Jeff Bezos

Benvenuti negli Amazon Studios, dove i big data sono banditi

Eugenio Cau

I giganti della tecnologia hanno capito che possono riempire le nostre vite non solo di prodotti, ma anche di idee, e hanno iniziato a darsi al cinema e alle serie tv. Ma per farlo hanno dovuto liberarsi dalla dittatura dell’algoritmo. Come e perché il cinema è entrato nei templi dei dati.

Roma. Leggi i titoli dei giornali e l’impressione che ne ricavi è che Amazon sia diventata una major di Hollywood e un gigante della tv digitale in soli dieci giorni. La libreria più grande del mondo, l’“everything store” pure un po’ in affanno per le trimestrali non più brillanti, la settimana scorsa ha vinto i suoi due primi Golden Globe con una serie tv autoprodotta, “Transparent” (la storia di un padre di famiglia che si scopre transessuale). Pochi giorni dopo ha annunciato la creazione di una nuova serie scritta e diretta da Woody Allen, già attesissima perché è la prima volta che il regista newyorchese si cimenta con il linguaggio seriale. Lunedì, infine, Amazon si è buttata nel cinema. La compagnia ha fatto sapere che inizierà a “produrre e comprare” lungometraggi, che ha assunto il produttore indipentende Tom Hope, farà circa 12 film all’anno, li distribuirà nei cinema e poi in anteprima ai suoi abbonati paganti. Tutto questo, Golden Globe Woody e cinema, è successo così velocemente che quasi non ce ne siamo accorti. Un giorno Amazon è un negozio online con l’ambizione di produrre contenuti video e qualche serie tv all’attivo, e il giorno dopo sembra già capace di giocarsela alla pari con giganti come la Warner Bros e la martoriata Sony Pictures. Con Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, funziona così. Pensa due passi davanti agli altri, e mentre tutti guardavamo il suo meraviglioso business dei libri, lui già pensava agli ebook, quando ci siamo accorti degli ebook, lui è passato alle serie tv, e appena sono arrivati i riconoscimenti per le serie Bezos già era sul cinema.

 

Quella che per tutti è una novità, per Bezos è un piano messo in atto con mesi, magari anni di anticipo, spesso nella più maniacale segretezza (uno dei tratti più inquietanti della cultura aziendale di Amazon, ha scritto George Packer sul New Yorker), e se l’ambizione di Amazon verso il cinema e la tv si è mostrata questa settimana nella sua interezza (ma già da tempo se ne parla), la verità è che gli Amazon Studios, il luogo dove ideare, finanziare e poi produrre serie e lungometraggi, sono già aperti dal 2010, quando Amazon e cinema erano lontanissimi tra loro. Per guidare gli Studios, Bezos ha scelto Roy Price, figlio della leggenda di Hollywood Frank Price, capo della Universal negli anni ruggenti e produttore di molti capolavori. Roy Price, laureato ad Harvard, ha iniziato la sua carriera alla Disney come vicepresidente del settore che si occupa delle serie tv, è entrato ad Amazon nel 2004, quando il settore dei “video on demand” era praticamente un embrione, e oggi è riconosciuto come l’uomo che ha portato la creatività nel tempio dei big data e degli algoritmi.

 

Gli Amazon Studios sono nati inizialmente per raccogliere idee e sceneggiature di autori in erba: Amazon aveva un accordo con la Warner Bros, che avrebbe portato in video gli script più originali. Da qui alla produzione in proprio il passo è stato breve, ma Amazon ha dovuto affrontare una serie di insuccessi prima di trovare la formula giusta. Le sue prime serie tv, trasmesse in streaming a partire dal 2013, erano valutate sulla base di un algoritmo simile a quello che gestisce il settore dell’e-commerce. Amazon sottoponeva i pilot delle serie al giudizio degli utenti, un algoritmo raccoglieva i dati, li rimescolava e diceva ai dirigenti degli Amazon Studios su quale progetto puntare. Erano i big data a determinare le scelte del reparto creativo, e il risultato è stato una serie di flop. L’algoritmo di Amazon sa tutto sui gusti e sulle aspettative degli utenti, ma uno come Steve Jobs diceva sempre che se avesse dato ascolto alle aspettative degli utenti non avrebbe mai creato l’iPod. Così Roy Price ha deciso di “tornare ai fondamentali”, e di fare l’uomo di cinema come aveva imparato: ha aperto gli Amazon Studios ai migliori scrittori di Hollywood e ha creato una serie da Golden Globe. “Quello che abbiamo imparato”, ha detto Price al New York Times, “è che bisogna avere passione”, come a dire che l’algoritmo è rimasto, ma nessuno lo ascolta più.

 

[**Video_box_2**]Price è uno dei principali fautori della transizione di Amazon da infrastruttura fenomenale capace di portare in 24 ore un pacchetto in capo al mondo a produttore di contenuti. E’ un trend importantissimo: Amazon e Bezos hanno capito che la loro capacità logistica poteva essere usata per riempire le nostre vite non solo di prodotti, ma anche di idee, che alla infrastruttura poteva essere affiancato uno strumento potentissimo di diffusione culturale, e che farci arrivare in casa un nuovo film ci avrebbe legato ad Amazon più che farci arrivare un nuovo aspirapolvere. La pensano così anche molti altri giganti tecnologici, che si stanno buttando nel settore della tv, del cinema e dell’intrattenimento. Yahoo, nonostante la crisi di ricavi, ha iniziato a produrre le sue serie tv originali la scorsa primavera, due commedie scritte da autori ben rodati e da trasmettere in streaming. Microsoft, che produce la console XBox, produrrà una serie tv e almeno un film ispirati a uno dei suoi videogiochi più famosi, “Halo”, e a gestire la creazione dei due contenuti, rispettivamente, saranno niente di meno che Steven Spielberg e Ridley Scott. Poi c’è Netflix, che già si gioca il dominio del mercato dello streaming, ha segnato dei record con la sua “House of Cards” e ha annunciato di recente la produzione del suo primo lungometraggio, un sequel del celebre “La tigre e il dragone” che uscirà in contemporanea in streaming e nei cinema. Hbo, il canale via cavo americano che produce tra gli altri “Game of Thrones”, nel 2015 dovrebbe iniziare a vendere i suoi contenuti anche via internet.

 

Il caso che assomiglia più di tutti ad Amazon è quello del gigante dell’e-commerce cinese Alibaba. La compagnia fondata da Jack Ma ha annunciato all’inizio dell’anno che produrrà il suo primo lungometraggio, e che il regista sarà Wong Kar-wai, poco conosciuto in occidente (guardate “In the mood for love”) ma autore di culto in Asia. Jack Ma, che lo scorso settembre ha piazzato con Alibaba la ipo più ricca della storia di Wall Street, guarda attentamente i trend dei mercati occidentali, è uno di quelli che come Bezos pensa sempre due passi più avanti, e ha capito che la corsa all’oro della produzione di contenuti è aperta. Amazon si prepari.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.