Il ragazzo di Napster e Facebook ora vuole fare politica a Washington

Redazione

Aaron Sorkin ci ha insegnato quasi tutto quello che sappiamo su Sean Parker, il co-fondatore di Napster che quando aveva 19 anni mise l’industria della musica davanti alla crisi che stava minacciando di dissolverla, anche se né lui né l’industria ancora lo sapevano. In “The Social Network”, il film sulla nascita di Facebook di cui Sorkin è l’autore, il ruolo di Sean Parker è interpretato da Justin Timberlake, ed è quello del cattivo. Parker allora (era il 2004) aveva già lasciato Napster, il programma per condividere e scaricare musica che uscì nel 1999, sconvolse il mercato discografico e morì tre anni dopo, sommerso dai procedimenti legali, e si era trasformato nell’investitore suadente e dalla vita sfrenata che sussurra a Mark Zuckerberg il modo (pieno di compromessi) per trasformarsi in uno dei signori della Silicon Valley.

    Aaron Sorkin ci ha insegnato quasi tutto quello che sappiamo su Sean Parker, il co-fondatore di Napster che quando aveva 19 anni mise l’industria della musica davanti alla crisi che stava minacciando di dissolverla, anche se né lui né l’industria ancora lo sapevano. In “The Social Network”, il film sulla nascita di Facebook di cui Sorkin è l’autore, il ruolo di Sean Parker è interpretato da Justin Timberlake, ed è quello del cattivo. Parker allora (era il 2004) aveva già lasciato Napster, il programma per condividere e scaricare musica che uscì nel 1999, sconvolse il mercato discografico e morì tre anni dopo, sommerso dai procedimenti legali, e si era trasformato nell’investitore suadente e dalla vita sfrenata che sussurra a Mark Zuckerberg il modo (pieno di compromessi) per trasformarsi in uno dei signori della Silicon Valley. Parker ha sempre definito l’interpretazione di Timberlake una caricatura, “non sono io”, disse (“ma quando un sex symbol interpreta te stesso non è che ci si possa lamentare”), ma da allora la parte spietata, narcisa e senza controllo scritta per lui da Sorkin gli rimase appiccicata addosso.

    Dopo la fine di Napster Parker ha messo i suoi capitali in molte delle “big thing” della Silicon Valley, scoprì The Facebook (aveva l’articolo, fu lui a consigliare a Zuckerberg di toglierlo) sul computer della sua ragazza di allora, volle incontrare il suo fondatore e lo sedusse. Per un anno fu presidente di Facebook, lo lasciò quando fu beccato dalla polizia in un festino a base di cocaina (ma nessun’accusa fu mossa contro di lui). Parker è rimasto uno dei consulenti dell’azienda, di cui possiede milioni di dollari in azioni, e nel frattempo ha sparso i suoi denari in progetti tecnologici, in un matrimonio ad ambientazione fantasy che gli è costato dieci milioni di dollari e un’accusa di devastazione di un parco naturale, e nel finanziamento della politica.

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    Parker è un donatore generoso – lo sono tutti nella Silicon Valley che sa di essere il nuovo centro dell’economia americana ma deve ancora acquisire il giusto peso a Washington –, ma negli ultimi mesi si è mosso per fare un passo ulteriore, come racconta Politico questa settimana. Finora le sue donazioni sono state in linea con quelle del resto della Valley, molto giovane, molto ricca e molto liberal. Parker ha versato grandi somme alla campagna per la rielezione di Barack Obama, all’associazione antiarmi di Gabrielle Giffords, ai governatori democratici della Virginia e della California, al sindaco di Chicago Emanuel e aquello di New York Bill de Blasio. L’unico repubblicano sostenuto da Parker è stato il senatore Marco Rubio, ma la donazione era piccola, appena diecimila dollari. Le cose cambieranno nei prossimi mesi, perché Parker vuole “conquistare il mondo della politica”, si sta preparando a diventare potente a Washington e per farlo assume strateghi e si prepara a versare finanziamenti corposi ai candidati di entrambi gli schieramenti. Ha incontrato il senatore tea partier Rand Paul (ma anche il sindaco social-populista Bill de Blasio), è da mesi che viene avvistato nella capitale a fare visita agli uffici di senatori repubblicani, ha assoldato un team corposo di consulenti politici, tra cui l’ex capo di gabinetto del governatore della California e il capo della campagna del senatore Cory Booker. Il suo scopo è quello di usare i finanziamenti non più per sostenere questo o quel candidato, ma per modellare le strategie di Washington, ridurre la lotta tra fazioni e aumentare il dialogo. I suoi soldi, dice, andranno solo ai candidati disposti al compromesso.

    Sean Parker vuole plasmare la politica americana a sua immagine, e in questo c’è la tracotanza della Silicon Valley che si sente il futuro in mano. Ma c’è anche un cambiamento notevole, Parker sarà il primo nell’industria del tech a non usare discrezione nel finanziare i repubblicani su larga scala. Google e Facebook già oggi fanno il 40 per cento delle loro donazioni al Gop, ma lasciano prosperare il mito di una Valley liberal e politicamente corretta. Se la Valley vuole il futuro però, almeno per le elezioni di midterm è al Gop che deve guardare.