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One man show a Mosca
Putin ha una coreografia perfetta per spiegare che l'Ucraina è Nuova Russia
Una regia perfetta, meglio delle Olimpiadi di Sochi. Alla sua dodicesima linea diretta con i russi, quattro ore a reti unificate, Vladimir Putin è un “one man show”, l’unico in Russia a essere al centro dell’attenzione, indicare la via, punire, premiare e intrattenere, l’ultima istanza di milioni di russi che gli hanno inviato domande, suppliche, esortazioni, lamentele e ringraziamenti. Ma se negli anni precedenti appariva come un incrocio tra supermanager e Babbo Natale, stavolta, al massimo storico della popolarità, è il padre della nazione che ha riportato a casa la Crimea. Circondato da tutto il suo pantheon di divinità minori: dai poliziotti Berkut che dopo aver sparato sul Maidan sono passati con la Russia, agli intellettuali firmatari di appelli di regime, a Edward Snowden che fa una domanda in inglese e mette in imbarazzo il presidente che non vuole ammettere di non aver capito.
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Una regia perfetta, meglio delle Olimpiadi di Sochi. Alla sua dodicesima linea diretta con i russi, quattro ore a reti unificate, Vladimir Putin è un “one man show”, l’unico in Russia a essere al centro dell’attenzione, indicare la via, punire, premiare e intrattenere, l’ultima istanza di milioni di russi che gli hanno inviato domande, suppliche, esortazioni, lamentele e ringraziamenti. Ma se negli anni precedenti appariva come un incrocio tra supermanager e Babbo Natale, stavolta, al massimo storico della popolarità, è il padre della nazione che ha riportato a casa la Crimea. Circondato da tutto il suo pantheon di divinità minori: dai poliziotti Berkut che dopo aver sparato sul Maidan sono passati con la Russia, agli intellettuali firmatari di appelli di regime, a Edward Snowden che fa una domanda in inglese e mette in imbarazzo il presidente che non vuole ammettere di non aver capito: “L’accento americano è diverso”. C’erano tutti i personaggi della fiaba russa: dalla bambina che vuole dare la paghetta per il nuovo ponte dalla Russia alla Crimea, al giornalista ex oppositore pentito che vuole mandare i bambini nelle scuole di cadetti per insegnargli il patriottismo, allo scrittore di bestseller che non vuole più tradurre i suoi libri in ucraino, ma viene dissuaso da Putin. C’era la “liberale” in quota dissidenti, che loda Putin come “il vincitore”, e il militare infervorato che chiede il pugno di ferro contro i “cricetini liberali dai dentini marci”, e viene bonariamente ammonito di non usare un linguaggio così crudo. Ci sono il raggiante presidente ceceno Ramzan Kadyrov, la mamma dalla Crimea ansiosa di fare il secondo figlio per avere i sussidi putiniani, la pensionata che vorrebbe riprendersi anche l’Alaska, un manipolo di politologi tedeschi e francesi a rappresentare la voce critica dell’occidente, i fedelissimi di Sochi preoccupati di venire dimenticati (ma Putin pensa che la sede delle ultime Olimpiadi invernali resterà un luogo di vacanze di lusso mentre la Crimea sarà “per i redditi bassi”), e il capo della propaganda che si sente “strangolato dalla Nato”, e mima anche il gesto con le mani intorno al collo. Ma viene tranquillizzato: “Nessuno deve avere paura”.
Tutti i tasselli vanno al loro posto, gli esagitati calmati, i preoccupati rassicurati, i deboli protetti, e tutti sanno ora cosa pensare, dire e fare.
[**Video_box_2**]L’Ucraina è al centro fin da subito, e Putin si annoia visibilmente quando viene distratto da alluvionati e disabili. Ammette il ruolo “decisivo dei militari russi” in Crimea, ma nega – come negava un mese fa la presenza degli “omini verdi” a Sebastopoli – l’intervento russo a Donetsk: “Sciocchezze”. Solo un giornalista osa, imbarazzato, ricordare che “l’integrità territoriale ucraina è stata violata”, ma non ottiene nemmeno l’onore di un rimprovero. Il resto è un’ondata di entusiasmo e gratitudine, e incitamenti a proseguire: un operaio chiede l’intervento militare in Ucraina, un imprenditore di uscire dai consessi internazionali, un regista di fare un’alleanza militare con la Cina, una signora di fucilare in pubblico i burocrati ladri. Ma il sovrano è saggio, invoca il dialogo con America ed Europa (“possono vivere senza il nostro gas, però sarebbe una scelta da pagare col sangue”), anche se avverte che l’autorizzazione del Senato a usare l’esercito russo in Ucraina resta valida e “spero di non dovervi fare ricorso”. Anche perché “con gli ucraini siamo lo stesso popolo” diviso per errore: Putin si dilunga sulla “Nuova Russia”, come la chiamavano gli zar, e dice “non capisco ancora perché i bolscevichi l’hanno passata all’Ucraina”.
Un’interpretazione storica inquietante per gli ucraini, soprattutto quelli dell’ovest, che “hanno vissuto sotto l’Europa, ma solo come cittadini di seconda categoria, e gli è rimasto nel subconscio”. A Kiev comunque viene proposto di trovare una “soluzione interna” alla crisi: “Mandano carri armati e aerei, sono completamente impazziti?”. Il presidente legittimo resta Yanukovich che Putin difende dai Berkut che lo chiamano “debole e traditore”, e il vincitore del voto del 25 maggio potrebbe non venire riconosciuto, “se non ci saranno garanzie”. In ogni caso la Crimea resta russa, anche se la decisione di prenderla è stata “improvvisa”. Putin rovina gli sforzi di chi ha cercato di attribuire una razionalità alle sue scelte, ammettendo che la Crimea “non ha più il valore strategico del passato”, ma continua ad averne uno simbolico, e immaginare la Nato a Sebastopoli era impossibile.
Ad America e Nato vanno le solite critiche di prepotenza e inaffidabilità, e Rasmussen, il segretario generale della Nato, viene addirittura accusato di aver registrato di nascosto un colloquio con Putin: “Come faccio a fidarmi dopo?”. Il “reset” con gli Stati Uniti è finito in Libia, mentre con gli europei è “difficile trattare, perfino a casa loro hanno paura ad alzare la voce perché spiati dagli Usa” (mentre a Snowden, che con tempismo perfetto chiede se in Russia esiste qualcosa di simile ai programmi della Nsa, viene assicurato che “da noi i servizi sono sotto controllo”). Il putinismo però non è un discorso di interessi, ma di valori: applaude il successo di Viktor Orbán in Ungheria e di Marine Le Pen in Francia che “riportano le idee conservatrici in Europa”, e rivendica la peculiarità dell’anima russa, “più generosa di quella occidentale, a loro basta il successo individuale, noi vogliamo qualcosa di più grande, è per questo che siamo patrioti, i nostri valori non ci hanno mai tradito”. E’ il gran finale, applausi.
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