
L'apriscatole catodico
In Rai ora c'è chi teme il metodo Renzi, che ha già steso Squinzi & Camusso
Il “partito della Rai”, da qualche ora, non esiste più. Adesso infatti, a voler essere precisi, i “partiti” della radiotelevisione di stato sono diventati almeno due. Non c’è più soltanto il monolite pronto a osteggiare con ogni mezzo la richiesta del governo di ridurre di 150 milioni il finanziamento del 2014 a Viale Mazzini, anche a costo di scioperare il prossimo 11 giugno (come confermato ieri sera dai sindacati, ma non all’unanimità).
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Il “partito della Rai”, da qualche ora, non esiste più. Adesso infatti, a voler essere precisi, i “partiti” della radiotelevisione di stato sono diventati almeno due. Non c’è più soltanto il monolite pronto a osteggiare con ogni mezzo la richiesta del governo di ridurre di 150 milioni il finanziamento del 2014 a Viale Mazzini, anche a costo di scioperare il prossimo 11 giugno (come confermato ieri sera dai sindacati, ma non all’unanimità). Ora s’odono pure autorevoli disponibilità a una razionalizzazione delle spese del gruppo. “Questo sciopero è un errore – ha detto ieri il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, al Corriere della Sera – La Rai fa parte del sistema. Ci è stato chiesto un sacrificio, e noi lo faremo”. Con tanto di formula a effetto e dai toni autorottamatori: “La Rai ha regole da Asl, è da ringiovanire”. Inoltre s’intercettano aperture di credito ufficiose ma convinte nelle redazioni. Per questa ragione, mentre ieri le commissioni Finanze e Bilancio del Senato approvavano l’emendamento che riduce i fondi alla Rai per contribuire al finanziamento dello sgravio dell’Irpef sui redditi più bassi, a Palazzo Chigi si respirava un maggiore ottimismo. La scissione all’interno del partito Rai è stata apertamente propiziata dal presidente del Consiglio, Matteo Renzi. E così è la terza volta, nel giro di tre mesi, che il taglio di 80 euro dell’Irpef viene brandito per controbattere alle solite resistenze corporative.
In origine c’è stata una rivoluzione lessicale: lontani i tempi delle “tasse bellissime” di prodiana memoria, tre mesi fa il premier ha parlato di necessaria “restituzione dei soldi ai cittadini”. Da lì discende tutto il resto. Confindustria lamenta per esempio che una riduzione dell’Irap sulle aziende sarebbe stata preferibile? Ecco allora che Renzi replica: il presidente degli industriali, Giorgio Squinzi, pensi quel che vuole, ma gli imprenditori con cui parlo io sono soddisfatti. Susanna Camusso, segretario generale della Cgil, dice che la democrazia è in pericolo se non c’è la concertazione tra governo e parti sociali? Renzi risponde che 80 euro al mese sono più di quanto mai ottenuto dai sindacati nelle loro trattative nazionali. Ora in Rai vogliono scioperare e far saltare le coperture del decreto? Spieghino ai cittadini che così impediscono la restituzione dei soliti 80 euro, poi si vedrà.
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La strategia dell’“apriscatole” – per parafrasare le velleità originarie dell’ex comico Beppe Grillo – sembra che Renzi adesso l’abbia fatta propria. L’obiettivo è però di utilizzare questo apriscatole per “scardinare gli interessi corporativi e far prevalere quelli generali”, scavalcando e poi marginalizzando i vertici ufficiali dei cosiddetti “corpi intermedi”. Così la vede Davide Faraone, deputato del Pd, renziano della prima ora: “Per tutti i tagli alla spesa pubblica, accanto alle esigenze di risanamento, devono essere chiari e visibili i vantaggi per i cittadini – dice al Foglio – Così diventa più difficile il compito di chi vuole conservare certi meccanismi quasi preistorici”. Si riferisce anche alla Rai? “Nella radiotelevisione di stato è in corso in queste ore un processo simile a quello che è accaduto altrove, penso appunto a Cgil e Confindustria. Stiamo ricevendo decine di telefonate, da lavoratori precari così come da capiredattori, che ci offrono consigli su come risparmiare e trovare i 150 milioni necessari. A fronte di chi, all’interno di alcuni fortini, non accetta il cambiamento aumentano poi i consensi tra i cittadini per le riforme pur radicali e si mantiene una diffusa pace sociale”. Un esponente di vertice di Viale Mazzini, che chiede di restare anonimo, conferma la “spaccatura nel partito Rai”: “L’Usigrai (Unione sindacale giornalisti Rai, ndr) ha pensato di muoversi in un quadro simile quello del passato, quando gli era sufficiente inarcare un sopracciglio per far scattare sull’attenti il mondo politico. Ora, complice l’affermazione di Renzi alle europee che è arrivata immediatamente prima la convocazione dello sciopero, questo schema non ha funzionato. L’11 giugno i conservatori si conteranno e potrebbero non essere più maggioranza”. Ieri a metà giornata l’Autorità di garanzia per gli scioperi nei servizi pubblici essenziali aveva valutato come “non conforme alla legge” l’agitazione della Rai, perché troppo vicina a uno sciopero convocato dall’Usb il 19 giugno. A quel punto i sindacati, che in mattinata avevano tenuto una conferenza stampa comune a Roma, si sono divisi: la Cgil ha confermato l’agitazione, la Cisl guidata da Raffaele Bonanni ha fatto un passo indietro. E se da una parte la European Broadcasting Union (Ebu), che rappresenta le emittenti nazionali, ha scritto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, perché i tagli minerebbero “la libertà” della Rai, dall’altra parte Franco Siddi, segretario generale della Fnsi (Federazione nazionale della stampa italiana), ha riconosciuto l’avviarsi di “un confronto di merito per il futuro del servizio pubblico”. Ora il governo pensa ad allargare la platea del bonus fiscale e così, sulla riva di un fiume di consensi, attende altre defezioni dal fu partito (unico) Rai.
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