
Monopoli infranti
Perché a Confindustria e Cgil basta ascoltare Renzi per perdere la testa
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri ha tentato di ridimensionare la polemica con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “Una contrapposizione mediatica”. Ma ha subito aggiunto che alle “intenzioni” del governo dovranno seguire “fatti vincolanti”, lui che in realtà già sulle “intenzioni” di Renzi ha avuto da ridire, venerdì scorso, temperando (“devo sfatare”) la baldanza dell'esecutivo dopo il primo incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha insistito sulla falsariga del processo alle intenzioni del governo; intervistata dalla Stampa, ha detto che voler “parlare direttamente ai cittadini senza intermediazioni” espone la democrazia a dei “rischi”.
Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, ieri ha tentato di ridimensionare la polemica con il presidente del Consiglio, Matteo Renzi: “Una contrapposizione mediatica”. Ma ha subito aggiunto che alle “intenzioni” del governo dovranno seguire “fatti vincolanti”, lui che in realtà già sulle “intenzioni” di Renzi ha avuto da ridire, venerdì scorso, temperando (“devo sfatare”) la baldanza dell’esecutivo dopo il primo incontro con la cancelliera tedesca Angela Merkel. Il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ha insistito sulla falsariga del processo alle intenzioni del governo; intervistata dalla Stampa, ha detto che voler “parlare direttamente ai cittadini senza intermediazioni” espone la democrazia a dei “rischi”. Risposte puntute al presidente del Consiglio che nel fine settimana si era spinto a giudicare come “un ottimo segnale” la reazione scomposta della “strana coppia”. Perché tanta irritazione preventiva? La convinzione che si raccoglie nell’entourage di Renzi è questa: per cambiare verso all’Italia bisogna mettere mano a due macrocapitoli, “spesa pubblica” e “produttività”. E su questi due mondi le parti sociali reclamano diritti di primazia vari. Infatti “l’intreccio consociativo” italiano, con il pendant della concertazione con le parti sociali – come scrisse Guido Carli (da ex Banca d’Italia, ex Tesoro ed ex Confindustria) – ha fatto sì che “alla vecchia proposizione che ‘il contratto ha forza di legge tra le parti’ si è sostituita quella che ‘la legge ha forza di contratto tra le parti’”. Se per anni anche le parti sociali, invece di limitarsi a redigere contratti, si sono abituate a dettar legge in alcuni campi, non è difficile prevedere possibili collisioni con una politica che adesso si dice esplicitamente pronta a scavalcare Cgil e Confindustria sulla legislazione: “Quando arriveranno i mille euro netti ai lavoratori, gli sconti sull’Irap, quelli sull’energia elettrica – ha detto Renzi al Messaggero – vedremo da che parte staranno lavoratori e imprenditori”. Sottinteso: staranno dalla mia parte, non da quella dei loro rappresentanti ufficiali. Roberto Perotti, economista della Bocconi e coordinatore di un gruppo di lavoro della segreteria di Renzi sulla spesa pubblica, parte da qui per spiegare “la reazione pavloviana” della Cgil alle (solo annunciate) riforme.
Renzi ha preso le distanze da alcune delle indicazioni più radicali del lavoro di Carlo Cottarelli sulla revisione della spesa pubblica, come la messa in mobilità di 85 mila statali e il prelievo sulle pensioni, ma ciò non è bastato a evitare gli attacchi della Camusso. “Intelligentemente, Renzi ha fatto capire che la revisione della spesa comincia dall’alto, così come l’impulso alla produttività dei lavoratori: dal tetto agli stipendi dei manager e dei dirigenti pubblici, dalla necessità di valutare il loro operato e trarne le conseguenze – dice Perotti, che sulla spesa pubblica sta realizzando un lavoro a puntate su Lavoce.info – Questo ha un valore simbolico enorme che potrà essere rivendicato in futuro al cospetto dei cittadini”. Però? “I sindacati si appendono alle espressioni più a effetto di Cottarelli, ma in realtà non accettano in toto il principio proposto: temono che una riorganizzazione della dirigenza pubblica in base a criteri economici e di merito sia l’anticamera di quello che accadrà a tutti i dipendenti pubblici. Se così accadesse, davvero potrebbero perdere il controllo monopolistico sul settore”. Ecco un esempio di diritto di primazia che il sindacato non si vuole far sfilare, anche se il contribuente anonimo – è la tesi di Renzi – potrebbe trarre giovamento da una Pa più efficiente e da tasse meno gravose. Discorso simile vale per la contrattazione privata, sulla quale Renzi finora non si è speso troppo. Ieri a Rai3 il ministro del Lavoro, Poletti, ha detto di voler rafforzare la contrattazione aziendale rispetto a quella nazionale nella quale si muove più a suo agio la Cgil. D’altronde è questa la via che in altri paesi europei (Germania prima, Spagna poi) ha consentito di riallineare salari e produttività, evitando blocchi o tagli generalizzati.
La Confindustria, certo, avrebbe preferito che la riduzione delle tasse si fosse concentrata sull’Irap per le imprese, non sull’Irpef. Ma anche i ritocchi alla spesa non sono vissuti alla leggera a Viale dell’Astronomia: il tetto agli stipendi dei manager non piace ai boiardi di stato, influenti e perdipiù in scadenza di mandato – fanno notare da Palazzo Chigi. E guardacaso le stesse imprese partecipate dal Tesoro che primeggiano in Confindustria sono quelle – con le grandi del manifatturiero – che più sarebbero toccate dallo scambio “meno sussidi pubblici” in cambio di “meno tasse”. Ingoiare tutto ciò, senza nemmeno un giro di consultazioni nella Sala verde di Palazzo Chigi, è roba da far saltare i nervi.


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