Lo Strega tra banchetti, déjà vu e un teorema preciso sui libri di Scurati

Mariarosa Mancuso

Ci sono i tavoli con la gente che mangia, e i tavoli con la gente che il cibo neanche lo guarda: lo stomaco è annodato in attesa della conta. Quest’anno la serata da scrutatore tocca a Walter Siti, vincitore dello Strega 2013. Subito richiama all’ordine gli scolari distratti che chiacchierano e spettegolano invece di ascoltare la litania

Fa l’effetto di un déjà vu, non importa se è la prima volta che assistiamo da vicino allo spettacolo. C’è il ghiaietto che fa inciampare le signore con i tacchi? Certo che c’è, fa inciampare anche le signore senza tacchi. C’è il buffet preso d’assalto come se nessuno mangiasse da tre giorni, fa testo la scena di “Accattone” girato da Pier Paolo Pasolini? Certo che c’è, e si vedono nei piatti cibi incombinabili disposti a montagnetta (c’è anche chi, guardando la pasta fredda e il riso in insalata, chiede al cameriere con accento francese: “Io e la mia amica preferiremmo un piatto caldo di carne…”).

 

Ci sono i tavoli con la gente che mangia, e i tavoli con la gente che il cibo neanche lo guarda: lo stomaco è annodato in attesa della conta. Quest’anno la serata da scrutatore tocca a Walter Siti, vincitore dello Strega 2013. Subito richiama all’ordine gli scolari distratti che chiacchierano e spettegolano invece di ascoltare la litania (a noi viene in mente quando faceva il preside nel reality show intitolato “La scimmia”). La lotta è tra il favorito Francesco Piccolo – se ne parlava già durante la cerimonia stregata dell’anno scorso, quando “Il desiderio di essere come tutti” non era ancora stato consegnato all’editore – e lo sfidante Antonio Scurati con “Il padre infedele”. O, se preferite, gruppo Mondadori contro gruppo Rizzoli.

 

La conta, in effetti, è più noiosa di quella che precede l’elezione del presidente della Repubblica (con la differenza che nessuno scrive sulla scheda “Sofia Loren”). La diretta tv aumenta la confusione, almeno per chi sta dentro il Ninfeo di Villa Giulia. Gli spettatori dal divano di casa hanno il contentino delle interviste agli scrittori candidati; quest’anno anche il brivido dei lettori “presi dalla strada” e invitati a leggere passi scelti dai romanzi concorrenti. Il neorealismo non finirà mai, neppure la nobile gara per presentare la lettura come una noiosa corvée.

 

E’ comunque chiaro, basta qualche domandina lasciata cadere qua e là per confermarlo, che i romanzi concorrenti sono “terra incognita”. Non solo per chi si trova da quelle parti per il buffet – “siamo qui per le salamelle”, disse una coppia interrogata all’uscita di una festa dell’Unità, quando le feste dell’Unità erano ancora tali – ma anche per chi occupa militarmente le pagine culturali dei quotidiani. Ed è comunque chiaro, lo confermano librai e classifiche, che la pregiata fascetta “Vincitore del Premio Strega” fa ancora vendere. “No, lo voglio con la fascetta, è per un regalo”, reclamò un cliente contrariato, a un libraio che aveva esaurito l’edizione infiocchettata di “La solitudine dei numeri primi” e cercava di convincerlo che senza fascetta il libro era uguale.
“Nella notte Fantozzi pianse in silenzio, con grande dignità”. Più o meno con questa frase Paolo Villaggio chiude i racconti del ragioniere che sull’immaginario collettivo ha inciso più di tutti i vincitori dello Strega messi insieme dal 1947 a oggi. Si sussurra che, in silenzio e con grande dignità, abbia pianto anche Antonio Scurati. Dopo aver perso la gara per la seconda volta: cinque voti di distacco l’altro ieri sera, uno soltanto nel 2009 (il rivale era allora Tiziano Scarpa con “Stabat Mater”). Viene voglia di fare il verso a Oscar Wilde, che in “L’importanza di chiamarsi Ernesto” stabilisce: “Perdere un genitore è una disgrazia, perderne due è distrazione”. Perdere un premio Strega è una sfortuna, perderne due suggerisce che i libri di Scurati qualche problema ce l’hanno.