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Tra birra e strettoie, ecco l'Amstel Gold Race, l'Olanda a pedali
Maastricht dista da Roubaix in linea d'aria nemmeno duecento chilometri. Ma è tutta un'altra cosa, tutto un altro mondo. Le Fiandre, siano esse reali e belghe oppure similari e francesi, diventano passato, anche se prossimo, ricordo, sicuramente; il pavé incubo o esaltazione, storia archiviata, almeno sino all'anno venturo, quando il carrozzone a pedali ritornerà in quelle zone ad infiammare il cuore fiammingo; i muri salutano e si trasformano, asfaltati e un po' più lunghi, verticali allo stesso modo; cambiano il loro nome in côtes, colli, e sono valloni, almeno per lingua e tradizione, anche se in questo caso sarà Olanda, o meglio Paesi Bassi, o meglio ancora Limburgo, striscia di terra persa tra Brabante e Gheldria, tra Belgio e Germania.
di Giovanni Battistuzzi
Maastricht dista da Roubaix in linea d'aria nemmeno duecento chilometri. Ma è tutta un'altra cosa, tutto un altro mondo. Le Fiandre, siano esse reali e belghe oppure similari e francesi, diventano passato, anche se prossimo, ricordo, sicuramente; il pavé incubo o esaltazione, storia archiviata, almeno sino all'anno venturo, quando il carrozzone a pedali ritornerà in quelle zone ad infiammare il cuore fiammingo; i muri salutano e si trasformano, asfaltati e un po' più lunghi, verticali allo stesso modo; cambiano il loro nome in côtes, colli, e sono valloni, almeno per lingua e tradizione, anche se in questo caso sarà Olanda, o meglio Paesi Bassi, o meglio ancora Limburgo, striscia di terra persa tra Brabante e Gheldria, tra Belgio e Germania. Il francese fiammingo si indurisce e diventa un neederlese quasi tedesco, la birra si fa bionda e perde di dolcezza, diventa più amara. E di birra ce ne vorrà tanta, ma che sia Amstel, perché è tempo di Amstel Gold Race.
Cambiano paesaggi, il verde cupo delle Fiandre si fa smeraldo, l'architettura più tedesca che francese, le colline più fitte. Cambiano anche gli interpreti del romanzo a due ruote. I granatieri del pavé, si fanno meno possenti, più agili, muscoli fini da salita, scalatori che sono uomini da corse di un giorno, scattisti da salita, non equilibristi da pietre. La polvere diminuisce, la storia si accorcia, non più secolare. L'Amstel è corsa giovane, si affaccia al grande pubblico nel 1966, ma è classica da subito, amore immediato, sarà la durezza, sarà che, almeno un tempo, apriva il calendario delle classiche del nord, per poi trasformarsi in chiusura, sarà che proprio per questo era ultima occasione, rivincita e riscatto. Ora è invece transizione, dal pavé al binomio Freccia-Liegi, dai muri alle côtes. Giovane sì, ma non abbastanza da perdersi campioni che non possono non figurare in un albo d'oro che si rispetti. Già colma di storie a pedali che valgono la pena di essere lette e riviste. Anno 1973, edizione numero otto, il nome vale da solo la presentazione: Eddy Merckx. Percorso duro, ma meno di quello che si troveranno i corridori sotto gli pneumatici oggi. Il Cannibale veniva da un inverno poco felice, culminato con la rinuncia alla Sanremo per angina tonsillare, aveva faticato molto e vinto poco. La corsa olandese la prima possibilità di riscatto. Fu scenario di rivincita, teatro di impresa, epopea. Pioggia e freddo, vento gelido in corsa, sul Fromberg a oltre 80 chilometri dal Merckx guarda i rivali sfibrati dal tempo, scatta e si avvia in un trionfo solitario. Lascia il secondo a oltre tre minuti. Stravince. Due anni dopo sempre lui, ma questa volta il volo solitario si trasformò in volo di coppia, una lotta all'ultimo sangue. Merckx in maglia iridata trova sulla sua strada un Maertens ragazzino, ma duro e irriducibile. E' scontro a due. Merckx scatta, Maertens risponde, Maertens scatta, Merckx risponde. Poi sull'ultima erta l'affondo vincente, a braccia alzate sul traguardo.
Maertens si rifece l'anno dopo, poi un lungo dominio olandese. Raas istituì su queste strade il suo personale potentato. I suoi occhialetti da secchione primeggiarono per cinque volte, record assoluto. Il resto è storia recente, storia italiana, molte volte. Zanini nel 1996 sfata il tabù dell'italiano da spettacolo ma secondo (come Moser, Bugno Fondriest, Cassani eccetera). Da allora Bartoli, Rebellin, Di Luca, Cunego e Gasparotto, ultimo italiano a conquistare un classica.
L'Amstel aperitivo d'Ardenne, punto di passaggio. La Liegi è tra una settimana e sarà l'ultima occasione per i delusi, possibilità, se ci sarà, per realizzare la tripletta, il jackpot del trittico delle côtes, come Rebellin nel 2004 e Gilbert nel 2011. Il resto è un groviglio di strade strette in un fazzoletto di terreno di nemmeno cento chilometri quadrati. Una corsa che è tensione e incertezza, massacrante non per altimetria, ma per necessità di concentrazione. Gli ostacoli sono infatti nascosti ovunque e non assumono la forma di salite e discese, ma di spartitraffico, dissuasori di velocità, strettoie e infine curve, tante curve: "l'Amstel ti massacra la testa più che le gambe, sono necessari dodici occhi e sangue freddo, è una partita a scacchi più che una corsa in bicicletta". Parola di Jan Raas.
di Giovanni Battistuzzi


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