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Quei minuti finali di Masterchef che hanno tolto l'aura mitica al programma

Redazione

No, la diretta no. Sono bastati quei dieci minuti scarsi di live per togliere per sempre l’aura mitica a Masterchef. In tre edizioni ci eravamo abituati al pathos, agli sguardi severi e perfidi dei giudici, a scariche di adrenalina improvvise davanti a una melanzana tagliata male, a un sorbetto di rane innaffiate nel burro fuso o a una trippa risottata troppo salata. Magia, appunto. Smontata da una diretta fatta di pause imbarazzanti, silenzi intervallati da Cracco che parlava al microfono con la regia, parolacce di vecchie concorrenti con acidità ancora da smaltire, italiano maccheronico del buon Bastianich.

    No, la diretta no. Sono bastati quei dieci minuti scarsi di live per togliere per sempre l’aura mitica a Masterchef. In tre edizioni ci eravamo abituati al pathos, agli sguardi severi e perfidi dei giudici, a scariche di adrenalina improvvise davanti a una melanzana tagliata male, a un sorbetto di rane innaffiate nel burro fuso o a una trippa risottata troppo salata. Magia. Smontata da una diretta fatta di pause imbarazzanti, silenzi intervallati da Cracco che parlava al microfono con la regia, parolacce di vecchie concorrenti con acidità ancora da smaltire, italiano maccheronico del buon Bastianich. Il tutto condito dall’Ansa che annunciava il vincitore (per la cronaca è stato il nutrizionista torinese Federico Ferrero) diciotto minuti prima che la sacra busta nera con tanto di sigillo notarile fosse aperta davanti al popolo trepidante. Per fortuna c’era il vecchio nonno Alberto, con occhialone da sole benché fossero le undici di sera passate in una Milano invernale a rendere trash il momento tanto atteso. E noi, adepti dello show che ha reso la padella una sorta di reliquia della trisnonna defunta da venerare e adorare e l’anguilla arrosto un totem da difendere dalle contaminazioni culinarie cino-thai-mex-brasi-vietnamite, siamo spaesati, sotto shock. Ridateci il vecchio Masterchef, fatto di montaggi che neanche Kubrick o Spielberg, con la cloche della mystery che non viene alzata finché si torna dal nero pubblicitario. E’ questione di princìpio.