a 509 mila, 5 mila in meno rispetto al 2013, nuovo record negativo nella storia d’Italia. Non sono dati definitivi, sono delle stime, ma hanno margini minimi di oscillazione, e dunque sui dati appena pubblicati dall’Istat sotto il titolo di “Indicatori demografici. Stime per l’anno 2014” si può contare a occhi chiusi.

Ma chi è Giorgio Alleva,  Speedy Gonzales? Forse no, ma certo che si sta cavando le sue belle soddisfazioni. Come abbia fatto a pubblicare i dati demografici del 2014 già agli inizi di quest’anno, e per la precisione il 12 febbraio 2015, quando mediamente occorre aspettare giugno-luglio per avere i dati dell’anno prima, è quasi un mistero. Quasi. Perché quei dati che ci dicono, per esempio, che le nascite si sono fermate nel 2014 a 509 mila, 5 mila in meno rispetto al 2013, nuovo record negativo nella storia d’Italia, non sono definitivi, sono delle stime. Però il colpaccio c’è, anche perché le stime hanno margini minimi di oscillazione, e dunque sui dati appena pubblicati dall’Istat sotto il titolo di “Indicatori demografici. Stime per l’anno 2014” si può contare a occhi chiusi. Diavolo d’un Alleva, presidente del nostro Istituto centrale di statistica dal 15 luglio 2014, contro la cui nomina si levarono le proteste di quei superciliosi degli economisti de La Voce, che lo bollarono come unfit to lead Istat. Unfit un cappero, il nostro sta sveltendo tutto, da quelle parti. Ottimo e abbondante. Ma entriamo nel merito.

 

Quasi 61milioni di abitanti, e poco più di mezzo milione di nascite. Il dato è terrificante per un verso, consolante per l’altro. Terrificante: siamo a un quoziente di natalità pari a 8,2 nascite all’anno per 1.000 abitanti, di gran lunga il peggior risultato mai incamerato, tra i peggiori del mondo, perfino tra i peggiori immaginabili. E infatti, provate a immaginare un vivace comune di 10mila abitanti, di quelli di medie dimensioni che fanno la fortuna dell’Italia, perché in tutti i sensi i più vitali. E ora metteteci un’ottantina di nascite appena, in un anno. Capirete meglio che, demograficamente parlando, il nostro è un paese agli sgoccioli. E infatti in quel comune si avranno decisamente più morti che nascite, così come a livello nazionale a poco più di mezzo milione di nascite corrisponderanno quasi 600mila morti, 90mila in più delle nascite. Ma anche consolante, perché ad agosto del 2014 le nascite stavano a meno 9 mila rispetto al periodo gennaio-agosto 2013 ed era prevedibile una contrazione finale annua non di 5 mila, com’è stata, ma almeno doppia, se non addirittura tripla. Ciò vuol dire che nel quadrimestre settembre-dicembre del 2014 le nascite hanno superato quelle dello stesso quadrimestre del 2013 di 4 mila unità. Certo, è presto, prestissimo per vedere in ciò una inversione di tendenza, anche considerando che stiamo comunque su livelli minimi di natalità. Ma, signori, questo dato è un po’ come quello sull’aumento dell’occupazione da tanto tempo a questa parte: lascia sperare, insomma. E sembra per altro essere tarato sul passo di Renzi: perché è fuori discussione la  concomitanza con l’arrivo di Renzi sulla scena nazionale prima e come presidente del Consiglio subito dopo. Per carità, niente causa-effetto, però, come dire, l’occhio vuole la sua parte, e l’occhio, come la lingua, è lì che va a cadere: dove duole il dente delle nascite, di una bilancia demografica traumaticamente deficitaria, per non dire vuota, inerte.

 

Perché, intendiamoci, non è solo un problema di nascite. E’ anche un problema di matrimoni, per esempio. Nel periodo gennaio-agosto del 2014 viaggiamo a oltre 3 mila in meno rispetto all’analogo periodo del 2013. E anche per i matrimoni il 2013 era stato l’anno peggiore in assoluto della storia d’Italia. Cosicché il 2014 potrebbe essere più terribile ancora – sempre che non succeda per i matrimoni quel che è successo per le nascite (nonostante speedy Alleva questo non è ancora dato sapere). E’ anche un problema di bassa proporzione di donne in età fertile: meno di 14milioni di donne di 14-49 anni sugli oltre 31milioni che popolano lo stivale. Una proporzione, attualmente del 44 per cento, che tenderà a scendere ancora giacché, causa la formidabile caduta delle nascite nei venti anni tra il 1975 e il 1995, sommata alla ripresa che non c’è mai stata (figurarsi poi con la nuova depressione delle nascite nella quale ci dibattiamo), sempre meno donne accorreranno a rimpolpare l’anemico plotone di quante contribuiscono ala fecondità italica.

 

Che poi, sia detto, le donne italiane di fecondità, tanto per motivi economico-materiali che culturali in senso lato, non ne esprimono che poca di per sé, in quanto donne, indipendentemente dal loro numero. Ma vediamo di chiarirci. Le nascite sono una posta, quella che va a buon fine, dei concepimenti. Poi ci sono le poste dei concepimenti che si interrompono prima di arrivare al parto: gli aborti spontanei e le interruzioni volontarie della gravidanza. Teoricamente almeno gli aborti spontanei dovrebbero aumentare, giacché il relativo rischio è connesso all’età e l’età al concepimento non fa che spostarsi in là con gli anni.  E invece niente: sensibile contrazione anche per essi, come già per le IVG.  Nel periodo di gennaio-giugno 2014  il totale tra aborti spontanei e IVG è stato di 83.281: 8.650 e quasi il 10 per cento in meno rispetto all’analogo periodo del 2013.

 

[**Video_box_2**]I concepimenti  (nascite + aborti spontanei + IVG) si attesteranno nel 2014 attorno alle 680mila unità, cosicché se pure tutti diventassero nascite avremmo un tasso di fecondità, numero medio di figli per donna, grossomodo pari a 1,8 (rispetto a quello reale di 1,39),  pur sempre inferiore del 15 per cento alla soglia di sostituzione di 2,1 figli per donna. E’ il ritratto, questo appena abbozzato, di un’Italia sterile, e di una sterilità ch’è perfino difficile intuire a quale livello potrebbe scendere, prima di fermarsi. Non lasciano infatti intravvedere spiragli né i matrimoni che non riescono a fermare una caduta vecchia ormai di quattro decenni, né le sempre più esigue schiere di donne in età feconda, né le donne straniere residenti in Italia, tra le quali il calo di fecondità è perfino più accentuato che tra le italiane, né le differenze regionali, essendo che tutte le regioni navigano, più o meno, in acque demograficamente smorte.

 

La fine della crisi economica e la ripresa, che si annuncia, dovrebbero almeno funzionare da ammortizzatori, evitando alla popolazione italiana di rompersi le ossa contro il duro suolo della sterilità prolungata. Tempo qualche decennio, a questi ritmi di autentico dissolvimento ai quali ci stiamo abituando, e la situazione diventerebbe irrecuperabile.

 

Incrociamo le dita. Il dato delle nascite dell’ultimo quadrimestre del 2014, migliore di quello del 2013, va salutato con soddisfazione, pur se senza troppo aprirsi alle illusioni. Il governo Renzi un paio di colpi li ha pure battuti, per il sostegno alle famiglie numerose e l’accudimento dei bambini fino a tre anni. Ma siamo ancora lontani. Culturalmente lontani. Perché si stenta a capire che non c’è salvezza che non passi attraverso il rilancio della famiglia, dal momento ch’è la famiglia ad avere in tutti i sensi  inscritta nel genoma la generazione.  Ma proprio a questo riguardo si raggiunge invece il paradosso. Perché dire matrimonio, dire famiglia equivale a essere guardati come trogloditi della prima metà del secolo scorso rimasti a pencolare come scimmie dagli alberi. A meno che non ci si riferisca al matrimonio e alle famiglie tra persone dello stesso sesso, perché allora scattano gli applausi.

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