
La verità della superbanca
La crisi mondiale ha colto l’Italia “controtempo”: il nostro paese era già in condizione “semistagnante” dalla metà degli anni 90. Inoltre l’Italia è parte integrante di un’Unione monetaria che dal 2010 al 2012 ha attraversato “una crisi eminentemente politica”.
La crisi mondiale, iniziata nel 2007-2008 negli Stati Uniti, ha colto l’Italia “controtempo”: il nostro paese era già in condizione “semistagnante” dalla metà degli anni 90. Inoltre l’Italia è parte integrante di un’Unione monetaria che dal 2010 al 2012 ha attraversato, oltre al contagio economico, “una crisi eminentemente politica”. A ritardo si è aggiunto ritardo, insomma. Perciò la ripresa, vista da queste latitudini, è tutt’altro che travolgente, ragiona Salvatore Rossi, da un anno e mezzo direttore generale della Banca d’Italia e presidente dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass). Entrato per la prima volta a Palazzo Koch nel 1976, dopo una laurea in Matematica all’Università di Bari e alcuni passaggi al Mit di Boston e al Fondo monetario internazionale, Rossi del nostro paese nota in particolare un’imprenditoria spesso restìa a cogliere le occasioni di crescita e a impegnare capitali, un sindacato col gusto eccessivo per la politica ma che adesso sembra aver avviato una riflessione critica, e una classe dirigente che – nonostante tutti gli annunci – rischia di sottostimare ancora l’effetto frenante dell’attuale macchina pubblica sulla crescita economica.
La conversazione con Rossi prende il via da uno sguardo al termometro dei mercati finanziari: il rendimento del Btp decennale italiano è sceso al 2,88 per cento; lo spread tra Btp e Bund tedesco – che tra la fine del 2011 e la metà del 2012 oscillava attorno ai 500 punti – è calato a 152. E’ l’effetto Draghi, dicono gli analisti riferendosi alle mosse annunciate giovedì dal presidente della Banca centrale europea. La Bce ha tagliato allo 0,15 per cento il tasso a cui le banche si rifinanziano, ha ridotto a meno 0,10 per cento il tasso sui depositi presso l’Eurotower, ha garantito nuove iniezioni di liquidità alle banche (Tltro) di durata quadriennale per 400 miliardi, e ha annunciato l’intensificazione dei lavori preparatori per acquistare titoli cartolarizzati (Abs) e rilanciare il credito. Rossi, che in un pamphlet del 2013 concluse un suo personale “Processo alla finanza” rigettando l’accusa molto in voga che essa fosse un instrumentum diaboli, ora rilancia: “Le cartolarizzazioni furono uno dei canali tecnici attraverso cui si manifestarono gli effetti più nefasti della bolla immobiliare negli Stati Uniti. Oggi invece, chi gioisce per l’annunciato intervento della Bce in questo settore, con l’obiettivo di riattivare il mercato del credito soprattutto per le piccole e medie imprese, riscopre il senso originario delle cartolarizzazioni. Esse nacquero con l’intento razionale e benefico di distribuire il rischio contenuto nei crediti”. In definitiva, anche in Europa, “dove per esempio i ‘derivati’ erano diventati una parolaccia, torniamo adesso a realizzare che la finanza è soltanto un’infrastruttura tecnologica, di per sé neutrale, dalla quale non si può prescindere per uscire dalla crisi”. Attraverso “la triade di denaro, credito e assicurazione”, osserva il direttore generale della Banca d’Italia, “la finanza trasla nel tempo e nello spazio la possibilità di procurarsi risorse nell’immediato. Diventa quindi un’infrastruttura fondamentale della vita economica associata, ma, proprio per la sua capacità di gettare ponti tra presente e futuro, è intrinsecamente instabile”. Se alla vigilia della crisi, negli Stati Uniti, si esagerò per “sofisticazione tecnologica e fiducia ideologica” nella finanza – dice Rossi – poi la paura post crisi fece avviare “meritori sforzi di riregolamentazione, per esempio attraverso il complesso lavorìo del G20 e del Financial stability board. Oggi, passata la grande paura, l’impulso in questione si è attenuato”. Dal sistema assicurativo e bancario tedesco arrivano proteste veementi, la Bce starebbe utilizzando l’infrastruttura finanziaria contro i risparmiatori, penalizzati dai tassi bassi: “Sono soltanto parti del settore finanziario di un singolo paese membro che si attestano su queste posizioni. La verità è che tassi più bassi, sostenendo la crescita dell’economia reale, scongiurano la deflazione e portano quindi a tassi più alti domani”. Ecco perché “gli annunci di Draghi rilegittimano l’uso della finanza associato al buon senso. E’ con la finanza buona, non con la sua mostrificazione, che si scaccia la finanza cattiva”.
[**Video_box_2**]Così fu messa in dubbio l’esistenza dell’euro Sarà anche per un approccio più pragmatico alla finanza e alla politica monetaria che gli Stati Uniti stanno uscendo prima di noi dalla crisi? Quest’anno Washington crescerà del 2,4 per cento a fronte dell’1 per cento dell’Eurozona. “Le due aree sono enormemente differenti in termini di dinamismo economico e sociale. Detto ciò, in Europa la crisi finanziaria, inizialmente arrivata per contagio dagli Stati Uniti, ha subìto l’imprevista complicazione della crisi del debito sovrano”, dice Rossi. “Una crisi eminentemente politica. Si diffuse la convinzione che l’euro non fosse più irreversibile, per una disaffezione dei governi e dei popoli. Il sospetto che la moneta unica potesse disintegrarsi ha cominciato ad attenuarsi soltanto nel 2012, con il whatever it takes di Mario Draghi. Prima di allora prevalevano le lentezze e le indecisioni di leadership politiche democratiche che riflettevano gli atteggiamenti cangianti delle opinioni pubbliche”. Allora le elezioni europee erano lontane. I mercati forse temevano altro? “Nel caso della Grecia, che fece da detonatore nel 2011, pesò più lo scandalo suscitato dal falso sui conti pubblici che l’entità finanziaria del problema. Si risvegliò l’antica norma sociale, propria soprattutto della Germania e dei popoli del nord Europa, per cui chi inganna la buona fede altrui va sempre e comunque sottoposto a una giusta punizione”. Una risposta “antropologico-culturale” che, declinata in termini di politica economica, non è sempre stata appropriata, come conferma il dubbio instillato nei mercati sulla possibile fine dell’euro. “Poi però, dopo mesi di riflessioni, sono arrivate le Outright monetary transactions, l’Omt. Il caso greco comunque è rimasto uno spartiacque, anche con qualche conseguenza positiva: come il rafforzamento della sensibilità sulle riforme nazionali che è necessario fare e sulla trasparenza da garantire nel rapporto con gli altri partner europei”.
Tuttavia anche negli Stati Uniti, dove questo black out politico non c’è stato e dove il numero di occupati (138,4 milioni) ha superato per la prima volta il picco pre-crisi, ancora si teme una possibile “stagnazione secolare”. I ritmi di crescita per ragioni strutturali non torneranno ai livelli di prima – sostengono personalità come Lawrence Summers, già segretario al Tesoro con Bill Clinton – ergo è necessario un rinnovato e duraturo interventismo statale: “Negli anni 80, in America, sembrava che il Giappone si stesse comprando il paese pezzo per pezzo. Si sottovalutò la potenza della rivoluzione in arrivo nelle tecnologie dell’informazione. Oggi è un errore storico pensare di poter valutare il futuro tenendo ferme le bocce dell’innovazione tecnologica – dice Rossi – Soprattutto se rimane valido, come io credo, un paradigma di supply side secondo cui il benessere aumenta, semplificando molto, se inventi una cosa nuova e la rendi desiderabile agli occhi delle masse di consumatori. Questo meccanismo rimane trainante nel mondo moderno: la creazione di nuovi prodotti fa lievitare la domanda degli stessi. Poi la produzione aggiuntiva fa crescere i redditi disponibili. Infine nuovi prodotti avanzati incrementano la produttività di tutti, inclusi quelli che producono beni e servizi non di frontiera”.
Certo, “nei momenti di crisi grave – ragiona Rossi – politica fiscale e monetaria possono essere chiamate a fare gli straordinari, ma non è da loro che ci si deve attendere il progresso di lungo periodo”. In questo senso vanno lette anche le Considerazioni finali del governatore Ignazio Visco di una settimana fa: “E’ vero, da parte della Banca d’Italia c’è stata una rinnovata enfasi sulle politiche della domanda da affiancare alle riforme strutturali. Politiche della domanda di livello europeo, però, visto che a livello nazionale il bilancio pubblico può essere perlopiù oggetto di un ribilanciamento al suo interno”. Gli investimenti cui alludeva Visco dovranno essere pure privati: “Il governatore ha detto a chiare lettere che le nostre imprese hanno poco capitale proprio. Questa ritrosia a cogliere tutte le possibilità di crescita che si presentano è frutto di una storica attitudine attendista, di una scarsa apertura nell’innovazione della gestione societaria oltre che risultato di fattori esterni come un sistema finanziario del paese non adeguatamente sviluppato”. Relazioni industriali ingessate, poi, devono aver contato qualcosa: “Un sindacato che pratica la supplenza politica, così come il metodo della concertazione triangolare applicato dopo il 1992 a quasi tutte le materie di governo, hanno costituito un freno alla modernizzazione dell’Italia. Ora però, complici anche eventi a loro esterni, mi pare che i grandi sindacati abbiano avviato un’utile riflessione su tutto questo”. A ormai cinque anni dalle prime manovre governative dichiaratamente indirizzate a rivedere perimetro e funzionamento della macchina pubblica, invece, “direi che la struttura burocratico-normativa è rimasta in fondo quasi immutata”, dice Rossi. E’ forse necessaria una rottamazione, per usare l’espressione che fu cara all’attuale presidente del Consiglio, Matteo Renzi? “Il termine è spregiativo, non mi piace. E soprattutto non mi convince se l’obiettivo è limitato ai comportamenti burocratici – conclude il direttore generale della Banca d’Italia – Bene invece se l’intenzione è sposare una filosofia di cambiamento radicale che investa l’intero ordinamento giuridico, le prassi amministrative e giudiziarie che non riconoscono le ragioni del mercato e dell’efficienza economica”.


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