Gli ebrei d'Europa stanno morendo. Di laicità e assimilazione

Giulio Meotti

L’occasione era quella del settantesimo anniversario della deportazione e dell’annientamento della comunità ebraica ungherese. Trecento rabbini provenienti da quaranta paesi europei si sono così dati appuntamento a Budapest, sotto l’egida del Rabbinical Center of Europe, e alla presenza dei due rabbini capi d’Israele, l’ashkenazita David Lau e il sefardita Yitzhak Yosef.
Non si è parlato di antisemitismo, di vandalismo, di attacchi nelle strade di Parigi o di Londra, di violenza spicciola e diffusa in tutto il Vecchio continente. No, il principale pericolo per il futuro dell’ebraismo europeo viene da dentro. Si chiama assimilazione. Secolarizzazione. Laicismo.

    L’occasione era quella del settantesimo anniversario della deportazione e dell’annientamento della comunità ebraica ungherese. Trecento rabbini provenienti da quaranta paesi europei si sono così dati appuntamento a Budapest, sotto l’egida del Rabbinical Center of Europe, e alla presenza dei due rabbini capi d’Israele, l’ashkenazita David Lau e il sefardita Yitzhak Yosef.
    Non si è parlato di antisemitismo, di vandalismo, di attacchi nelle strade di Parigi o di Londra, di violenza spicciola e diffusa in tutto il Vecchio continente. No, il principale pericolo per il futuro dell’ebraismo europeo viene da dentro. Si chiama assimilazione. Secolarizzazione. Laicismo.

    L’assorbimento fatale nella cultura dominante, laicista e multiculturalista europea. Secondo l’agghiacciante rapporto del Rabbinical Center of Europe, l’ottantacinque per cento degli ebrei europei è assimilato e ha contratto matrimoni misti; l’ottanta per cento non partecipa più a riti in sinagoga, neppure per la solennità dello Yom Kippur; il settantacinque per cento dei loro figli non beneficia di una educazione ebraica e il novanta per cento degli studenti ebrei non ha alcun legame con la comunità.
    Cifre choc che hanno spinto Shimon Elitov, membro del rabbinato israeliano, a dichiarare che “l’assimilazione è peggio dell’Olocausto fisico”. I matrimoni misti in Olanda, Danimarca e Svezia coinvolgono oltre il novanta per cento degli ebrei. In Francia, Belgio, Germania e Italia, il dato non è molto inferiore. Pierre Besnainou, uno dei leader della comunità ebraica francese, ha messo in discussione “la coesione della comunità ebraica in dieci-quindici anni”, a causa dell’assimilazione già oggi a livello del sessanta per cento.

    In Inghilterra, l’altro grande polo ebraico europeo assieme a Parigi, le cose non vanno meglio. “La comunità ebraica inglese sta morendo”, ha dichiarato il rabbino Adin Steinsaltz, il massimo esperto mondiale di Talmud. L’ex rabbino capo del Regno Unito, Jonathan Sacks, ci aveva scritto un libro dal titolo: “Avremo ancora nipotini ebrei?”. Gli ebrei potrebbero sparire, assimilati ai non ebrei. La domanda posta da Sacks è terrificante: “Riuscirà l’assimilazione a ottenere ciò che a Hitler non riuscì?”. Da Israele è stato lanciato così l’Israel Project, che cerca di portare ebrei della Diaspora anglosassone verso Gerusalemme. Un video recita così: “Metà dei giovani ebrei si assimila e sono persi per sempre. Conosci un giovane ebreo all’estero? Chiama l’Israel Project”.

    Scompaiono anche storiche e piccole comunità come quella dell’Austria. Il presidente degli ebrei, Ariel Muzicant, ha detto: “Se non accade un miracolo, la comunità ebraica in Austria non ci sarà più”. Ci sono quindicimila ebrei in Austria, ma di questi soltanto 8.140 si dichiarano tali. Metà sono diventati “invisibili”. Sono considerati persi. Secondo Muzicant, “comunità ebraiche sotto le diecimila unità non possono sopravvivere”. E il capo degli ebrei austriaci fa i nomi di quelle che rischiano di scomparire dalle mappe geografiche: “Milano, Copenaghen, Vienna, Stoccolma, Praga, Bratislava, tutte queste sono in pericolo di estinguersi in vent’anni. Ci saranno ancora ebrei, ma non più comunità ebraiche funzionanti”.

    Un fenomeno che riguarda anche la diaspora americana. Lo scorso ottobre il Pew Forum pubblicava dati allarmanti sul matrimonio interreligioso salito al 58 per cento (l’ultimo, eclatante, quello del re di Facebook Mark Zuckerberg con Priscilla Chan) e sul fatto che due terzi degli ebrei statunitensi non appartengono a una sinagoga. Agli attuali tassi di natalità e assimilazione, duecento ebrei “laici” di oggi saranno diventati dieci alla quarta generazione.

    Si chiedeva allora nei giorni scorsi un editoriale del quotidiano israeliano Jerusalem Post, commentando i numeri terrificanti provenienti dall’Europa: “Riuscirà l’assimilazione laddove non è riuscito l’antisemitismo?”. E’ quanto ha pronosticato lo studioso Bernard Wasserstein: “Siamo all’ultima scena dell’ultimo atto di oltre un millennio di vita ebraica in Europa”. Un crollo religioso, prima di tutto: “Assistiamo all’appassimento del giudaismo come presenza spirituale nella vita degli ebrei europei”. Dello stesso avviso Norman Cantor, professore della New York University, che dopo tremila anni di storia ebraica vede gli ebrei della Diaspora “tornare a casa nella nebbia della storia, nella rievocazione di tempi ormai lontani, a riposare con il loro Dio”. David Vital, sul Times Literary Supplement, si è chiesto se l’assimilazione, molto inconsciamente, non sia la lenta risposta, settant’anni dopo, all’Olocausto.

    Secondo Menachem Margolin, direttore generale del Rabbinical Center of Europe, una delle ragioni principali di questa massiccia assimilazione è la paura, che è una conseguenza dell’Olocausto: “Le persone non sono orgogliose di essere ebree, ne hanno timore”. Ogni settimana in Francia ci sono incidenti antisemiti. Nel Marais, storico quartiere ebraico parigino, un israeliano è stato appena ferito con un colpo alla testa. Poche ore dopo, teenager maghrebini assaltavano un autobus di studenti ebrei a Sarcelles, altra storica banlieue ebraica parigina, al grido di “morte agli ebrei”. A Lione, una ragazza con al collo una stella di David è stata malmenata da due coetanee che le hanno detto: “Sporca ebrea, tornatene a casa”.

    Negli ultimi anni, l’aliyah, l’emigrazione globale verso Israele, è in forte declino. Ma dalla Francia si è registrato un picco di uscite verso Israele del 312 per cento in più nei primi quattro mesi del 2014. Ariel Kandel, capo dell’Agenzia ebraica in Francia, si aspetta che l’emigrazione supererà quella dall’America, dove pure esiste una comunità dieci volte più numerosa di quella francese. Il ministero dell’Immigrazione israeliano la scorsa settimana ha presentato un rapporto alla Knesset, il Parlamento di Gerusalemme. Si legge nel documento che “due terzi degli ebrei francesi pensano di emigrare”. Pronti a prendere casa nella riviera israeliana. Come accadde ai tempi dell’affaire Dreyfus, quando l’assimilazione funzionava a pieno ritmo.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.