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Washington-Tripoli: l'attendismo americano sul vecchio amico Haftar
In Libia, il generale in pensione Khalifa Haftar prosegue la sua offensiva contro le milizie islamiche. Due giorni fa ha chiesto che un nuovo consiglio presidenziale provvisorio, composto da giudici, prenda il posto del governo fino alle prossime elezioni parlamentari. Oggi Haftar ha anche dichiarato in un'intervista ad Ap di controllare ormai il 75 per cento della città.
In Libia, il generale in pensione Khalifa Haftar prosegue la sua offensiva contro le milizie islamiche. Due giorni fa ha chiesto che un nuovo consiglio presidenziale provvisorio, composto da giudici, prenda il posto del governo fino alle prossime elezioni parlamentari. Oggi Haftar ha anche dichiarato in un'intervista ad Ap di controllare ormai il 75 per cento della città. Il generale ha detto di avere l'appoggio degli islamisti più moderati, i quali starebbero confluendo nel suo "blocco" anti-governativo allontanandosi dalle rispettive milizie islamiche. Giovedì il parlamento ha chiesto e ottenuto il dispiegamento a Tripoli degli uomini delle milizie islamiche di Misurata fedeli al governo in carica, per difendere la capitale dall'avanzata di Haftar.
L'occidente resta in attesa, osservando l'evolversi della situazione sul campo. Il Guardian ha riportato alcune indiscrezioni filtrate da ambienti dell'intelligence americana. Secondo diversi funzionari, gli Stati Uniti sarebbero stati colti di sorpresa dall'avanzata di Haftar. Ciononostante, il generale potrebbe inaspettatamente riportare gli Stati Uniti a ricoprire un ruolo attivo nel paese dopo le polemiche scoppiate per l'assassinio dell'ambasciatore Chris Stevens a Bengasi e gli scarsi successi ottenuti nella lotta contro il jihadismo. I funzionari della Cia hanno ribadito di non essere implicati nell'offensiva di Haftar, ma non hanno escluso di poterlo sostenere in futuro se dovesse aver successo.
Il curriculum di Haftar è interessante e spiega perché potrebbe essere l'uomo giusto su cui puntare. Dopo aver preso parte al colpo di stato del 1969 e in seguito alla prigionia in Chad, fu liberato dagli americani con la promessa di unirsi agli esuli libici residenti negli Stati Uniti e di rinnegare la propria fedeltà al regime. Il generale ha trascorso una ventina d'anni in Virginia, prima di tornare in patria nel 2011, all'inizio della rivolta. Inviso sia ai gheddafiani, che lo ritenevano un agente della Cia, sia ai rivoltosi, secondo i quali Haftar era ancora troppo coinvolto col regime, il generale non riuscì a ottenere alcuna posizione di rilievo al Consiglio nazionale di transizione libico.
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Durante la sua permanenza negli Stati Uniti, Haftar entrò in contatto con lobbisti operanti nel settore energetico e commerciale, gli stessi che oggi, a giudizio dei funzionari della Cia sentiti dal Guardian, stanno finanziando l'operazione "Dignità" e che si augurano di riuscire presto a fare affari con un governo libico laico, in un paese stabilizzato.
Tra le personalità di rilievo con cui Haftar intrecciò rapporti negli Stati Uniti c'è anche Mary Beth Long, capo delle operazioni Cia durante gli anni dell'esilio del generale in Virginia e già assistente di Donald Rumsfeld al Pentagono. Oggi, Ms Long guida un gruppo di lobbisti per diverse compagnie americane. Long è anche a capo della Askari Associates e Ceo della società di consulenza Metis Solutions, specializzata nella raccolta di informazioni d'intelligence e che collabora con i governi impegnati in operazioni di contro-terrorismo. Il 29 aprile 2013, per esempio, Long ha organizzato un incontro al Corinthia Hotel di Tripoli. Al tavolo sedevano insieme i rappresentanti di alcune compagnie americane e alcuni membri del governo libico, a iniziare dal ministro della Difesa Mohamed al Bargati.
La leadership di Haftar, riconosciuta anche da Washington, gli ha permesso di guadagnarsi il consenso dei clan della Libia orientale e - a suo dire - degli islamisti più moderati. Eppure, i dubbi sul buon esito dell'operazione restano. "Rischia di diventare solo un'altra milizia", ha detto un funzionario della Cia. Perché, dicono a Washington, "nessuno si lascia ingannare quando afferma che è alla guida dell'esercito nazionale".


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