Palazzo della Regione Lombardia (foto LaPresse)

Capitale che? Un solo grido un solo allarme Milano va in fiamme

Andrea Tavecchio

Dov’è finita Milano? Che fine ha fatto l’orgoglio della “vera” capitale d’Italia? Uno spunto di riflessione, anche se assolutamente involontario, ce lo offre un libro a circolazione limitata.

    Dov’è finita Milano? Che fine ha fatto l’orgoglio della “vera” capitale d’Italia? Uno spunto di riflessione, anche se assolutamente involontario, ce lo offre un libro a circolazione limitata (si chiama “V-M-I, Vincenzo Maranghi Immagini”, il libro è curato da Elisabetta Goggi), che raccoglie alcune delle fotografie scattate a partire dagli anni Ottanta negli spazi liberi dell’ex amministratore delegato di Mediobanca. Osservi le foto e la loro datazione e anche se non c’entrano nulla con l’attività professionale di Maranghi non puoi fare a meno di pensare cosa fossero in quegli anni Milano e Mediobanca, che di Milano era un tassello importante. Scattiamo anche noi delle fotografie dell’epoca. Una è quella di Craxi, mai amato veramente in città, e della sua idea di riformismo, ex post oggettivamente moderna, e prima o poi una sinistra davvero riformista dovrebbe saper riconoscere che su molti temi Craxi era stato ben più lungimirante di Berlinguer. In un’altra foto, invece, c’è Berlusconi, che a spallate e senza guardare in faccia a nessuno, stava cambiando la comunicazione di massa in Italia facendoci uscire dall’Italia in bianco e nero. Nel mondo cattolico la forza del cardinale Martini era palpabile ben oltre il mondo dei cattolici come quella del mondo di don Giussani, al tempo forza quasi solo culturale, per loro fortuna. Nel mondo bancario, oltre a Cuccia e Maranghi, c’era Bazoli che raccogliendo l’eredità del Banco Ambrosiano ridava spazio alla sensibilità del cattolicesimo popolare, da sempre radicato in Lombardia. Così come nascevano associazioni che a quel sistema di potere – soffocante per tanti della mia generazione – volevano contrapporsi, basti ricordare,  tra le altre, Società Civile. E tante altre fotografie “milanesi” si potrebbero scattare nel mondo dell’impresa, della finanza, della moda, della cultura e dello spettacolo. Nella Milano di quegli anni.

     

    Cosa dire invece della Milano di oggi? Sicuramente che conta molto meno in Italia e poco in Europa, pur mantenendo energie straordinarie come quelle legate, ad esempio, alla moda e al design. Perché questo declino? Proviamo a indicare, tra le tante, tre ragioni. La prima è il contesto poco favorevole a localizzare a Milano (e più in generale in Italia) i quartieri generali delle imprese con ambizioni internazionali. Questo è dovuto principalmente a una legislazione fiscale e giuslavoristica non adeguate alla competizione internazionale, ma anche a ragioni specifiche milanesi. E tra le più visibili ci sono sia la mancanza di collegamenti aerei internazionali di livello adeguato che infrastrutture – tra cui mobilità cittadina e welfare della famiglia – non comparabili a quelle di molte altre città europee. Milano, come tutto il nostro paese, deve ripensarsi e tornare a essere una città che cerca di attrarre famiglie, talenti, soldi e cervelli, e per farlo non deve avere paura di cambiare e di adattarsi al nuovo. La seconda ragione è una visione culturale miope, non da grande Milano.  In questi anni troppo spesso la città è sembrata in preda a due pulsioni opposte ed entrambe sbagliate. Da una parte le urla di chi è convinto che il problema sia lo straniero, l’immigrato, l’innovazione e crede che la soluzione sia abolire, per esempio, le kebabberie ed Uber. Dall’altra parte coloro che pensano di dare una prospettiva moderna alla città chiudendo al traffico piazza Castello per trasformarla in una grande, inutile e caotica piazza della Salamella. La terza ragione è il legame troppo stretto e miope che c’è stato tra una parte della politica e della finanza e il settore immobiliare. Quella del real estate è stata, troppo spesso, una bolla che si è autoalimentata in un rapporto insano tra debitore e sistema bancario e che ha drenato investimenti ed energie che sarebbe stato più lungimirante dedicare alle imprese innovative, alla cultura e alla ricerca, unici veri motori di crescita per una città che vuole essere moderna e attrattiva. Il selfie di Milano oggi è quello di una città out of focus, per tornare a “V-M-I” da dove siamo partiti. Urgono idee ed energie per cambiare prospettiva. Milano si merita di più e l’Expo e le elezioni comunali nel 2015 possono esserne lo spartiacque. Milano deve tornare a proporre e imporre le proprie istanze e il proprio punto di vista nel dibattito nazionale. Per motivi diversi, come diversi sono i profili dei sindaci che si sono succeduti, ma nessuno dei primi cittadini milanesi di questi ultimi anni è riuscito a essere l’alfiere della modernizzazione del nostro paese. Il sindaco di Milano dovrebbe avere questo ruolo.