Una scena tratta da “L’Apôtre”, il nuovo film della regista Cheyenne Carron

Buio in sala. La Francia “deprogramma” la libertà d'espressione sull'islam

Giulio Meotti

La sbornia libertaria seguita alla strage di Charlie Hebdo è durata poco. La Francia ha deciso di “deprogrammare” la libertà d’espressione sull’islam. “Siamo tutti Charlie, ma non siamo tutti l’Apostolo”, commenta il settimanale Causeur. Il riferimento è a “L’Apôtre”, il nuovo film della regista Cheyenne Carron.

Roma. La sbornia libertaria seguita alla strage di Charlie Hebdo è durata poco. La Francia ha deciso di “deprogrammare” la libertà d’espressione sull’islam. “Siamo tutti Charlie, ma non siamo tutti l’Apostolo”, commenta il settimanale Causeur. Il riferimento è a “L’Apôtre”, il nuovo film della regista Cheyenne Carron che è stato appena deprogrammato da alcuni cinema “per prevenire il rischio di attacchi”. La motivazione addotta dai servizi francesi per togliere la pellicola dalle sale è che la comunità musulmana potrebbe “sentirsi provocata” dal film che racconta la conversione di un giovane musulmano francese al cattolicesimo. Un destino che accomuna la regista a Michel Houellebecq, che in “Soumission” racconta una conversione all’islam e contro cui è stata mossa l’accusa di “islamofobia”. Accusa scagliata anche contro Carron che racconta una conversione inversa, dall’islam al cattolicesimo. In Francia prima di Carron nessuno aveva mai portato sul grande schermo una storia di conversione al cristianesimo dal Corano, la storia degli “apostati” che nei regimi islamici vengono impiccati dalle gru o bruciati vivi. Nel suo film, la regista Carron racconta la storia di Akim, che studia da imam in una cittadina francese. Una donna viene strangolata da un maghrebino, al grido di “putaine”. Akim è toccato dalla compassione di don Fauré, il prete cattolico fratello della vittima, che resta ad abitare vicino ai genitori dell’assassino senza portare rancore. Akim compie il massimo sacrilegio nell’islam, passando da Allah a Gesù. Formidabile la scena in cui confessa alla madre la propria conversione: “Sei mia madre. Sai tenere un segreto? Voglio diventare cristiano. Il Figlio di Dio tocca il mio cuore”. La madre si mette a ridere, ma i fratelli di preghiera gli cambiano i connotati. Nel film, Carron mette in bocca al protagonista domande scandalose, tipo: “Perché i cristiani accettano i loro fratelli che si convertono all’islam mentre i musulmani non possono accettare coloro che si convertono a Cristo?”.

 

La regista si difende dalla censura dicendo che la sua pellicola “è un film di pace. L’Apostolo dovrebbe essere proiettato per i cristiani e i musulmani, e nei luoghi di culto. Ho cercato di fare un film che permette una vera e propria apertura verso l’altro e verso la differenza”. L’Apostolo non è il solo film a essere stato cancellato dalle sale francesi dopo gli attacchi di Parigi. “Timbuktu”, il film di Abderrahmane Sissako, premiato all’ultimo Festival di Cannes e candidato agli Oscar, è stato appena deprogrammato a Villers-sur-Marne per decisione del sindaco, Jacques-Alain Bénisti, appartenente non alla sinistra socialista, ma all’Ump. Il film è un appassionato appello contro l’islamismo jihadista, ne mostra tutto l’orrore in Mali, paese natale della moglie di Amedy Coulibaly, l’attentatore del supermarket kosher di Parigi. Il film di Sissako è stato oscurato anche al festival del cinema di Ramdan, in Belgio. Due anni fa, in Mali, centinaia di manoscritti del Centro Ahmed Baba di Timbuctu furono bruciati dalla furia iconoclasta dei mujaheddin islamici. Paragonati ai Rotoli del Mar Morto, si trattava di un corpus di opere che va dal IX secolo d. C. fino ai giorni nostri abbracciando tutto lo scibile umano. Nel film c’è una scena con i fanatici della sharia che vogliono imporre a una donna velata di vendere il pesce al mercato, ma indossando i guanti. E lei si ribella.

 

“Per far progredire le cose, occorre assumersi dei rischi”, ha detto la regista Carron di fronte alla censura della sua pellicola. “Non si vincono le guerre col silenzio”. L’Apôtre come “Submission” di Theo van Gogh? Se il primo “Submission” non lo trasmette più nessuno, né le televisioni né i festival cinematografici (bisogna spulciare su You Tube per vedere il cortometraggio), il sequel è morto già sul nascere, dopo anni di scrittura e di gossip.

 

Buio in sala.
 

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  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.