Un pilota di Air France in sciopero (foto LaPresse)

Più che la Le Pen è Air France a dare un brutto colpo a Hollande

David Carretta

Lo sciopero più lungo della storia della compagnia ha causato 300 milioni di danni. Ma i 3.800 piloti salvano i loro privilegi.

Bruxelles. Molto più della sconfitta prevista (e gestibile) del Partito socialista alle elezioni per il Senato domenica, a pesare sul futuro della Francia è la capitolazione del governo di Manuel Valls e della direzione di Air France-Klm dopo due settimane di sciopero dei piloti della compagnia transalpina. Come ha scritto l’economista Nicolas Baverez sul Figaro ieri, “la crisi di Air France è simbolica dell’incapacità dello stato di condurre riforme, di modificare il suo modello economico e sociale, di sostenere la modernizzazione delle imprese che potrebbero creare attività e posti di lavoro sul territorio nazionale”. Una piccola casta di 3.800 piloti, pur di conservare privilegi economici e sociali, in soli 14 giorni ha provocato lo sciopero più lungo della storia della compagnia, 300 milioni di danni che andranno a pesare su conti in rosso e l’ennesima retromarcia del governo. Lo stato – azionista al 16 per cento – prima aveva promesso imparzialità, poi ha accusato di “corporativismo” i piloti in sciopero ma, pur di veder tornare a volare il 100 per cento degli aerei, alla fine ha costretto il management di Air France a cedere.

 

“Nessuna compagnia è immortale”, aveva avvertito prima dello sciopero Alexandre de Juniac, l’amministratore delegato del gruppo Air France-Klm, per evidenziare la sfida costituita dai vettori low cost (come Ryanair o easyJet) e da quelli a lungo raggio (come Etihad Airways o Emirates) per le tradizionali compagnie di bandiera. La direzione di Air France aveva preparato un piano che prevedeva il lancio di una compagnia low cost europea (Transavia Europe), il rafforzamento di quella interna (Transavia France), un taglio dei costi e la modernizzazione degli aerei. I piloti di Air France, che volano tra il 20 e il 25 per cento in meno dei loro colleghi europei e hanno un costo orario del 40 per cento superiore a quelli delle compagnie low cost, avrebbero dovuto fare qualche sacrificio. Ma, a differenza del resto del personale, hanno incrociato le braccia, denunciando il pericolo di finire a lavorare a Lisbona o Dublino, come i loro omologhi di Ryanair che nel 2013 hanno trasportato 81,4 milioni di passeggeri contro i 77,3 milioni di Air France. Domenica, dopo l’annuncio dell’abbandono del progetto Transavia Europe e il congelamento di Transavia France, il sindacato nazionale dei piloti di linea che rappresenta il 71 per cento di quelli Air France ha annunciato la fine dello sciopero.

 

[**Video_box_2**]Manuel Valls s’è vantato della “fermezza” del governo di fronte ai piloti che, negli scorsi giorni, lo stesso premier aveva definito “egoisti” e “corporativisti”. Ma era stato il suo sottosegretario ai trasporti, Alain Vidalies, a criticare la mancanza di dialogo sociale della direzione di Air France e ad annunciare il ritiro del progetto di rilancio della compagnia. Secondo il governo, Transavia France è ancora “indispensabile”, mentre il successo dei piloti sarebbe “una vittoria di Pirro” perché il loro contratto è ancora in bilico. Ma, anziché fare come Reagan che licenziò 11.345 controllori aerei durante lo sciopero del 1981, Valls ha assecondato la ritirata. Il suo governo deve adottare un pacchetto di riforme che intacca i privilegi dei funzionari pubblici e delle imprese privatizzate i cui dipendenti beneficiano dello statuto di “fonctionnaire”. Ma il caso Air France rischia di incitare scioperi di altre categorie protette.

 

Malgrado il cambio di maggioranza al Senato, il Monde oggi dedica l’editoriale al “fiasco” Air France. Il ritorno di una maggioranza di centrodestra al Senato, che ha poteri legislativi quasi nulli rispetto all’Assemblea nazionale, non impedirà a Valls di governare: l’ingresso di due senatori del Front national è un problema soprattutto per la destra moderata. Per la Francia, il pericolo è il terrore del presidente François Hollande per i conflitti sociali, e l’impopolarità che condanna il suo governo all’immobilismo.

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