Se i cattolici vogliono ancora dire la loro, e riprendere il filo di un percorso e di una tradizione che tanto ha dato all’Italia, dovrebbero ripartire dalle riflessioni di Del Noce

La scomparsa dei cattolici

Luca Del Pozzo

Nella vita delle democrazie sono irrilevanti. Il filosofo Del Noce questo vuoto lo aveva previsto e pensato. Non era un reazionario, ma un liberal-cattolico. Appello del centro Van Thuan: da tempo non sappiamo fare una proposta organica, lungimirante, ispirata alla nostra cultura e fede

Giunti al termine del ventennio di transizione che ci separa dalla fine della Prima Repubblica, anche i cattolici sono al bivio. La scelta l’ha ben sintetizzata Dario Antiseri: “Restare inchiodati alla prospettiva funesta e senza futuro di una esangue intellighenzia che, rassegnata al peggio, si è arresa ai fatti oppure rimettersi con coraggio, progetti chiari e concreti e senso di responsabilità sulla strada dei ‘liberi e forti’”? (Corriere del 9 ottobre). In un quadro sociale, economico, politico ma soprattutto culturale piuttosto desolante e desolato, l’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuan sulla Dottrina sociale della chiesa, nel volume “Un paese smarrito e la speranza di un popolo. Appello politico agli italiani”, osserva come “i cattolici da tempo non sanno fare una proposta organica, coerente, unitaria, lungimirante e, soprattutto, chiaramente ispirata alla propria tradizione, alla propria dottrina, inclusa la dottrina sociale della chiesa, alla propria fede. Una proposta cattolica, insomma”. Il giudizio sulle cause è, se possibile, ancor più duro: “Non l’hanno saputa fare perché troppi tra di loro pensano che non si possa fare e che non si debba fare”. Da qui l’urgenza della scelta: se continuare – dopo la stagione della supplenza esercitata dalla gerarchia (il cosiddetto “ruinismo”) – a vivacchiare in una situazione di sostanziale irrilevanza, o provare a invertire la rotta e ripartire.

 

“L’efficacia o l’inefficacia – si legge nel testo dell’Osservatorio – della presenza cattolica in politica dipende sì dalle condizioni generali della società – un tempo religiosa e ora post religiosa – ma soprattutto dipende dai cattolici stessi, dalle condizioni della loro fede, dall’organizzazione della loro cultura teologica e politica, dalla consapevolezza ed omogeneità dei loro apparati culturali”. Insomma se i cattolici vogliono ancora dire la loro, e riprendere il filo di un percorso e di una tradizione che tanto ha dato all’Italia, non dipende che da loro stessi. Ma questo vuol dire, innanzitutto, aver ben chiara la posta in gioco. E la necessità di saper leggere in profondità la storia, il mondo e la società in cui viviamo. E sotto questo duplice profilo risulta di straordinaria attualità il pensiero del filosofo cattolico Augusto Del Noce, di cui ricorre in questi giorni il venticinquesimo anniversario della scomparsa. Il filosofo torinese, uno dei più grandi del ’900 italiano, scomparve poco dopo la caduta del Muro di Berlino, alla fine del 1989. Il crollo dei regimi comunisti dell’est europeo fu un evento imprevisto e imprevedibile, almeno per molti. Non così per Del Noce, che anzi aveva “profetizzato” con estrema lucidità e in (quasi) totale controtendenza rispetto alla vulgata di allora – anche cattolica – il “suicidio” di quella rivoluzione quando non solo nell’ex Unione sovietica ma anche in Italia il comunismo sembrava godere di ottima salute.

 

Tanto per i suoi oppositori che per gli osservatori neutrali della politica, il fallimento del socialismo reale (e qui bisogna ricordare che per Del Noce parlare di fallimento a proposito del comunismo era ambiguo) suonò come la dimostrazione storica della bontà della scelta a favore della democrazia e del capitalismo. Ma per il filosofo cattolico – in questa come in tante altre questioni in totale sintonia con l’allora Pontefice Karol Wojtyla – la partita non era affatto chiusa. Un nuovo e, per certi aspetti, più temibile avversario stava prendendo corpo, il che poneva l’esigenza di ripensare la presenza dei cattolici nella società e nella politica. Restava insomma intatto il “problema politico dei cattolici”. Il tema che più di altri impegnò l’ultimo Del Noce fu quello della “superideologia”. In concomitanza con il crollo del comunismo e la “fine delle ideologie”, il filosofo cattolico divenne sempre più persuaso che una nuova società si era ormai affermata in pienezza: la società tecnocratica, caratterizzata da un potere meramente consumistico che svuotava gli individui riducendoli a mezzi di cui servirsi, privandoli di ogni connotato ideale. Come ha osservato Massimo Borghesi, il tema che più di altri impegnò l’ultimo Del Noce fu quello della “superideologia”, la concretizzazione piena di un pensiero, cioè, che nasconde “dietro questa critica apparente del totalitarismo… un totalitarismo di nuova natura, assai più aggiornato, assai più capace di dominio assoluto di quel che i modelli passati, Stalin e Hitler inclusi, non fossero. Dico si nasconde, ma sarebbe meglio dire che oggi si dichiara abbastanza apertamente; è il superpartito tecnocratico, che attraversa i partiti, che ha in possesso le sorgenti di informazione, che cura la propria ideologia attraverso la casta degli intellettuali… Se ben si guarda, l’avversario che abbiamo oggi da affrontare è questo: e si vedano quanto siano inadeguate tutte le presenti posizioni culturali e politiche perché si sono formate contro avversari che erano diversi e sono lontani. Del Noce continuava così un discorso iniziato anni addietro, quando sullo stimolo che gli veniva da Franco Rodano intraprese la ‘critica della società opulenta’”. Il filosofo cattolico iniziò a riflettere – nei primi anni Sessanta – in occasione di alcuni scritti di Rodano in cui il filosofo romano denunciava l’insorgenza di un nuovo e temibile avversario per il marxismo, una nuova società “capace di gestire le proprie crisi ed anche di generare un livello elevato di consumi, eliminando il fenomeno dello sfruttamento del proletariato così come esso è descritto da Marx”. Ma non è questo il motivo che tanto preoccupava Rodano: la conseguenza principale dell’imborghesimento del proletariato era, infatti, la persistenza dell’alienazione intesa come svuotamento di senso dell’esistenza umana. Questo, in sintesi, il pericolo che spingeva Rodano a prospettare un’alleanza tra cattolicesimo e marxismo per superare o almeno contrastare la società del benessere.

 

Del Noce reagì allo stimolo che gli veniva offerto da Rodano soprattutto nello scritto “Appunti sull’irreligione occidentale”, contenuto nella sua opera più importante “Il problema dell’ateismo”, dove è da rinvenire la formulazione originaria della lettura “transociologica” della società del benessere. Tre sono gli aspetti che caratterizzano la società opulenta: irreligione come secolarizzazione o desacralizzazione, libertinismo di massa, relativismo integrale. In opposizione alla tesi secondo cui la secolarizzazione come perdita del sacro era la conseguenza dell’avanzata del progresso tecnologico, Del Noce considerava l’irreligione come la causa e non l’effetto della mentalità pantecnicista. A sua volta, l’irreligione non era figlia di dinamiche sociali bensì di un ben preciso processo culturale, “nel senso che al fondo degli aspetti che presenta oggi il mondo occidentale c’è una causalità ideale e propriamente filosofica di cui l’irreligione naturale contemporanea non è che una conseguenza”.

 

La secolarizzazione dell’occidente ha dunque una radice filosofica, e questa è da rinvenire “nella decomposizione necessaria cui va incontro il marxismo che ha generato come contraccolpo in occidente l’attuale esito nichilistico riguardo ai valori considerati permanenti e il conseguente sviluppo di una mentalità pantecnicistico-materialistica”. In sintesi, la secolarizzazione e il nichilismo della società del benessere nascono come conseguenza del fallimento della cultura che ha tentato di opporsi al marxismo conservandone il momento materialistico, e anzi opponendo a esso un materialismo compiuto. Giova ricordare che nell’affermarsi di questo fenomeno, non poca parte di responsabilità ebbe, per Del Noce, il partito dei cattolici. La miopia culturale della Dc – il non aver messo a fuoco la vera essenza del marxismo per aver assunto acriticamente la lettura neoilluminista della storia contemporanea – comportò l’errore di voler combattere il marxismo sul suo stesso terreno opponendogli un materialismo “buono”, inteso come benessere diffuso. Il nichilismo della “società opulenta” si spiega pertanto a motivo del fatto che in occidente è stato portato alle estreme conseguenze l’aspetto materialistico del marxismo: fenomeno, questo, che coincide con la massima espansione del libertinismo.

 

Tratto saliente di quest’uomo disincantato e indifferente al fatto religioso – oggi compiutamente realizzato – è la sua visione radicalmente ego-centrica della vita. “All’ascesa a Dio – scriveva Del Noce già nel 1967 – si sostituisce l’idea della conquista del mondo, ovvero l’affermazione del diritto che il singolo soggetto ha sul mondo. Diritto che non ha limiti, perché, chiamato al mondo senza il suo volere, egli sente di aver diritto, quasi a compenso di questa chiamata, a una soddisfazione infinita nel mondo stesso. Il risultato è la più totale e radicale spersonalizzazione della vita umana, la perdita della propria identità, il sentimento di vacuità e non senso della realtà: un’alienazione ben peggiore di quella descritta da Marx.

 

[**Video_box_2**]Ma c’è anche un’altra conseguenza del processo che ha portato all’instaurarsi della società opulenta, ovvero la possibile involuzione totalitaria della democrazia, nella misura in cui la società è pervasa da un senso di paura crescente, tipico dei climi culturali di ordine totalitario. Si tratta di un genere di paura muto, strisciante, quasi inavvertibile e inconsapevole, che tuttavia esiste e condiziona atteggiamenti, scelte, modi di sentire e agire. Così la descriveva Del Noce in un memorabile articolo del 1984, non a caso intitolato “La verità e la paura”: “La realtà presente in ragione dell’abbandono dell’una e medesima coscienza morale, manifesta una pluralità contraddittoria di posizioni morali. Allora effettivamente avviene che il criterio della maggioranza si risolve nel dominio degli eterodiretti; di coloro cioè che sono diretti dall’industria culturale, vera scuola d’ignoranza”. Secondo il filosofo torinese il pluralismo culturale e il relativismo etico, derivanti dell’abbandono della metafisica, sono entrambi fattori che possono trasformare la democrazia in tirannide, come per altro ebbe a dire l’allora Pontefice san Giovanni Paolo II nel memorabile discorso al Parlamento italiano il 14 novembre 2002: “Nella Lettera enciclica Veritatis splendor mettevo in guardia dal ‘rischio dell’alleanza fra democrazia e relativismo etico, che toglie alla convivenza civile ogni sicuro punto di riferimento morale e la priva, più radicalmente, del riconoscimento della verità” (n. 101). Infatti, se non esiste nessuna verità ultima che guidi e orienti l’azione politica, annotavo in un’altra Lettera enciclica, la Centesimus annus, ‘le idee e le convinzioni possono essere facilmente strumentalizzate per fini di potere. Una democrazia senza valori si converte facilmente in un totalitarismo aperto oppure subdolo, come dimostra la storia’ (n. 46)”. L’ingresso sulla scena occidentale della “società opulenta”, che anni dopo un altro grande interprete come il card. Biffi avrebbe ribattezzato “sazia e disperata”, poneva dunque quella che nella prospettiva di Del Noce allora, e più ancora oggi, era “la” questione innanzi alla quale i cattolici erano chiamati a dire la loro: la questione antropologica.

 

Se era vero che il marxismo era stato produttore indiretto e inconsapevole di questa società, per Del Noce era escluso che si potesse porre rimedio a partire da una rinnovata alleanza tra cattolicesimo e marxismo, come invece auspicava Rodano. Per Del Noce – e qui veniamo al secondo motivo dell’attualità della sua proposta – non vi era che un atteggiamento da assumere nei riguardi di una società che non aveva (e non ha) precedenti nella storia dell’umanità: quello della “risposta a sfida”. Come nei confronti del marxismo, si tratta qui di vivere e approfondire con rigore la propria posizione di pensiero chiedendo all’avversario di fare altrettanto: sarà poi la storia a decretare il vincitore tra i due contendenti, nel momento in cui una delle due opzioni si rivelasse contraddittoria con le sue finalità. Per il filosofo cattolico l’atteggiamento della “risposta a sfida” voleva dire evitare quattro diverse alternative: a) posizione tradizionalista: è la posizione di coloro i quali considerano la nuova società in aperto e irrimediabile contrasto con i valori cristiani tradizionali, e pertanto invocano l’intervento dell’autorità politica per il rispetto almeno formale di essi; b) posizione della chiesa delle catacombe: qui, al contrario, si respinge il ricorso all’imposizione dall’esterno della verità, per puntare, invece, al rinnovamento dall’interno della società tramite la purificazione personale e l’opera di apostolato. Si tratta cioè di farsi missionari in un mondo ormai scristianizzato, senza però ricorrere al braccio secolare; c) posizione di coloro che distinguono in modo netto il piano temporale da quello spirituale: secondo tale prospettiva la chiesa ha una missione di ordine essenzialmente spirituale e non deve farsi promotrice di progetti politici o culturali che abbiano come obiettivo l’instaurazione di una “nuova cristianità”. Solo in tal modo si avrebbe una politica realmente democratica, cioè deideologizzata, e il venir meno della tentazione, per la chiesa, dei compromessi politici; d) posizione del progressismo cattolico: è l’atteggiamento di quella teologia che vuole conciliare i dati della tradizione cristiana con le acquisizioni della scienza moderna, ovvero neomodernismo.

 

Per Del Noce tutti e quattro gli atteggiamenti descritti hanno in comune un errore di fondo, vale a dire l’incapacità di considerare la situazione contemporanea come l’urto tra due opposte antropologie o concezioni della vita, quella religiosa e quella sociologistica (oggi potremmo dire laicista). In tal senso, l’atteggiamento della “risposta a sfida”, nella sua accezione positiva, si può riassumere nell’impegno culturale, quindi politico, per la “restaurazione dei valori”: contro l’esito catastrofico a cui era giunto il pensiero rivoluzionario, la sfida consisteva nella riproposizione del pensiero tradizionale ovvero affermazione del primato dell’essere, dell’intuizione intellettuale e del valore ontologico del principio d’identità, lungo una linea di pensiero che da Cartesio arriva a Rosmini, alternativa a quella Cartesio-Nietzsche che storicamente ha prevalso. Non vi sono insomma che due alternative: “O la chiesa o il nichilismo”. Ma la riaffermazione dei valori tradizionali non significa affatto restaurazione di un ordine temporale cristiano. In tal senso è del tutto inadeguato l’appellativo di “reazionario” con il quale è stato più volte etichettato; egli intende piuttosto riferirsi alla frase demaistriana secondo la quale “una controrivoluzione non è una rivoluzione di segno contrario, ma il contrario di una rivoluzione”.

 

A livello più strettamente politico, una simile operazione era la via da percorrere per la proposizione di un progetto autenticamente democratico e liberale, e perciò stesso antitotalitario, che Del Noce intendeva fondare su tre pilastri: il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione. Egli vedeva la politica come lo spazio dove si esplica il rapporto tra gli individui. Ma l’individuo non è una monade isolata: ha un rapporto connaturale e costitutivo con Dio (relazione verticale), da cui discende il rapporto con gli altri e il principio del suo agire nella società e nella storia (relazione orizzontale). Ecco allora che la democrazia si configura come il luogo politico in cui devono essere garantite le condizioni che consentono, in primis, l’accoglimento di quei valori morali di origine evangelica, quindi trascendente ed eterna, che “parlano” alla coscienza di ogni uomo, e che pertanto ogni individuo è chiamato a riconoscere e praticare. A differenza di Maritain, Del Noce non considerava la democrazia di origine evangelica, ma un fatto storico e contingente; ciò nondimeno esistono dei valori, quelli del cattolicesimo, che pur essendo immutabili quanto all’origine e al contenuto, hanno tuttavia “bisogno” di incarnarsi nelle diverse epoche storiche. Il rispetto della persona umana e della sua libertà, il rifiuto della violenza e il metodo della persuasione sono pertanto le condizioni che, se da un lato non rendono certo cristiana una democrazia, dall’altro sono in grado di garantire quello spazio necessario perché l’individuo possa liberamente aprirsi alla verità e ai valori che da questa discendono.

 

E’ questa, in estrema sintesi, la cifra del “liberalismo cattolico” di Augusto Del Noce, innanzitutto fondato su di un liberalismo etico-religioso perché centrato sulla realtà della persona: questa, e solo questa, ha il diritto-dovere, ad un tempo, di “tradurre” nella storia i principi e i valori trascendenti, e di combattere contro il male che è dentro di sé come possibilità sempre reale: lo spazio in cui si attua tale lotta è ciò che si chiama libertà civile o politica. Il filosofo cattolico ebbe chiaro fin dall’inizio, come dato certo e indiscutibile, l’essenziale storicità della Rivelazione cristiana: il cristianesimo è un evento storico, non un’ideologia o un sistema di pensiero, né tanto meno un affare di coscienza. Ed è proprio nella riduzione del fatto religioso a foro interno che egli vide il segno del cedimento di tanta parte della cultura cattolica a quell’idea di modernità che storicamente ha prevalso, e che si è sviluppata lungo l’asse Cartesio-Nietzsche. Con la duplice conseguenza della protestantizzazione di fatto del cattolicesimo, da un lato, e della ricerca di chiavi interpretative della storia contemporanea “altre” rispetto a quella cattolica. Ma se all’opposto si tiene ben presente la storicità del cristianesimo, ne consegue che questo non può non avere anche una traduzione politica, nel senso cioè di farsi “polis”, mondo, storia. Al di là e prima di ogni programma politico e di quale organizzazione darsi, questa è la sfida che, oggi più che mai, i cattolici sono chiamati ad assumere.

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