Canale Usigrai

Redazione

Contro il taglio di 150 milioni di euro – su un bilancio di 2,8 miliardi – che Matteo Renzi ha chiesto a Viale Mazzini, l’Usigrai, il sindacato unico dei giornalisti della tv pubblica, è subito scattato come una molla fino a proclamare uno sciopero aziendale. Ottenendo un parere pro veritate da Alessandro Pace, costituzionalista dell’Università di Roma Tre e firmatario di numerosi appelli per con Gustavo Zagrebelsky e altri esponenti benecomunisti.

    Contro il taglio di 150 milioni di euro – su un bilancio di 2,8 miliardi – che Matteo Renzi ha chiesto a Viale Mazzini, l’Usigrai, il sindacato unico dei giornalisti della tv pubblica, è subito scattato come una molla fino a proclamare uno sciopero aziendale. Ottenendo un parere pro veritate da Alessandro Pace, costituzionalista dell’Università di Roma Tre e firmatario di numerosi appelli per con Gustavo Zagrebelsky e altri esponenti benecomunisti. L’idea del costituzionalista di fiducia dell’Usigrai (il sindacato autonomo Snater che raggruppa gli altri lavoratori Rai ha chiesto un parere pro veritate a Michele Ainis) è che i 150 milioni dal canone che il governo vorrebbe prelevare (nel 2013 il gettito è stato di circa 1,5 miliardi), vadano considerati, in quanto canone, una tassa di scopo per finanziare il servizio pubblico, dunque fuori dalla disponibilità del governo. Se Renzi, attraverso l’azionista Tesoro, invoca la scissione di asset come RayWay, la rete di diffusione del segnale, evocando precedenti come la separazione della rete ferroviaria o della Snam, allora verrà opposto l’obbligo di copertura del territorio nazionale. Se infine Renzi prenderà di mira le ventuno sedi regionali, e le ventiquattro redazioni, la difesa della “Rai-bene comune” avrà come leitmotiv il pluralismo geografico dell’informazione pubblica.

    Tutto questo in un’Europa dove ormai non esistono emittenti di stato con più di due reti tv. Ma l’Usigrai ha un potere relazionale e d’influenza enorme, e ha ottenuto sulla sua piattaforma il pronunciamento unanime dell’Assemblea plenaria dei presidenti dei consigli regionali, che si è impegnata a chiedere al governo “il mantenimento di tutte le sedi regionali Rai garantendo il costante presidio informativo e il livello professionale”. L’Usigrai in base allo statuto è interlocutore sindacale unico dell’azienda, ma come altri sindacati non pubblica il proprio bilancio. Le sedi regionali sono il suo vero bacino sia numerico sia politico: dei 1.878 giornalisti iscritti circa 700 vengono da lì. Il serbatorio di un potere diffuso.

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    E lì hanno iniziato la carriera tutti gli ultimi ex segretari: Roberto Natale (oggi portavoce del presidente della Camera, Laura Boldrini), Giorgio Balzoni e Carlo Verna. Quello attuale, Vittorio Di Trapani, era stato coordinatore dei precari della scuola di giornalismo Rai di Perugia. Nelle sedi regionali Rai hanno cominciato anche l’ex presidente della Federazione della stampa Piero Agostini, l’ex segretario Sergio Borsi, e una sfilza di parlamentari paracadutati nella commissione che vigila su Viale Mazzini. Dunque Renzi ha deciso di toccare nervi sensibili. Anche se il vero padre nobile dell’Usigrai, Beppe Giulietti, che entrò per concorso, divenendo poi parlamentare (Pds, Ds, Idv) e quindi fondando Articolo 21, il braccio “sociale” del sindacato, ieri ha confermato una posizione quantomeno più sfumata: sul prelievo dei 150 milioni, Giulietti ha ammesso che “anche la Rai deve contribuire”, anche le modalità “lasciano perplessi”. Ma soprattutto riconosce al governo il dovere di agire e in fretta per riformare il servizio pubblico. Ad Articolo 21 quale aderiscono altri ex giornalisti passati alla politica come David Sassoli (ora europarlamentare Pd), Piero Marrazzo e Vincenzo Vita, l’ex capo della Federazione della stampa Paolo Serventi Longhi, la consueta società civile, tipo Giuliano Montaldo, e Sergio Staino.

    Benché assai inserito nella Fnsi, il sindacato nazionale dei giornalisti, l’Usigrai tiene congressi propri e firma un contratto a parte, migliorativo di quello collettivo. Quello attuale, per esempio, prevede mille euro in più annui, un calcolo più generoso della 13esima, l’estensione della maggiorazione del 15 per cento riservata nella carta stampata agli inviati “a tutte le categorie e mansioni che operano in azienda”, nonché “premi seniority” da 1.000 e 1.500 euro annui a chi non abbia ottenuto promozioni negli anni precedenti. Ma il vero potere sta all’articolo 12 del contratto Rai, intitolato “Qualifiche e mutamento di mansioni”: ogni modifica prevista dall’azienda o dai direttori di testata deve infatti essere negoziata con il sindacato attraverso commissioni e procedure di durata minima di quaranta giorni. E d’altra parte lo stesso sindacato garantisce che tutti i direttori, i vice e gli altri graduati, in caso di sostituzione, mantengano stesso grado e benefit: un’iperconcertazione che non trova paragoni in altri settori in quanto tutela sia i dipendenti sia i dirigenti (tranne quei pochi politicamente non allineati a sinistra). Così come, pur con la crisi, il calo della pubblicità e i debiti crescenti, l’Usigrai è riuscito a evitare che a Viale Mazzini si adottassero le misure che hanno investito tutte le altre aziende editoriali italiane e straniere, grandi e piccole: né contratti di solidarietà, né ristrutturazioni, né tagli.