
Foto: La Presse
Il portiere di Rubasciov
Dice: “In questo momento? Mi sento come il portiere di Rubasciov, quando la figlia gli legge dal giornale l’elenco inverosimile dei crimini del suo antico comandante”. Il momento è quello di un “epilogo amaro”, senza giorni a venire.
Dice: “In questo momento? Mi sento come il portiere di Rubasciov, quando la figlia gli legge dal giornale l’elenco inverosimile dei crimini del suo antico comandante”. Il momento è quello di un “epilogo amaro”, senza giorni a venire. Il momento, è ieri mattina, in cui Marcello Dell’Utri sta viaggiando dentro un’ambulanza verso il carcere di Parma per scontare sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Carcere adatto “alle esigenze mediche”, e non mancano di aggiungere le agenzie che lì sono passati anche Bernardo Provenzano e Totò Riina. “Inconciliabile”. Inconciliabile è appunto l’immagine che associa i boss mafiosi all’ex senatore, imprigionato nell’impalpabile gabbia del concorso esterno. Così il momento dell’amarezza che incrina la voce consiglia poche parole, e il bisogno di raffreddarle dentro a un parallelo letterario che possa difendere i pensieri. Al telefono c’è Carlo Momigliano, che a Marcello Dell’Utri è legato da qualcosa di più di un rapporto professionale durato decenni, da qualcosa di diverso anche da un’amicizia solida, di quelle che maturano tra manager che si stimano e compagni di cavalcate imprenditoriali. Momigliano in Publitalia arrivò nel 1986, poco più che trentenne, in poco tempo ne divenne l’anima del marketing, delle idee. Esperienze e scommesse dentro e fuori i confini dell’impero del Biscione, ma nel 2007 è ancora con Dell’Utri, in un nuovo progetto editoriale. Dell’Utri rimasto se stesso, ma nel frattempo diventato anche quello che i processi volevano fosse. Più giovane di dodici anni, milanese lui, di buona famiglia intellettuale, amante dei libri e della storia, di libri magari diversi, non da bibliofilo, Momigliano è stato un pioniere della pubblicità, un intellettuale del mercato. Una visione del mondo fatta non solo di numeri, ma anche di idee.
[**Video_box_2**]Oggi ha una parola soprattutto sulle labbra: “Inconciliabile”. Inconciliabile è per lui il divario “tra la persona che ho conosciuto e conosco e l’ipotesi di un ambasciatore della mafia. Nessuno, nessuno, potrebbe aver costruito sopra di sé uno schermo così spesso, una barriera simile tra la sua persona e la sua diversa funzione, il suo lavoro le relazioni e un doppio ruolo tale, senza rimanerne schiacciato. E per così tanto tempo”. Incompatibile. “Ciò che la persona di Dell’Utri è – non solo il manager, ma quale tipo di manager, non solo il bibliofilo, ma quale bibliofilo – è semplicemente incompatibile con la letteratura che è stata costruita e che è custodita negli atti giudiziari. Badi bene, non dico la letteratura a mezzo stampa, ma quella degli atti e dei processi”.
Dunque la letteratura, quella falsa e quella vera. E dunque il portiere di Rubasciov. “Nel ‘Buio a Mezzogiorno’ di Arthur Koestler, quando la figlia gli legge dal giornale del partito l’elenco dei crimini di cui il suo ex comandante è ora follemente accusato, lui semplicemente non può accettare quella costruzione stalinista. C’è una sproporzione inconciliabile tra le cose dette e la realtà”. Così si sente, Momigliano, poiché “il concorso esterno è il rifugio della negligenza”. “Se devo essere freddo, e in questo momento non lo posso essere, dovrei dire che il concorso esterno ‘potrebbe anche essere’, tanto è reato evanescente, impalpabile. Ma che cos’è? Un capovillaggio vietnamita che dà il riso ai vietcong che lo minacciano è un concorso esterno?”. Viaggiano lontano, le immagini di Momigliano, perché da vicino si vede meno bene. Non ci fosse stata la politica, hanno detto spesso gli amici. Non è il momento di questo, sono parole che ora devono non essere dette. “Potessi essere freddo, direi che chi ha una responsabilità politica ha il doppio degli obblighi, ma non è questo. E’ che la misura non può essere l’impalpabilità del concorso esterno”. Non è conciliabile. Sono momenti in cui ogni parola e pensiero si frena. Ciò che valeva prima non vale dinanzi a un epilogo inconciliabile.


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