Le bombe elettorali dei liberal sulle macerie della culture war

I candidati democratici al midterm fanno campagna su aborto e matrimonio gay anche nelle roccaforti religiose americane. Parlano in maniera sempre più esplicita e combattiva dei temi etici, aggrediscono gli avversari sul loro campo, entrano a gamba tesa in quella “comfort zone” che in passato avevano cura di aggirare.

New York. Fino a qualche anno fa un elementare senso di prudenza politica suggeriva ai candidati democratici in distretti a forte presenza religiosa di evitare lo scontro frontale sui temi etici. In stati come Iowa e Montana la sinistra combatteva le “culture war” dalla trincea, con strategie di logoramento fatte di schermaglie episodiche e ritirate tattiche per non esacerbare lo scontro con la sensibilità tradizionale dei gruppi evangelici. In molti casi, le posizioni pro choice venivano deliberatamente derubricate dagli spot televisivi, dagli stump speech, dai discorsi degli attivisti che vanno di casa in casa, dai cartelloni lungo le autostrade che nell’America di mezzo sono ancora mezzi di comunicazione politica efficaci. Non che i democratici fossero allineati su posizioni pro life: semplicemente la strada per contendere seggi nelle praterie a sensibilità tradizionale non passava per le discussioni sull’aborto, sul fine vita e sul matrimonio gay. Le campagne elettorali verso il midterm mostrano che qualcosa è cambiato.

 

[**Video_box_2**]I candidati democratici parlano in maniera sempre più esplicita e combattiva dei temi etici, aggrediscono gli avversari sul loro campo, entrano a gamba tesa in quella “comfort zone” che in passato avevano cura di aggirare, limitandosi a occasionali sortite quando la circostanza lo richiedeva. Ora qualunque repubblicano difende la vita dal concepimento e si pronuncia a favore del matrimonio tradizionale viene rappresentato come un “radical”, un estremista animato da idee che non hanno cittadinanza nel discorso politico. Il New York Times, ansioso di poter nuotare in questa “nuova marea”, scrive che le idee di certi personaggi sono sempre state estreme, integraliste, ma “ciò che è nuovo è che i democratici sono sempre più inclini a dirlo”. In Iowa il deputato Bruce Braley sta martellando la sua avversaria repubblicana, Joni Ernst, con l’accusa di sostenere il “personhood amendment”, legge che garantirebbe lo status di persona all’atto del concepimento, senza eccezione per i bambini concepiti in casi di stupro. Ernst ha parlato anche di possibili multe per i medici e le cliniche che praticano aborti. Braley si sta scontrando apertamente con questa visione, forte di uno spostamento generale dell’opinione pubblica verso la sponda pro choice che gli strateghi democratici hanno osservato per anni: ora la sensibilità prevalente si è spostata abbastanza per passare dalla semina al raccolto, dalla prudente battaglia di retroguardia al contrattacco. Circola fra i liberal il sentimento zuccheroso della fine delle culture war, sensazione nota nelle grandi città sulle coste ma ancora non del tutto esplorata nel midwest, nella Bible Belt, nelle ampie aree rurali dove una concezione tradizionale del mondo ancora scandisce la vita degli americani.

 

Dal Colorado alla North Carolina all’Arkansas, i candidati democratici sfornano messaggi elettorali pro choice, insistendo in modo particolare sull’aborto negli stati dove negli ultimi anni sono state approvate limitazioni sul numero di settimane entro cui è legale interrompere la gravidanza. Se in certi contesti non premono l’acceleratore sul terreno etico è soltanto perché i repubblicani stessi hanno rinunciato a combattere, giudicando più proficuo concentrarsi su politica fiscale, economia e politica estera. Il processo di abbandono delle questioni etiche da parte dei conservatori è in atto da anni, ma quando persino l’ex candidata alle presidenziali Michele Bachmann dice che il dibattito sul matrimonio gay è “noioso” significa che il vento è davvero cambiato.