Quel che resta delle nomine

Chi più fa, si fa nemici. Analisi sine ira ac studio sul notevole Scaroni

Redazione

Ieri in Borsa le nomine decise da Matteo Renzi hanno prodotto i seguenti risultati: con Piazza Affari in calo di 2,3 punti, l’Eni ha ridotto al minimo le perdite, l’Enel ha replicato l’indice, la Finmeccanica è discesa di oltre il doppio. Certo, poche ore non bastano per un giudizio vero, ma per una reazione sì. Anche perché essendo le tre holding pubbliche al primo, secondo e 27esimo posto per capitalizzazione, se registrano scostamenti significativi vuole dire che più che i piccoli azionisti si mettono in moto i fondi. La scelta all’Eni di Claudio Descalzi, che Paolo Scaroni aveva voluto come numero due, finora capo di exploration e production (cioè dei giacimenti) non solo non è punitiva per la passata gestione, ma pare nell’immediato gradita ai mercati.

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    Ieri in Borsa le nomine decise da Matteo Renzi hanno prodotto i seguenti risultati: con Piazza Affari in calo di 2,3 punti, l’Eni ha ridotto al minimo le perdite, l’Enel ha replicato l’indice, la Finmeccanica è discesa di oltre il doppio. Certo, poche ore non bastano per un giudizio vero, ma per una reazione sì. Anche perché essendo le tre holding pubbliche al primo, secondo e 27esimo posto per capitalizzazione, se registrano scostamenti significativi vuole dire che più che i piccoli azionisti si mettono in moto i fondi. La scelta all’Eni di Claudio Descalzi, che Paolo Scaroni aveva voluto come numero due, finora capo di exploration e production (cioè dei giacimenti) non solo non è punitiva per la passata gestione, ma pare nell’immediato gradita ai mercati. La continuità adottata dal governo per il gruppo energetico fa così apparire sopra le righe commenti e scenari millenaristici sulla fine dell’èra Scaroni. A cominciare da quello di Repubblica affidato ad Alberto Statera, denso di riferimenti a intrecci “tra finanza e politica, energia e diplomazia, commesse militari e servizi segreti”. Rep., attraverso un inviato che le aziende pubbliche le ha conosciute benissimo quando ancora si chiamavano partecipazioni statali, descrive un “network berlusconiano” con “potenza di fuoco ad alzo zero”, nonché “il solito Bisignani”. E già che c’è butta un bel po’ di schizzi anche sul nuovo ad: “Descalzi è stato il più fidato collaboratore di Scaroni per otto anni e il suo nome era l’ultima trincea di arretramento dell’esercito scaroniano. Quale tasso di innovazione sarà possibile con lui?”. Si aspetta ora la ridiscesa in pista di Milena Gabanelli, autrice di memorabili puntate anti Scaroni di “Report”: “Quanto hanno pesato sui risultati dell’Eni l’amicizia tra Berlusconi e Putin? E qual è stato il ruolo di Antonio Fallico e Marcello Dell’Utri negli affari sugli idrocarburi?”, si chiedeva la ex candidata del Movimento 5 stelle al Quirinale. Ha senso descrivere dall’ottica del buco della serratura, o come una Spectre parallela, un gruppo quotato anche a Wall Street e che ha raggiunto il 17esimo posto mondiale per fatturato? Non sarebbe più logico domandarsi che cosa significa guidare un colosso energetico in Italia, con concorrenti tipo Exxon, Bp e Gazprom, e governi che sull’energia e sulle sue scelte scomode non mettono mai la faccia accodandosi al mainstream dei referendum, dell’ambientalismo a costo zero e al politicamente corretto a ogni livello, dalla politica estera ai comitati cittadini? Negli Stati Uniti le presidenziali del 2008 si sono giocate anche intorno all’indipendenza energetica. I repubblicani di John McCain e Sarah Palin erano per le trivellazioni offshore. Barack Obama per lo shale gas, tecnologia controversa basata sulla frantumazione (fracking) delle catene montuose soprattutto in West Virginia.

    La Casa Bianca democratica ha sfidato gli ambientalisti e oggi offre all’Europa di comprare la sua energia in eccesso, benché Jonathan Franzen ci abbia scritto un bestseller e pure il cinema ci inzuppi a profusione: insomma, un gran dibattito nazionale. Qui sarebbe immaginabile? All’inizio del mandato all’Eni, nel 2005, Scaroni disse che l’Italia “a differenza di altri paesi europei, è terra di petrolio e gas, risorse che non vengono valorizzate a causa della miopia dei politici e di un ambientalismo populista”. Si riferiva ai giacimenti lucani ma anche ai divieti che bloccano terminal e rigassificatori sulle coste. I governi tacciono, centrodestra compreso. Tra i suoi ultimi interventi istituzionali, a novembre in Senato, c’è stata la rassicurazione a grillini, sinistra Pd e Sel che “nessuna estrazione era in corso né in programma in Basilicata”.

    [**Video_box_2**]Quanto agli intrecci con la russa Gazprom e con Mosca, trattati da troppi analisti e commentatori con una naiveté degna di miglior causa, l’ex ad ha scritto una lunga lettera al Financial Times lo scorso 12 aprile: “L’Europa può in modo credibile minacciare la Russia con sanzioni? La risposta, almeno nel breve termine, è no. Oggi contiamo sulla Russia per circa un terzo. Ma questa media maschera una dipendenza superiore al 50 per cento per alcuni paesi, tra cui Austria, Finlandia, Grecia, Polonia, Ungheria e Repubblica ceca. Non è facile portare avanti un rapporto antagonistico con la Russia se dipendiamo da Mosca per le nostre industrie e abitazioni”. Per Scaroni, “i responsabili della politica europea si stanno oggi rendendo conto che l’indipendenza energetica è l’indipendenza. Ma c’è un serio problema di governance: se l’Unione europea vuole davvero essere indipendente deve lanciare un programma fatto di regole favorevoli allo shale gas, aumento delle importazioni alternative, incremento delle interconnessioni tra gli stati membri, efficienza energetica, energie rinnovabili razionali, più nucleare, forse anche di più carbone. Ciò avrà conseguenze in termini di costi, occupazione e ambiente. Ma qualunque sia la strada che sceglieremo, dobbiamo assicurarci che qualcuno stia guidando l’auto”.

    L’Eni scaroniana è il secondo partner di Gazprom nel progetto South Stream, il gasdotto sotto il mar Nero che taglia fuori l’Ucraina. Ma a volerlo sono stati i governi, berlusconiani e prodiani. Così come il Nord Stream, già operativo, collega Russia e Germania, con lo stesso schema: Gazprom al 51 per cento e aziende tedesche e francesi coazioniste. La differenza è che l’impianto è stato inaugurato da Angela Merkel e Gerhard Schröder ne ha assunto la presidenza. Nel 2011, quando l’Europa si mise in scia di Francia e Stati Uniti per far guerra ai dittatori nordafricani in nome delle primavere arabe, Scaroni consigliò Silvio Berlusconi di tenersi alla larga, come stava facendo la Merkel. Sappiamo com’è finita, e l’Eni sta ancora mettendoci una pezza in Libia e Algeria.

    In questo modo Scaroni ha comunque garantito bilanci in utile nonostante la recessione mondiale e la crisi africana, nonché ricche cedole al Tesoro. Del resto quando nel 2002 arrivò alla guida dell’Enel, Scaroni smantellò il modello multiutility voluto da Franco Tatò, che spaziava dall’Acquedotto pugliese ai telefonini Wind, per concentrarsi sull’elettricità. Il risultato fu una riduzione del debito. E un aumento dei nemici.

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