Un uomo cammina lungo una strada alluvionata a Voltri, vicino Genova (foto LaPresse)

Il dissesto idrogeologico è una boiata

Giuliano Ferrara

Piove molto, l’acqua fa danni: di chi la colpa? Il rimpallo nel pollaio è prerogativa sciacallesca di una nazione priva di classe dirigente e di senso della comunità. Soccorrere, assicurarsi, fare argine.

I chierici vaganti del cazzeggio hanno stabilito che se piove molto, se piove in modo molto concentrato, se la pioggia gonfia i fiumi e i fiumiciattoli e fa danni alle persone e alle cose (si chiamano inondazioni e frane del mese di novembre), allora deve essere colpa di qualcuno: le regioni e i municipi che devono rottamare le loro politiche ventennali (spiace che il premier si sia accodato al correttismo ideologico mettendosi inutilmente in difesa), il governo (al quale si chiede immediatamente di derogare al patto di stabilità con gli enti locali per fermare la pioggia, una specie di danza a debito), lo stato nella sua storica responsabilità di cementificatore attraverso i condoni (specialisti sono quelli della band Settis-Montanari, un complessino lentorock che suona la musica del dissesto idrogeologico con sistematica stonatura a favore di telecamere da molti anni).

 

A nessuno viene in mente che bisogna assicurare, specie ma non solo, le attività economiche, invece di tendere subito la mano alla mamma statale, e il pubblico deve incentivare fiscalmente una campagna di assicurazione da danno naturale; a nessuno viene in mente che bisogna occuparsi della Protezione Civile per rafforzarne bilanci, tempestività d’azione, capacità protettiva delle persone coinvolte nelle alluvioni; che bisogna potenziare la rete informativa d’allerta, basata sulla meteorologia e sulla geologia, scienze raffinate, sopra tutto per i vecchi, i disabili, i giovani, e questo in funzione cautamente preventiva, senza paralizzare per un banale acquazzone le città e senza trasformare in apocalissi nazionale l’esondazione di torrenti, peraltro sistematica,  nel quartiere di Niguarda a Milano o in certe zone del genovese; che alcune opere infrastrutturali sono sì necessarie, ma alcune e puntuali. Tutti dicono irresponsabilmente che Pompei si può preservare come in una teca, visto che sono alcuni ettari di terreno esposti da duemila anni alle intemperie, e magari anche l’Italia, con la sua particolare conformazione idrogeologica, si può integralmente tutelare per i prossimi duemila anni. Basta imbrigliare ancora un po’ i cementificatori, cioè i costruttori che hanno fatto il boom e ci hanno dato da abitare in proprietà familiare e da mangiare per decenni. Basta fare questo o quello a spese dello stato, quando anche un bambino sa che contro il tempo cattivo, quando si produce in forme eccezionali, non c’è altro riparo che la messa in sicurezza delle persone e delle cose, nella misura del possibile, senza stupide illusioni, senza stupide recriminazioni, senza le farse melodrammatiche alle quali ci espone la cultura assistenziale marcia di un paese che non si sente una comunità. Ma che bestialità ci tocca sentire.

 

[**Video_box_2**]In nessun altro paese europeo, mai in America, ma forse nemmeno in Asia e in Africa e in America Latina e in Oceania, si fa questo barbarico commercio di balle spaziali intorno alle piogge, agli tsunami, ai terremoti, mai come da noi. Gli altri coltivano l’ipotesi che si sia una comunità di vocazione o di destino, gente coinvolta che ha bisogno di solidarietà di altra gente che in futuro potrebbe essere coinvolta. Il Somerset è stato colpito in ottobre, e molte altre regioni britanniche sono sotto il fango. Ma i giornali registrano che è un tempo eccezionalmente wet, umido, che piove molto, che forse il 2014 sarà un anno record da questo punto di vista, e allora ci si devono rimboccare le maniche, darci sotto senza rancori politici, senza boria e saccenza da esperti, semplicemente facendo fronte come si può. La Germania fu sommersa dalle acque. E si diedero da fare (erano addirittura in campagna elettorale) per arginare, non per diffondere chiacchiera compulsiva. Qui si tollera che un comico indolente e annoiato su un blog dica che i morti del maltempo pesano come colpa sulle spalle del governo o dei partiti. Qui si tollerano gli sciacallaggi mediatici, la vendita di copie e di audience costruita sul falso in atto pubblico, sulle notizie tendenziose, sull’opinionismo idrogeologico e altre varianti tenorili dello psicodramma autunnale, un fenomeno particolarmente squallido, un respingimento della realtà delle cose e del concetto stesso di natura che è caratteristica di certe società civilmente minori. Ma l’Italia è all’assoluta avanguardia, è il solo paese al mondo in cui speculazione faziosa e viscerale presunzione d’innocenza ideologica dei chierici si danno la mano per terrorizzare, depistare e aduggiare un popolo intero. Non si può evitare né adesso né mai, tantomeno con cortei, occupazioni di municipi e talk-show della malora, che le piogge siano eccezionali, che i fiumi si gonfino, che le mareggiate si abbattano sulle coste, che il terreno smotti, e non c’è cifra possibile nel bilancio che possa essere concepita, stanziata e spesa per mettere riparo alla realtà dei fenomeni naturali atipici. Punto.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.