Pesi massimi a Bruxelles

Fronde, meline e piani B per cambiare verso all'Eurocommissione

David Carretta

L’Unione europea “è troppo grossa, troppo autoritaria, troppo intrusiva”, aveva detto David Cameron martedì, entrando alla cena informale dei capi di stato e di governo che ha avviato il processo per scegliere il prossimo presidente della Commissione. Con una battuta – avrebbe potuto aggiungere che l’Ue è “troppo vecchia” – il premier britannico ha sintetizzato la posta in gioco nella battaglia che si sta giocando sul nome di Jean-Claude Juncker, attuale favorito per succedere a José Manuel Barroso.

    L’Unione europea “è troppo grossa, troppo autoritaria, troppo intrusiva”, aveva detto David Cameron martedì, entrando alla cena informale dei capi di stato e di governo che ha avviato il processo per scegliere il prossimo presidente della Commissione. Con una battuta – avrebbe potuto aggiungere che l’Ue è “troppo vecchia” – il premier britannico ha sintetizzato la posta in gioco nella battaglia che si sta giocando sul nome di Jean-Claude Juncker, attuale favorito per succedere a José Manuel Barroso. Rappresentante di quel Benelux che aveva ispirato i federalisti europei, l’ex premier lussemburghese è una vecchia volpe della politica comunitaria. Dopo nove anni di vertici europei e otto anni di presidenza dell’Eurogruppo, conosce i meccanismi delle istituzioni, ma è troppo debole per dare fastidio ai grandi. Non piace a nessuno, ma alla fine può andare bene a quasi tutti. Il problema è che Juncker incarna quell’Europa contro cui si è scagliato quasi il 30 per cento dell’elettorato europeo domenica e denunciata da Cameron: la grossa macchina burocratica, che detta le politiche economiche da perseguire e frena le imprese con la sua iper regolazione. Juncker ha ricevuto il via libera dell’Europarlamento per tentare di formare una maggioranza, in virtù dell’accordo che era stato raggiunto tra popolari, socialisti e liberali europei prima delle elezioni: il capofila del partito con più seggi nella nuova Assemblea di Strasburgo avrebbe avuto il diritto di esprimere il successore di Barroso. La finzione dell’elezione quasi diretta è stata introdotta per dare un po’ di appeal alle elezioni europee, con un’interpretazione oltre i limiti del Trattato di Lisbona, secondo il quale è il Consiglio europeo a nominare il presidente della Commissione, dopo aver consultato l’Europarlamento, che ha l’ultima parola. Agli elettori era stato detto che sarebbero stati loro a scegliere. E così Juncker potrebbe ritrovarsi alla testa dell’esecutivo comunitario. Quasi per caso. Viste le perplessità di molti leader, è stato deciso di prendere tempo affidando a Herman Van Rompuy un mandato esplorativo. Ma i destini di Juncker dipendono da un vecchio e un nuovo peso massimo dell’Ue: Angela Merkel e Matteo Renzi.
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    Merkel e Renzi finora non si sono scoperti nelle trattative per il presidente della Commissione. Il presidente del Consiglio si è nascosto dietro l’efficace formula “prima il programma, poi le nomine”. La cancelliera tedesca ha letto il Trattato e scoperto che non c’è alcuna norma che obbliga i leader a scegliere i candidati dei partiti europei. Juncker ha il sostegno esplicito di leader popolari e socialisti, come il finlandese Jyrki Katainen e l’austriaco Werner Fayman. Più discretamente, il francese François Hollande lavora a favore del lussemburghese, che considera un amico. Cameron ha costruito una coalizione di anti Juncker di leader giovani, liberali e intenzionati a rimpatriare un po’ di poteri da Bruxelles: l’olandese Mark Rutte e lo svedese Fredrik Reinfeldt. L’ungherese Viktor Orbán ha promesso di fare di tutto per bloccare la strada a Juncker. Ma, se si fosse andati al voto nella cena di martedì, il quartetto sarebbe finito in minoranza. Così si è rinviato tutto almeno fino a fine giugno. Commentando l’esito delle europee Van Rompuy ha parlato di “un misto di continuità e cambiamento”. Juncker è la continuità. Ma alcuni vogliono il cambiamento.

    Secondo Merkel, “Juncker può avere le caratteristiche” per fare il presidente della Commissione, “ma così anche altri”. La cancelliera ha già lavorato su una carta d’emergenza in caso di paralisi. La preferita della cancelliera è la direttrice del Fmi, Christine Lagarde: è affidabile e ha il vantaggio di essere francese nel momento in cui occorre spiegare ai francesi che l’Europa non è quella descritta da Le Pen. Ma Hollande non ne vuole sapere. Un socialista liberale come Pascal Lamy, ex direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio, forse potrebbe convincere Hollande, che però ha già promesso al suo ex ministro delle Finanze, Pierre Moscovici, un posto da commissario come premio di consolazione dopo la cacciata dal governo. Quanto a Renzi, “non è pronto a morire per Juncker, ma non ostacolerà la nomina se ci sarà”, spiega una fonte vicina al presidente del Consiglio. L’Italia può incassare molto in questa tornata di nomine, che include il presidente del Consiglio europeo, l’Alto rappresentante per la politica estera e probabilmente il presidente dell’Eurogruppo. “Renzi è in una posizione forte”, secondo l’entourage di Van Rompuy. Un portafoglio di peso dentro la Commissione – Concorrenza, Mercato interno, Commercio, Alto rappresentante – è a portata di mano. Con Mario Draghi alla Banca centrale europea, difficilmente un italiano può prendere il posto di Van Rompuy. Merkel e Renzi hanno anche una carta in più da giocare: con le due più importanti delegazioni parlamentari, potrebbero far cambiare idea all’Europarlamento su Juncker.