_492x275_1597620644740.jpg)
“I think Silvio is right”
"I think Silvio is right”, disse nel 2011 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, schierandosi con il governo italiano di Silvio Berlusconi contro l’idea di lasciar commissariare Roma dal Fondo monetario internazionale. Tutto ciò accadde durante il summit G20 di Cannes, e spinse la cancelliera tedesca “nell’angolo”, fino al punto che la voce di Angela Merkel fu rotta dalle lacrime. La fonte non è il Mattinale curato dal deputato berlusconiano Renato Brunetta, autorevole e di parte, ma il Financial Times, quotidiano british per antonomasia, Bibbia per gli investitori della City e non soltanto loro.
"I think Silvio is right”, disse nel 2011 il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, schierandosi con il governo italiano di Silvio Berlusconi contro l’idea di lasciar commissariare Roma dal Fondo monetario internazionale. Tutto ciò accadde durante il summit G20 di Cannes, e spinse la cancelliera tedesca “nell’angolo”, fino al punto che la voce di Angela Merkel fu rotta dalle lacrime. La fonte non è il Mattinale curato dal deputato berlusconiano Renato Brunetta, autorevole e di parte, ma il Financial Times, quotidiano british per antonomasia, Bibbia per gli investitori della City e non soltanto loro. Il quotidiano inglese ha avviato infatti la pubblicazione di una lunga e godibilissima inchiesta – frutto di settimane di interviste e raccontata con lo stile narrativo fly on the wall – su “come l’euro fu salvato”. Ieri l’inviato Peter Spiegel ricostruiva le riunioni concitate del G20 che si tenne a Cannes, in Francia, il 3 e il 4 novembre del 2011. Berlusconi era chiaramente indebolito, nemmeno una settimana dopo si sarebbe dimesso sull’onda di una definitiva impennata del differenziale di rendimento tra Btp italiani e Bund tedeschi, i mercati erano infettati dal panico greco che in quei giorni si era trasmesso anche a Italia e Spagna. Insomma, per la diplomazia del nostro paese quello difficilmente diventerà un momento alto e da ricordare. Tuttavia lo scambio rivelato dal Financial Times resta significativo per l’oggi. In quel frangente, scrive il quotidiano della City, gli Stati [**Video_box_2**]Uniti dissero chiaramente che l’Eurozona doveva mandare un messaggio ai mercati, al di là di quel che avrebbero potuto fare i singoli stati. Già nel 2011 sarebbe servito innanzitutto che la Banca centrale europea fornisse le stesse garanzie (alle banche, e poi anche ai governi) fornite dalla Federal reserve statunitense dopo il crollo di Lehman Brothers. In subordine, sarebbe stato necessario rafforzare di molto gli scudi anti spread predisposti da Bruxelles. Merkel, sobillata anche dalla ortodossissima Bundesbank, si oppose a entrambe le opzioni. “Das ist nicht fair”, questo non è giusto, avrebbe detto davanti alle pressioni convergenti. Berlino preferiva un commissariamento internazionale dell’Italia. Obama la prese per un’impuntatura irrazionale, diede ragione alle resistenze italiane e alla fine dunque si optò per un comunicato finale vago, in attesa che Mario Draghi un anno dopo imitasse un po’ la Fed. Risultato: lo spread continuò a salire, anche dopo che Berlusconi lasciò Palazzo Chigi. Perché Berlino, come dimostra anche la calma attuale dei mercati, alla fine sempre accetta di muoversi per salvare l’euro. Però lo ha fatto sempre “alla fine”, appunto, a pochi metri dal disastro in questo o in quell’altro paese dell’euro. La Germania avanza così per un tornaconto nazionalistico o per la paura atavica di debito e inflazione? Difficile rispondere definitivamente. Certo è che – come sostiene pure l’Amministrazione americana – questo modo di procedere rischia di costare troppo a molti partner della moneta unica.


Il Foglio sportivo - in corpore sano
Fare esercizio fisico va bene, ma non allenatevi troppo
