Matteo Renzi (foto LaPresse)

Renzi e l'arte di vincere, ovvero cautele e allusioni rivolte al caro Cav.

Salvatore Merlo

C’è in Renzi una sorta di diavoletto che a volte s’impenna e punta le sue armi, soprattutto quando è contento: se vince, per esempio, di solito gli piace stravincere e magari infierire un po’ sugli sconfitti.

Roma. Nessuno a Palazzo Chigi sembra voler assumere il piglio tracotante del barbaro Brenno che, vincitore su Roma, gettò la spada sulla bilancia chiedendo più oro e pronunciando quelle famose parole, che sono il contrario del sapere vincere: “Guai ai vinti”. E dunque non dev’essere un caso se Maria Elena Boschi è tornata a difendere le modifiche alla legge sulla frode fiscale tanto cara al Cavaliere.

 

C’è in Renzi una sorta di diavoletto che a volte s’impenna e punta le sue armi, soprattutto quando è contento: se vince, per esempio, di solito gli piace stravincere e magari infierire un po’ sugli sconfitti. Ma poiché stavolta la parola d’ordine non è incassare tutto, ma dominare la situazione, allora adesso Matteo Renzi sostituisce la misura alla dismisura, e scopre, a modo suo, persino il galateo del saper vincere. Così il giovane presidente del Consiglio, per esempio, prova a usare con il vecchio Cavaliere, battuto nella battaglia del Quirinale, quei riguardi, quelle particolari circospezioni, quelle timorate cautele contro imprevedibili suscettibilità, che sono il segno della più sottile e spavalda condiscendenza: “Berlusconi sconfitto? E’ una lettura politichese”, ha detto Renzi alla radio. “Penso che oggi ci sia da rimettersi a lavorare con calma. E chi deve leccarsi le ferite lo faccia”, ha aggiunto.

 

E certo il giovane Renzi sembra ancora rimanere nel cliché dello spaccone, quello del romanzo di Walter Tevis, quando, confortato dalla vittoria che ha spinto Sergio Mattarella al Quirinale, asseconda l’avida ed esuberante gioventù della sua razza rottamatrice e dunque parla di “turbo” e di tempo da “non sprecare con i partitini”. Eppure stavolta c’è anche dell’altro, e non solo il temperato rifiuto di maramaldeggiare, ma piuttosto, vien da pensare, quel saggio timore che il vincitore deve sempre riservare agli sconfitti, capaci di gesti tanto più pericolosi perché disperati, inconsulti. E dunque non dev’essere un caso se domenica pomeriggio, in televisione, Maria Elena Boschi è tornata a difendere le modifiche alla legge sulla frode fiscale tanto cara al Cavaliere. Come dire: il dividendo è ancora da pagare. E la parola dividendo, a Berlusconi, ovviamente piace assai, perché nella politica, come negli affari, non si sa mai, anche dopo una sconfitta, dopo un insuccesso, uno smacco, ancora bisogna girare, rigirare, rosicchiare l’osso fino all’ultimo in una dura esistenza sballottata e difficile: oggi la ricchezza, domani più niente, poi ricominciare, e chissà…

 

Adesso il Cavaliere è stato invitato alla cerimonia d’insediamento di Mattarella al Quirinale, oggi, e qualcuno già immagina il prossimo incontro del Nazareno tra lui e Renzi. Nessuno a Palazzo Chigi, tra i ragazzi toscani e amici del presidente del Consiglio, sembra voler assumere il piglio tracotante del barbaro Brenno che, vincitore su Roma, gettò la spada sulla bilancia chiedendo più oro e pronunciando quelle due famose parole, che sono il contrario del sapere vincere: “Vae victis”, guai ai vinti. Al contrario, Renzi, evoca la generosità del vincitore sul vinto, e lo fa con un tono che testimonia la padronanza dell’orchestra, della scena e del pubblico, ma anche la sua intelligenza strategica e la sua furbizia tattica. “Le regole si scrivono insieme”, ha ripetuto, “e Forza Italia continuerà a scriverle insieme a noi”. La gogna, la gola stretta in un collare di ferro, non servono a niente. Forza Italia è nuda, tutti possono vederla e affondare i denti senza pietà: eccola lì con le correnti impazzite e i peones in rivolta. Ma che senso avrebbe infierire?

 

[**Video_box_2**]“Sarebbe improprio trasportare il metodo Quirinale su altri piani” e “se Berlusconi convergerà sulle riforme, come ha fatto finora, c’è solo da esserne felici”, ha detto Graziano Delrio a Repubblica. E quello di Renzi, e dei suoi ufficiali, è insomma uno show di cautele, delicatezze, tossettine, piedi di piombo, appena incrinato dalla spavalderia che gli è congenita, e che serve a sedare i discorsi dall’aria drammatica e vagabonda che in queste ore esplodono dentro Forza Italia in determinatissimi e oscuri propositi di guerra. Venerdì sera Berlusconi, circondato dalla sua corte, tuonava spiritosamente contro Renzi: “Devo cercare altre parole sul vocabolario perché ho finito i sinonimi di ‘imbroglione’”. Ma già ieri pomeriggio il Cavaliere è invece apparso meno animoso, e non solo per la buona notizia sulla fine anticipata della condanna ai servizi sociali, ma perché Berlusconi ha in realtà un rapporto assai complicato con la sconfitta: gli è così estranea, è così aliena ai suoi schemi, che a superare il dispetto e lo smacco davvero gli sono bastate le poche misurate parole di Renzi, le delicatezze di Delrio, e le allusioni sapide del ministro Boschi. E allora bisogna ripartire, con movimenti calcolati e metodici. Si comincia esercitando l’arte del saper vincere, specie con chi non sa perdere, negando dunque l’immagine del bullo che tiene il coltello per il manico e dimostra brutalmente di saperlo usare. E si prosegue, tra laceranti abissi di ambiguità, con sorrisi e mezze promesse.

Di più su questi argomenti:
  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.