Corporazioni urlanti, buon segno

Redazione

Meno di un anno fa, il 25 marzo 2013, l’allora capo del governo incaricato Pier Luigi Bersani consultò per un’intera giornata le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Ma anche il Wwf, Legambiente, Greenpeace, il Touring Club, il Fai, il Club alpino e la Federazione Pro Natura. Nonché don Ciotti e il Forum Giovani. Il giorno prima da Bersani erano saliti la Confindustria di Giorgio Squinzi e altre cinque associazioni imprenditoriali, oltre al presidente del Censis Giuseppe De Rita. Come andò a finire è noto: “Consultazioni non risolutive”, decretò Giorgio Napolitano, passando la palla a Enrico Letta.

    Meno di un anno fa, il 25 marzo 2013, l’allora capo del governo incaricato Pier Luigi Bersani consultò per un’intera giornata le confederazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil. Ma anche il Wwf, Legambiente, Greenpeace, il Touring Club, il Fai, il Club alpino e la Federazione Pro Natura. Nonché don Ciotti e il Forum Giovani. Il giorno prima da Bersani erano saliti la Confindustria di Giorgio Squinzi e altre cinque associazioni imprenditoriali, oltre al presidente del Censis Giuseppe De Rita. Come andò a finire è noto: “Consultazioni non risolutive”, decretò Giorgio Napolitano, passando la palla a Enrico Letta. Il quale si adattò sì a un governo politicamente diverso (le larghe intese) rispetto alla discontinuità anti Cav. bersaniana, ma ereditando la tara genetica di una concertazione asfissiante simboleggiata dal “cacciavite” e infine crollata nella paralisi e nella insignificanza. Anche per questo il nuovo “doppio warning” sulle proposte di revisione della spesa pubblica ricevuto da Matteo Renzi dalla Cgil da una parte, e dalla Confindustria dall’altra, promette bene per il presidente del Consiglio e per il paese.

    Stavolta nel mirino non ci sono il cuneo fiscale e la riforma del lavoro, come invece al primo giro, quando Renzi rispose a Squinzi e Camusso nello stesso identico modo: “Ce ne faremo una ragione”. Ora c’è il presidente confindustriale niente meno “raggelato” dall’ipotesi di abolizione dell’Istituto per il commercio estero (Ice) nel quadro dei tagli prospettati dal commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Mentre la Cgil capeggia la rivolta contro la riduzione di 85 mila posti fra gli statali – peraltro attraverso mobilità e mancato turnover, quindi nessuno spargimento di sangue – con slogan sull’Unità tipo “Attacco al welfare”. Renzi ha risposto ieri alla Camera: “Questo è l’elenco, dopodiché decideremo noi che cosa scegliere”. Stop. Se il punto verrà mantenuto, non ci sarà dunque nessun tavolo con le parti sociali. Come già con le famose slide, il Rottamatore continua a rivolgersi ai cittadini-elettori, ben al di là delle constituency sinistra-destra che finora nella concertazione hanno trovato la sintesi eterna e piagnona al di là del colore degli esecutivi. Piuttosto nel puntare sulle persone comuni, e non su chi si impunta a rappresentarle, Renzi può cadere in alcuni errori da ansia di politicamente corretto, lui che è dopo il Cav. il più scorretto di tutti i governanti visti a Palazzo Chigi. Per esempio parametrare il giusto livello delle pensioni all’imponibile medio dei contribuenti o al pil pro capite equivale a individuare una sorta di “giusto reddito” per campare, il che ricorda francamente il socialismo reale e un egualitarismo che fa a botte con meritocrazia e rottura degli schemi. Così come la crociata contro le rendite contrapposte al lavoro, i cui limiti pratici e ideologici sono stati individuati da Alberto Alesina e Francesco Giavazzi. Su questo fronte il presidente del Consiglio potrebbe magari ripassarsi la formula di William Graham Sumner, filosofo ed economista americano che a fine Ottocento mise il “Forgotten man”, l’Uomo dimenticato, in cima alla scala di valori di una società libera: “Appena A nota qualcosa che gli sembra sbagliato, qualcosa per cui X soffre, ne parla con B, poi A e B insieme propongono un disegno di legge per sanare il male e venire incontro a X. La loro legge si prefigge di decidere che cosa farà C per X. Io intendo studiare C. Lo chiamo l’Uomo dimenticato. Forse non è una definizione correttissima, ma è l’uomo a cui non si pensa mai. Lavora, vota, di solito prega, ma sempre paga”. Se il renzismo davvero penserà soprattutto a C, l’Uomo dimenticato, sarà una rivoluzione. Che travolgerà le difese del Cnel (per il quale Confindustria e sindacati sono in pressing sul Quirinale) ma anche dell’Istituto nazionale di economia agraria, contro il cui taglio è inopinatamente insorto Dario Stefàno, presidente vendoliano della giunta per le Immunità parlamentari. Potrà, come promesso, smantellare o depotenziare i Tar, vera sponda del partito della spesa (se si tratta di imbarcare precari o bloccare un’infrastruttura, un Tar non manca mai). Potrà infine sgominare le molte associazioni per il “bene comune” e di “parenti di”: peculiarità assai italiana di lobbying travestito da giustizia, passepartout di accessi illimitati ai colli più alti dello stato e di rapide carriere parlamentari. E sempre fonti di spese per pochi, pagate da tutti.