London sharia

Giulio Meotti

Nel 1215 l’Inghilterra promulgò la “Magna Charta Libertatum”. Stabilì che nessun uomo libero potesse essere condannato da un tribunale se non composto sotto giuramento “da huomini della contrada buoni ed honesti”. Ottocento anni dopo, per la prima volta, il glorioso apparato giuridico del Regno Unito cambia volto. E si ibrida, in un esperimento unico al mondo, con l’islam. Non si tratta del Londonistan o dell’islamizzazione, dei ghetti multiculturali o delle minacce, ma dell’immissione dell’islam in settori importanti del governo del paese, dal diritto alla finanza fino all’università. Visto l’alto tasso di presenze islamiche in Inghilterra, la sharia, la legge islamica, entra così di petto nel sistema legale britannico, almeno per quel che riguarda i testamenti.

    Nel 1215 l’Inghilterra promulgò la “Magna Charta Libertatum”. Stabilì che nessun uomo libero potesse essere condannato da un tribunale se non composto sotto giuramento “da huomini della contrada buoni ed honesti”. Ottocento anni dopo, per la prima volta, il glorioso apparato giuridico del Regno Unito cambia volto. E si ibrida, in un esperimento unico al mondo, con l’islam. Non si tratta del Londonistan o dell’islamizzazione, dei ghetti multiculturali o delle minacce, ma dell’immissione dell’islam in settori importanti del governo del paese, dal diritto alla finanza fino all’università.
    Visto l’alto tasso di presenze islamiche in Inghilterra, la sharia, la legge islamica, entra così di petto nel sistema legale britannico, almeno per quel che riguarda i testamenti. Sono state elaborate nuove linee guida per i notai e gli avvocati con l’obiettivo di mettere a punto documenti riconosciuti dai tribunali britannici ma che abbiano allo stesso tempo specifiche caratteristiche conformi ai dettami musulmani. L’iniziativa proviene dalla gloriosa Law Society, l’associazione che rappresenta avvocati e notai in Inghilterra e Galles e, denuncia il Sunday Telegraph, “permetterà di redigere testamenti da cui vengano esclusi i non credenti, oppure che non riconoscano alle donne lo stesso diritto di eredità che viene riconosciuto agli uomini o, ancora, che possano escludere i figli nati fuori dal matrimonio o adottati”. Il presidente dell’associazione, Nicholas Fluck, difende l’iniziativa pro sharia, affermando che è volta a promuovere “una buona pratica”. Emergono i timori su un “sistema legale parallelo”. E c’è qualcuno, come la baronessa Cox, membro della Camera dei Lord da sempre impegnata in campagne per la protezione delle donne dalle discriminazioni, che sottolinea come questi ultimi sviluppi “farebbero rivoltare le suffragette nella tomba”.

    “Questo viola tutto quello per cui noi ci battiamo”, ha detto la baronessa Cox. “Ormai non abbiamo più un solo codice legislativo nella nostra società. A fianco della nostra legge, c’è un sistema quasi legale adottato in alcune comunità musulmane. Con l’aumentare della popolazione islamica e del credo pervasivo del multiculturalismo, la sharia è diventata sempre più potente, così oggi abbiamo 85 corti islamiche nel nostro paese”.

    In una di queste linee guida, che sembra uscita dall’Arabia Saudita, si dice: “Gli eredi maschi ricevono il doppio delle femmine. I non musulmani non beneficiano affatto dell’eredità, e soltanto i matrimoni musulmani sono riconosciuti”. Keith Porteous Wood, direttore esecutivo della National Secular Society, ha detto che queste nuove linee guida segnano “un’ulteriore tappa nel minare il sistema legale britannico dei diritti umani a favore della legge religiosa di un’altra epoca e di un’altra cultura. In questo modo sacrifichiamo i progressi compiuti negli ultimi cinquecento anni”. E Wood mostra una mappa del Regno Unito costellata di corti della sharia. Sono oltre cento.

    In Inghilterra l’avvento di questo sistema giudiziario parallelo “alieno” è stato reso possibile grazie a un codice del British Arbitration Act e dell’Alternative Dispute Resolution, che classifica le corti che fanno riferimento alla sharia come “tribunali arbitrali musulmani”. Nel sistema di Common Law britannico è possibile che le parti decidano di affidare la soluzione di una controversia a un terzo, il cosiddetto “arbitro”. Ma queste corti si fondano, spesso, sul rifiuto del principio di inviolabilità dei diritti umani, dei valori di libertà e di uguaglianza che sono alla base della democrazia inglese.

    I principali tribunali islamici sorgono a Londra, Birmingham, Bradford, Manchester e Nuneaton, nei cuori vivi della grande comunità islamica inglese. Il primo di questi tribunali venne istituito nel 1982 a est di Londra, con il nome di “Consiglio della sharia islamica”. Lo guida Suhaib Hasan, membro autorevole del Consiglio europeo per le ricerche e la fatwa, l’organismo presieduto da Youssef Qaradawi, leader spirituale e giuridico dei Fratelli musulmani. Queste corti formalizzano spesso il “talaq”, il ripudio della moglie da parte del marito. Di “apartheid legale” parla la baronessa Sayeeda Warsi, esponente conservatore di fede islamica. Molte volte, come la corte di Dewsbury, nel West Yorkshire, i tribunali islamici sono registrati come “enti benefici” per godere di esenzioni fiscali. L’Alta corte britannica ha da poco sentenziato, nel caso di una coppia di ebrei ortodossi, che le corti religiose hanno il diritto di gestire i casi di divorzio, sancendo nuovamente la liceità della legislazione delle corti della sharia.

    Nel frattempo quattro dipartimenti del governo (Lavoro e pensioni, Tesoro, Fisco e dogane, ministero dell’Interno) hanno riconosciuto la poligamia. Nonostante la pratica sia illegale in Inghilterra e Galles dal 1604, ovvero dai tempi di re Giacomo, i poligami islamici del Regno Unito beneficiano di privilegi sociali riconosciuti dagli enti pubblici. Questo a causa, come ha detto la baronessa Warsi, della “sensibilità culturale” dei politici inglesi.Così un uomo può ricevere 92,80 sterline a settimana a sostegno del reddito della prima moglie e ulteriori 33,65 sterline per ognuna delle successive consorti. Pertanto, se ha quattro mogli – il massimo consentito dagli insegnamenti islamici – un musulmano può godere di quasi 800 sterline al mese dal contribuente britannico. E’ una norma approvata dal Department for Work and Pensions. Un poligamo ha anche diritto a generosi sussidi per gli alloggi e ad avere grandi case popolari che riflettano le dimensioni della sua famiglia.

    Numerose personalità religiose e giuridiche inglesi hanno aperto a questo sistema giuridico. “La cristianità non influenza più il sistema legale, quindi le corti devono servire una comunità multiculturale”. E’ stato questo il clamoroso messaggio di uno dei più alti in grado fra i giudici britannici, Sir James Munby. Già Rowan Williams, ex arcivescovo di Canterbury, e il presidente della Corte suprema, Lord Phillips, avevano auspicato che il diritto inglese “inglobasse” alcuni elementi della sharia. “Non vi è alcun motivo per cui i principi della sharia non dovrebbero essere la base per la mediazione o altre forme di risoluzione alternativa delle controversie”, aveva detto Phillips.
    Accanto alle corti della sharia, c’è anche una vasta rete di “consigli” informali islamici, che operano esternamente alle moschee, occupandosi quasi sempre di divorzi e di custodia dei figli. Le corti della sharia sono degli uffici spogli, con soltanto l’immagine della Mecca alle pareti e due, tre saggi islamici che dibattono tutto il giorno di questioni legali. Alle loro spalle i tomi di diritto islamico.

    Il più noto magistrato islamico del Regno Unito, Suhaib Hasan, dirige dodici corti sharaitiche fra Londra, Birmingham, Rotherham e Bradford. Anche la moglie dell’imam, Shakila Qurashi, lavora come consulente per le donne nelle corti islamiche e parla del suo lavoro come di “un servizio alle donne”. Ci sono anche magistrati islamici più militanti, come Sarfraz Sarwar, che chiedono di poter applicare anche punizioni corporali. L’imam dice che “il sistema legale inglese è giusto, ma anche troppo docile con i criminali. La sharia può essere un deterrente”.

    Una richiesta di divorzio per un uomo costa 100 sterline, per una donna 250. Gli imam dicono che le cause intentate dalle donne sono “più complicate”. Il caso del 2009 Uddin vs. Choudhury ha fatto giurisprudenza. Riguardava un matrimonio islamico, o nikah, officiato a Londra. Il signor Uddin era il padre dello sposo, mentre la signora Choudhury era la sposa. I doni nuziali includevano una quantità di gioielli d’oro. Il contratto di matrimonio, il nama nikah, prevedeva anche una cifra in denaro. Ma il matrimonio non ha funzionato. Il piano originale era quello di registrarlo qualche tempo dopo la cerimonia islamica, ma questo non è mai successo. La sposa ha chiesto che il Consiglio della sharia a Leyton sciogliesse il nikah (la corte di Leyton è la più antica e dal 1982 ha gestito settemila casi di divorzi). Il marito ha accettato questa procedura, a condizione che la moglie restituisse gioielli e denaro. Così il padre del marito ha portato in tribunale la ex nuora. Si trattava di un contratto di matrimonio islamico e la coppia non era mai stata sposata per il diritto inglese. Il tribunale ha dato ragione alla sposa e il caso ha generato clamore e interesse nella comunità giuridica londinese, perché dei magistrati con l’antica parrucca avevano fatto ricorso all’opinione di imam.

    La legge islamica avanza anche nelle università pubbliche del Regno Unito. Le nuove linee guida delle università, alla voce “External speakers in higher education institutions” redatte dalla commissione Universities UK, prevedono che “gruppi religiosi ultra ortodossi” possano separare uomini e donne durante gli eventi. Si dice che “le preoccupazioni di coloro che si oppongono alla segregazione non devono risultare nella prevenzione che i gruppi religiosi partecipino a un dibattito secondo i loro principi”. Così alla Queen Mary University di Londra le donne hanno dovuto usare un ingresso separato e sono state costrette a sedersi in uno spazio in fondo alla sala, senza poter porre domande a voce o alzare la mano, a differenza del pubblico maschile, neanche fossero a Riad o Teheran. “Sembra che non abbiamo imparato nulla da Nelson Mandela, dato che nei nostri atenei consentiamo che in alcuni incontri con relatori musulmani, le donne debbano sedere in fondo alla sala, separate dagli uomini”, ha commentato il Telegraph. Nella pratica i rettori degli atenei inglesi consentono a gruppi islamici di separare gli studenti dalle studentesse durante gli incontri che avvengono nei campus. L’Università di Leicester ha da poco organizzato una conferenza dal titolo “Dio esiste?”, assegnando posti diversi e separati per maschi e femmine, o detto all’islamica, tra “fratelli” e “sorelle”. Uno dei relatori, Lawrence Krauss, ex consulente di Barack Obama, in quell’occasione ha accusato il Regno Unito di aver ceduto al fondamentalismo islamico. Rupert Sutton, portavoce di Student Rights, associazione che difende i diritti degli studenti, ha detto, sconfortato: “Siamo di fronte a un uso sempre più frequente della segregazione in tutto il paese”.

    Lo scorso dicembre il premier David Cameron, parlando al World Islamic Economic Forum, ha lanciato la candidatura di Londra a “capitale della finanza islamica in occidente”, con l’annuncio del primo bond islamico, o sukuk, emesso da un paese non musulmano. “Voglio Londra al fianco di Dubai e Kuala Lumpur come una delle grandi capitali della finanza islamica in tutto il mondo”, ha detto Cameron di fronte al re Abdullah di Giordania, al presidente afghano Hamid Karzai e al premier pachistano Nawaz Sharif.

    Così il governo inglese ha iniziato a offrire ai lavoratori di fede islamica fondi pensione “islamicamente corretti”. E’ quanto deciso dal National Employment Savings Trust. Nel 2004 ha esordito la prima banca islamica del Regno Unito, la Islamic Bank of Britain, che si muove nel rispetto della sharia, ovvero senza il pagamento di interessi e con investimenti solo in operazioni dove non siano coinvolte le industrie del tabacco, degli alcolici o, peggio ancora, della pornografia. Anche il London Stock Exchange, che gestisce la Borsa di Londra, sta lavorando al lancio di un indice islamico “per facilitare agli investitori l’individuazione di investimenti conformi alla sharia”. Perché come ha detto l’ex-sindaco della City Alderman Roger Gifford, “la finanza islamica dovrebbe essere britannica come il fish and chips, o come il cielo grigio di Londra”.

    • Giulio Meotti
    • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.