Il nesting è la nuova frontiera altolocata della fine dei matrimoni

Per tutta la vita

Redazione

Divorziare è da poveracci, i ricchi praticano il “nesting”, che regge a tutto, tranne che alle chiappe sode.

Il divorzio è da poveracci, da gente che strilla come lavandaie, tira ciabatte di gomma, spiattella orrori sentimentali ai figli guardandosi con odio, dovete scegliere, la mamma o il papà, parla soltanto vicino a porte e finestre in modo che tutti sappiano, dal condominio fino al supermercato all’angolo, quanto possono essere bastardi gli uomini (e zoccole le donne). I ricchi – soprattutto se hanno superato i quarant’anni – non divorziano, è una faccenda sguaiata e volgare quella della separazione, perché passare in mezzo ad avvocati avvoltoi, a inevitabili cadute di stile (parlare di soldi, fare l’elenco delle proprietà, aprire la cassaforte per controllare quanti diamanti ci sono, che oscenità) quando si può vivere in educate ed eleganti finzioni famigliari con la massaggiatrice che viene a casa tre sere a settimana? Sul New York Observer Richard Kirshenbaum ha raccolto le testimonianze di uomini e donne che lo guardavano sbalorditi quando faceva domande sul divorzio e gli rispondevano magnificando la superiorità del “nesting”, la salvaguardia del nido, che nome romantico. “I nostri genitori divorziavano, e guarda com’è andata a finire, poi divorziare è una cosa così, così… bourgeois”, dice una signora magrissima mangiando un croissant in un café parigino. Lei sente il marito, che vive negli Stati Uniti, tutti i giorni, organizzano vacanze insieme nel sud della Francia, parlano della figlia ormai grande, e tutto il resto del tempo fanno come pare a loro.

 

Certo, siamo capaci tutti di andare d’accordo in dieci minuti di telefonata al giorno, è tollerarsi sotto lo stesso tetto la fatica. Ma i ricchi del “nesting” hanno tetti che occupano aree di quattro ettari e dicono sereni: “Viviamo insieme, in due ali diverse della casa”, si mangia insieme tutte le sere, si chiacchiera con i figli, e poi ognuno torna nelle sue stanze. Tanto ai ragazzi non importa se i genitori dormono insieme, basta che si presentino a cena senza pigiami da depressi, che non litighino, soprattutto che non portino in casa qualche sconosciuto che pretende di fare conversazione. La finzione famigliare è una gran comodità con gli adolescenti ma anche in quella parte di vita che non si trascorre assieme – definito come “il periodo tra una vacanza e l’altra”. Un matrimonio è un’arma di seduzione (l’uomo divorziato è stropicciato, ha sofferto, ha fallito, forse è davvero un poveraccio) ed è una giustificazione per tutta la vita: una famiglia ce l’ho già, magari un giorno vediamo.

 

E’ tutto così semplice e sorridente questo quadretto finto-famigliare, che persino il matrimonio che funziona non regge il confronto, forse un po’ di “nesting” vorremmo farlo anche noi, pure se bisogna capirsi sui fondamentali: si parla di quel che accade quando non si è insieme? Gli ambiziosi dicono che il massimo del successo si raggiunge quando si dice tutto, ma gli altri, i saggi, sostengono che meno si dice meglio è, ogni certezza può crollare durante la descrizione di due chiappe sode. La trasparenza, si sa, è così sopravvalutata.

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