Tentacoli e romanzi. Viaggio nella penombra della maxi inchiesta romana

Stefano Di Michele

37 arrestati, 8 domiciliari, 100 indagati (e Alemanno). Passato e presente della Capitale. Cosa sono i Mondi di mezzo.

Roma. “Terra di mezzo” – ma senza Hobbit né Signore degli Anelli: casomai, a leggere le carte dell’accusa, politici indecorosi, malviventi imperanti, manager ossequiosi (verso gli indecorosi, verso gli imperanti). E “Terra di mezzo” si chiama l’inchiesta che letteralmente potrebbe sradicare quel poco di credibilità che alla politica romana restava, quella fragile e fangosa economia che transitava a volte attraverso gli appalti pubblici e le municipalizzate – altro che parenti e amanti piazzati qua e là. “E’ la teoria del mondo di mezzo compà… ci stanno… come si dice… i vivi sopra e i morti sotto e noi stiamo nel mezzo…”: così parlò, va da sé debitamente intercettato, Massimo Carminati – l’uomo che per gli investigatori è al centro di tutto, un piede negli anni Settanta e uno nei giorni nostri, il “Nero” di “Romanzo criminale", il solito aggrovigliato gomitolo della Banda della Magliana (la faccia di Scamarcio al cinema ebbe, questo antico e incrollabile fascista: in molte cose coinvolto, da ogni cosa assolto). E perciò pure “Mondi di mezzo”, alcuni chiamano questa inchiesta – i cui tentacoli per ora affondano ancora nella penombra. I vivi. I morti.

 

Loro, soprattutto. “Gangs of Roma”, come già si sfotte, facendo il verso al film di Scorsese. “Prendemose Roma”, come già si evoca, rievocando i fasti criminali narrati magnificamente da De Cataldo. Il procuratore Giuseppe Pignatone, uno che di queste cose capisce, magistrato che di intricate e sanguinose e sordide matasse ne ha sbrogliate molte, lo ha detto come più chiaramente non si potrebbe: “Con questa operazione abbiamo risposto alla domanda se la mafia è a Roma. La risposta è che a Roma la mafia c’è”. E poi c’è l’ex sindaco, Gianni Alemanno, indagato per associazione a delinquere di stampo mafioso. Sono andati a perquisire la sua casa, lassù alla Balduina, ieri mattina poco dopo le otto e mezza. Dicono i magistrati che alcuni uomini a lui vicini “sono componenti a pieno titolo dell’organizzazione mafiosa e protagonisti di episodi di corruzione. Con la nuova amministrazione il rapporto è cambiato, ma Carminati e Buzzi erano tranquilli chiunque vincesse le elezioni”.

 

Il Buzzi in questione è Salvatore, coop “29 giugno”, adesione alla Legacoop, assistenza e soccorso (diciamo soccorso), “tu c’ha idea quanto ce guadagno sugli immigrati? Il traffico di Roma rende meno” (intercettazione). E giù, e ancora, una filiera che sembra infinita – e chissà le radici dove arrivano, e chissà quali fondamenta stanno per crollare, perché di sicuro qualcosa sta per franare. I numeri fanno impressione, di quelli che una volta poteva succedere di leggere nelle cronache palermitane (e pure elicotteri ed unità cinofile si sono visti all’opera): 37 arrestati, otto ai domiciliari, cento indagati, decine di perquisizioni (compreso Campidoglio e Regione), centinaia e centinaia di posizioni controllate dalla Finanza, oltre 200 milioni bloccati. E manager ed ex manager dell’Ama, l’azienda che si occupa di rifiuti a Roma, manager di altre società, per i pm ridotti a “pubblici ufficiali a libro paga”, funzionari avidi e infedeli. Dalle carte del gip, ecco la raggelante descrizione di “una organizzazione criminale di stampo mafioso operante nel territorio della città di Roma, la quale si avvale della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano per commettere delitti e per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione e il controllo di attività economiche, di appalta e servizi pubblici”. E dunque,  appalti che ruotano vorticosamente, come foglie nel vento (ché un appalto è pure quello per raccogliere le foglie morte), sempre maleodoranti (appalto per la raccolta differenziata), e a seguire un pulviscolo di altri politici minori (di centrodestra, ma pure di centrosinistra) che come coriandoli volteggiano nel vuoto intorno ai protagonisti principali, un assessore di Marino che si è dimesso pur “totalmente estraneo” dichiarandosi. Pare, per ora, il filo conduttore quello dei legami della destra estrema – qualcosa che sembrava sparito negli anni, inabissato con la fine del secolo, sotto il mito del “Fungo”, la torre alta dell’Eur dove le cronache di quarant’anni fa adunavano i suoi bellicosi protagonisti, e che invece per l’accusa tornò a riprendere forza e potere quando Alemanno vinse a Roma – ma pure quando il segno politico cambia, non troppo i nuovi impressionano coloro che i vecchi pressavano e coccolavano: “Bisogna vendersi come le puttane, adesso. Mettiti la minigonna e va a battere con questi, amico mio” (sempre Carminati, sempre intercettato).

 

[**Video_box_2**]Alemanno, ovviamente – che il peso di certe sue antiche amicizie, quando era in Campidoglio, si vide rinfacciato sui giornali, in tv – si difende: “Dimostrerò la mia totale estraneità a ogni addebito e da questa incredibile vicenda ne uscirò a testa alta”. Gli uomini, gli antichi camerati di antica militanza, baldanzosa stagione giovanile, che di colpo (sempre per l’accusa, poi si vedrà) tornò a bussare alla porta nella stagione della gloria. Ma anche insospettabili che collaboravano con Veltroni, quando era sindaco prima di Alemanno (persino il responsabile del decoro urbano – ecco, grottesco su grottesco). Più alcuni pezzi grossi del comune di Ignazio Marino (ieri si sono dimessi un assessore, Ozzimo, e il presidente del Consiglio comunale, Coratti, entrambi del Pd). Passato remoto e passato prossimo e presente che finiscono col darsi la mano, così che nelle carte dell’inchiesta si trovano lordate la destra e pure la sinistra: chissà quali e quanti occhi sono caduti, sulla minigonna della mignotta tentatrice. E tutti a dire, nei palazzi di Roma, che certo è l’inizio, che certo non finisce qui – altro che i rimborsi dei consiglieri e feste felliniane con teste suine. Dice, chi di queste faccende sa, che una simile inchiesta a Roma non si era mai vista, perché registra il passaggio di campo tra il corrompere un politico miserevole e prendere invece direttamente la guida dei posti dove si determinano gli appalti, dove si decide  il destino dei soldi. Una catena impressionante di reati, che va dall’associazione di tipo mafioso all’estorsione, dall’usura alla corruzione, dalla turbativa d’asta alle false fatturazioni, dal trasferimento di valori al riciclaggio, e altro, ancora altro. “Oggi – ha detto Pignatone – abbiamo individuato quella che abbiamo chiamato ‘Mafia Capitale’, romana e originale, senza legami con altre organizzazioni meridionali, di cui però usa il metodo mafioso”.

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