
I liberali (in imbarazzo) della Russia
Intorno a Slaviansk continua un’estenuante guerriglia di posizione. Un attacco ucraino fa dieci morti tra i separatisti, una mitragliatrice dei fan di Mosca colpisce un elicottero di Kiev, le truppe governative annunciano l’accerchiamento finale della città, ma il “sindaco popolare” Ponomariov parla di “rinforzi dalla Crimea”. A Kiev aspettano provocazioni dei filorussi sul modello di Odessa e preparano posti di blocco in attesa del 9 maggio, quando la Russia celebrerà la vittoria sul nazismo come evento di attualità, con la propaganda che ormai chiama gli ucraini soltanto “fascisti”. La guerra sul terreno inciampa, quella verbale divampa.
Intorno a Slaviansk continua un’estenuante guerriglia di posizione. Un attacco ucraino fa dieci morti tra i separatisti, una mitragliatrice dei fan di Mosca colpisce un elicottero di Kiev, le truppe governative annunciano l’accerchiamento finale della città, ma il “sindaco popolare” Ponomariov parla di “rinforzi dalla Crimea”. A Kiev aspettano provocazioni dei filorussi sul modello di Odessa e preparano posti di blocco in attesa del 9 maggio, quando la Russia celebrerà la vittoria sul nazismo come evento di attualità, con la propaganda che ormai chiama gli ucraini soltanto “fascisti”. La guerra sul terreno inciampa, quella verbale divampa. Lo scrittore Dmitry Galkovsky sintetizza sulla Komsomolskaya Pravda il pensiero dominante: “Bisogna invadere l’Ucraina, e vedrete che dopo tre anni tutto funzionerà”. Gli ucraini sono “fratelli”, anzi, “lo stesso popolo”, dice Vladimir Putin, e quindi il desiderio di staccarsi da Mosca non può che essere frutto di un piano malefico. Lo storico specializzato in complotti Andrey Fursov non ha dubbi: sono 200 anni che l’Occidente vuole “staccare l’Ucraina dalla Russia, trasformare gli ucraini in antirussi, un’operazione inventata dallo spionaggio di Bismark e proseguita da Hitler”.
Il quadro del mondo del 95 per cento dei russi che hanno pianto di gioia per l’annessione della Crimea è ormai dominante, e la Duma cerca un modo per togliere il mandato all’unico deputato che ha votato contro, Ilya Ponomariov. La Crimea è stata uno spartiacque, e alcuni dissidenti “pentiti” sono stati esibiti in tv, come il giornalista Andrey Norkin che ha chiesto a Putin di mandare i bambini russi in scuole militari per “educarli al patriottismo”. O come Andrey Babizky, storico inviato di Radio Liberty in Cecenia, definito da Putin a suo tempo un “nemico”. La ex leader liberale Irina Khakamada si complimenta con il presidente: “Lei è un vincitore”.
I pochi che, come la comica Tatyana Lazareva, osano chiedere scusa agli ucraini, finiscono sui manifesti dei “nazional-traditori” che le ferrovie russe appendono alle stazioni. Il ritorno del sogno imperiale ha ridotto i liberali russi al minimo storico, e anche il 5 per cento di dissidenti ha idee confuse. Il romanziere Maxim Kantor in un saggio definisce i vicini “un paese piccolo”, perché, dal suo punto di vista di russo, lo stato più esteso d’Europa è solo una provincia. Il direttore della rivista La Russia nella politica globale, Fiodor Lukianov, arriva a sostenere che “l’Ucraina come realtà non esiste più” e la tratta come un “failed state” capace solo di “rovinare il gioco dei grandi”. Gheorghy Bovt, commentatore di Gazeta.ru, sostiene che in Ucraina “la democrazia formale non può dare risultato” e i contendenti vanno “costretti con la forza” usando “metodi dell’800 ancora validi”, mentre la scrittrice ultraliberale Yulia Latynina è contraria alla democrazia a Kiev, “come a ogni democrazia in un paese miserabile”.
Yana Dubinianskaya, scrittrice ucraina che è riuscita a organizzare a Kiev un convegno tra gli intellettuali dei due paesi, dice che il dialogo è stato faticoso. Da Mosca erano arrivati ovviamente solo i rappresentanti della “quinta colonna”. Ma “ogni liberale russo casca sull’Ucraina”, scherza Dubinianskaya: “Hanno tutti il complesso del fratello maggiore”. L’intellighenzia russa può divergere su Putin, ma è d’accordo con lui nel ritenere ucraini e russi “lo stesso popolo”, al massimo i primi una versione provincialotta dei secondi. A Mosca discorsi su “nazioni di grande cultura” destinate a dominare su quelle “minori” sono fatti comunemente anche da persone di impeccabili curricula liberali, e il disprezzo verso le “ridicole marionette di Kiev” è condiviso da nazionalisti e oppositori, come quello verso la “rivoluzione finta” del Maidan: “Dove sono i leader? Un Castro? Un Chavez?”, si lamenta Kantor.
[**Video_box_2**]Questo dibattito sta rompendo le amicizie di una vita e perfino relazioni familiari, dimostrando semmai il contrario: russi e ucraini sono diversi, e la natura borghese, europea, non liderista della rivolta di Kiev a Mosca appare segno di debolezza. Fino agli spari sul Maidan, l’Ucraina era stata l’unico paese dell’ex Urss (oltre ai Baltici) a evitare la trappola autoritaria. Ma ammettere che i cugini di campagna possano essere più europei è impossibile e Galkovsky accusa gli ucraini di “portare nei geni il seme del caos”. Non essendo un liberale dice quello che gli altri pensano: l’ordine lo può imporre solo la Russia e gli ucraini vanno invasi “per la loro felicità, il peso dell’indipendenza è troppo grande”.
L’Europa non è più un faro, e nel disprezzare i politici europei “ansiosi di vivere nella ricchezza” e “privi di una loro idea, appoggiandosi agli americani”, come dice Lukianov, gli analisti liberali somigliano a quelli putiniani. I più moderati, come Nikolay Zlobin, del Centro per gli interessi globali, predicano una visione “realista” dove le differenze valoriali non esistono, è in corso una nuova Yalta, e la Russia deve “alzare lo status in previsione del nuovo ordine mondiale del prossimo decennio”. L’occhio è puntato sulla Cina, l’affermazione che la “democrazia occidentale è fallita” è un pensiero condiviso, gli antiputiniani fanno proprio il discorso dell’ideologo “geopolitico” del Cremlino Alexandr Dughin che la Russia è una “civiltà speciale”, voltando le spalle all’occidente in un mix di Huntington e Solzhenitsyn.
Il nazionalismo e il liberalismo coabitano a fatica, i conti con il passato sovietico sono ancora tutti da fare, e gli anticomunisti moscoviti si arrabbiano per le statue di Lenin abbattute, gridando alla “russofobia”. La Casa Bianca si sta attrezzando per una nuova Guerra fredda, riarmando i trasmettitori di Radio Liberty e riaprendo finanziamenti alla Cia e alle ong che dovranno ispirare i nuovi dissidenti russi. Ma il Maidan a Mosca oggi sembra una prospettiva lontana.


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