Pure i laici si svegliano contro la follia dell'Anonima eterologa

Redazione

Emilia Costantini sulla 27° ora e Marco Politi sul Fatto attaccano la finzione che nega il diritto a conoscere le proprie origini. Il caso Emma Cresswell e il diritto di cancellare da tutti i documenti il nome dell’uomo che lei credeva suo padre e non lo è.

Emma Cresswell, ventiseienne inglese concepita con la fecondazione eterologa, ha appena ottenuto, dopo una battaglia legale durata sei anni, di far cancellare dal proprio certificato di nascita e da tutti i documenti dello stato civile che la riguardano il nome dell’uomo che lei credeva suo padre e non lo è. La ragazza, che aveva appreso durante un litigio in famiglia di essere stata concepita grazie a un donatore di sperma, ha annunciato di volersi impegnare affinché, per i nati da eterologa, sia sempre segnalata la parentela biologica accanto a quella legale sul certificato di nascita. “Ogni volta che guardavo quel certificato pensavo: è una bugia”, ha detto ai giornalisti, “mentre ora c’è la verità”. Sono storie come la sua che hanno convinto la  Gran Bretagna a stabilire che i nati da eterologa dopo il 2005 potranno accedere alle informazioni sulla loro origine genetica, e analoghi provvedimenti sono stati adottati in molti paesi dove la pratica è consolidata. I nati da eterologa sono tanti e sempre di più sono quelli che rivendicano il diritto di sapere da dove vengono.

 

E’ il problema dell’identità, il vero convitato di pietra nella questione dell’eterologa. Lo è per i nati – lo dimostrano le mille storie come quella di Emma Cresswell  – e anche per le coppie che vi ricorrono, delle quali il sessuologo veronese Vito Frugis, in un’intervista di due giorni fa all’Adn-kronos, racconta lo smarrimento, le crisi e i “pesanti fantasmi”, che emergono fatalmente, dice, “da 18 mesi a 5 anni dopo la fecondazione”, ma anche molto più tardi.

 

[**Video_box_2**]Ma gli unici che di quel convitato di pietra non vogliono accorgersi sono, incredibilmente, gli estensori delle linee guida delle regioni italiane che ora dovrebbero regolare la materia, e nelle quali si dice che “il nato non potrà conoscere l’identità del donatore”. E’ infatti scomparsa dalle linee guida la possibilità del nato di conoscere, al compimento dei 25 anni, l’identità del donatore, previo consenso di quest’ultimo. Una giornalista del Corriere della Sera che è anche una scrittrice, Emilia Costantini, sul blog “La 27° ora” ha commentato così: “Mentre si nega il principale diritto dell’essere umano, cioè quello di sapere chi è veramente e da dove viene, si riconosce il diritto al genitore biologico di rivelare o meno il proprio nome e cognome.

 

Un’aberrazione”. Un’altra critica all’anonimato del donatore arriva a sorpresa dal Fatto quotidiano e dal suo vaticanista, Marco Politi. “Troppi sintomi di improvvisazione stanno investendo la definizione dei rapporti familiari”, scrive Politi, che disapprova anche l’adozione di una bambina concessa dal Tribunale di Roma alla convivente della madre. Ma ora, aggiunge, “poiché Papa Francesco ha cessato le interferenze della chiesa in campo legislativo, dovrebbe esserci per tutti libertà di analizzare laicamente i problemi”. E un’analisi laica della realtà dice che nell’eterologa “non nasce un figlio alla coppia: viene al mondo il figlio di un solo partner, il quale alla sua nascita ha un padre e una madre ignoti dai quali è separato alla radice”. Quello “ottenuto con l’eterologa viene fatto passare per finzione simbolico-giuridica come ‘nostro’ figlio. Ma non lo è”. “Tutto un universo complesso di relazioni non può essere lasciato al darwinismo delle volontà individuali”, aggiunge Politi. Nel caso dell’eterologa “va garantito il diritto preminente del concepito di sapere sempre ‘da dove è nato’. Far dipendere questo diritto primario dal ‘mercato’, cioè dall’andamento della domanda e dell’offerta delle donazioni di gameti (tolto l’anonimato, si dice, diminuiscono i donatori) appare semplicemente impensabile dal punto di vista dei diritti umani”.

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