I renzissimi di Renzi

Pietrangelo Buttafuoco

Come nel morire della politica altra sopravvivenza non resta per i politici che Matteo Renzi, così nello schiattare del giornalismo – con tutto il disastro di un mestiere senza più lettori, senza più piccioli – altro fenomeno non c’è che l’attuale presidente del Consiglio. Renzi, titolare dell’unica criniera di raggiante successo, è il dante causa e il puparo conclamato nel ridotto teatrale del semi-potere. Il suo interlocutore non è però Ferruccio de Bortoli, il direttore del Corriere della Sera, un suo faro diventa Federico Geremicca oppure Jacopo Iacoboni (firme della Stampa entrambi) che con un tweet, giusto per scongiurare la concorrenza, rivendica tutto il rivendicabile: “E’ interessante chiedere direttamente a Renzi quali osservatori abbiano intuito il fenomeno-Renzi allo stato nascente. A detta loro, tutti”.

    Come nel morire della politica altra sopravvivenza non resta per i politici che Matteo Renzi, così nello schiattare del giornalismo – con tutto il disastro di un mestiere senza più lettori, senza più piccioli – altro fenomeno non c’è che l’attuale presidente del Consiglio.

    Renzi, titolare dell’unica criniera di raggiante successo, è il dante causa e il puparo conclamato nel ridotto teatrale del semi-potere. Il suo interlocutore non è però Ferruccio de Bortoli, il direttore del Corriere della Sera, un suo faro diventa Federico Geremicca oppure Jacopo Iacoboni (firme della Stampa entrambi) che con un tweet, giusto per scongiurare la concorrenza, rivendica tutto il rivendicabile: “E’ interessante chiedere direttamente a Renzi quali osservatori abbiano intuito il fenomeno-Renzi allo stato nascente. A detta loro, tutti”.

    Come i renziani in politica rivendicano il privilegio di abitare il cerchio magico, così i giornalisti “intuitivi” reclamano i primi raggi della splendente criniera perché, insomma, dopo essersi messo in tasca i parlamentari, il suo partito e perfino il Cavaliere, Renzi che dà del tu ai giornalisti – “Quando posso chiamarti?”, così appunto scrive via sms, al Beppe Severgnini di fiducia – li lancia nella gara dall’unico possibile premio: la sua amicizia, fruttuosa assai, urgente nel momento in cui crepano i giornali e si chiude bottega.

    E ci sono i renzissimi di Renzi. Nel famoso carro dove tutti salgono c’è dunque questo unico osso che può dare brodo e poiché c’è da temere che questa possa essere l’ultima primavera del giornalismo (e forse anche della politica, luogo geometrico ormai senza regole), l’interessante dinamica di cortesia e confidenza con cui Renzi amministra il circo del giornalismo “intuitivo” intorno a lui è qualcosa che racconta lo stato dell’informazione ma anche la conseguente “ideologia”, il suddetto brodo o, in senso lato, la pignatta Italia.

    Dopo di che, certo: l’osso è lui e solo lui. Temendo Marco Travaglio, di cui ha soggezione, lo tempesta di sms. Fa con Travaglio dialettica telematica. E quindi, digita: “Quando posso chiamarti?”. Risposta: “Cosa mi devi dire?”. Sms di decrittazione li invia a Ezio Mauro, mentre l’unico a cui Renzi fa squillare il telefono, sapendolo immerso nell’apnea dell’ispirazione, non certo nella cucina del giornale, è Roberto Saviano.

    L’osso è tutto in lui ma l’ismo del renzismo è il giornalismo dove però, dragando tra gli imberbi blogger (“innamorato” – per come ha sempre dichiarato – “del Foglio”), Renzi maltratta i senatori del mestiere. Ha chiamato De Bortoli ma solo per lamentarsi, e poi saccheggia “Basta piangere”, il libro di Aldo Cazzullo, ed è così guardingo verso ogni pagina che impegni più di tre minuti di concentrazione da avere in uggia la vecchia guardia, al punto che Eugenio Scalfari, vista la situazione, potrà trovare asilo qui da noi, al Foglio (mentre Barbara Spinelli l’ha già trovato al Fatto). Non osate cogliere contraddizioni in questo paragrafo perché l’ismo del renzismo è tutto un copia e incolla, un fior da fiore, un prendere Andrea Scanzi in luogo di Iacoboni. E Scanzi, giustamente, su Facebook gli ha dato l’altolà: “Renzi, oggi, mi è sembrato arguto. Poi ho capito perché: le parti migliori del suo discorso, di nuovo, erano saccheggiate pari pari dal mio libro. Se non altro”, ha scritto sulla sua bacheca, la firma del Fatto, “quando legge, ha buon gusto”.

    Lui è l’osso fenomenale. E’ così multitasking, Renzi, ma curioso nel tic – “Quando posso chiamarti?” – da aggiornare non tanto le procedure d’ingaggio del consenso, quanto la selezione di un ceto dirigente. Alle prese con una pletora narrante che fu giovane e ragazza quand’era contemporanea di due Re (Silvio Berlusconi e Massimo D’Alema), per giunta con due sistemi monetari diversi (Lira e Euro), Renzi coglie da questa stessa pletora pesi, misure, contratti e capacità opposte derivate dall’analogico prima e dal digitale dopo – capacità passate dalla mazzetta unta d’inchiostro all’i-Pad polpastrellato, da “Porta a Porta” a Twitter – il pretesto per farsi redigere quella “bella pagina ancora da scrivere” di cui disse qualche giorno fa presentandosi alla Camera dei deputati. Sempre puntando al giusto equilibrio tra vanità professionale e ambizione.

    Lui è il fenomeno. E la gara è a chi se lo acchiappa prima. Mario Orfeo, direttore del Tg1, si adopera disperatamente per trovare un’esca adatta. Un po’ lo fa per rinverdire il famoso panino, un po’ per la pax di Viale Mazzini ma alla Camera, giusto per dare un dettaglio tecnico, i collegamenti sono solo con il tg de La7. Il dettaglio è tutto del demonio e questo giovane premier, così smart, sa come amministrare se stesso. Lui – che è fenomeno – fa gli sms, certo, ma li riceve pure. E quando Enrico Mentana gli digita “dammi il tempo di mandare in onda la pubblicità”, il molto multitasking presidente del Consiglio aspetta, interagisce coi neri della messa in onda e dispensa se stesso al canale giusto. Ne ricava la giusta luce e parla anche veloce. Si mimetizza nel codice mentaniano. E usa al meglio anche l’elettronica: un fenomeno.

    Lui è, appunto, il fenomeno. A detta di tutti, per dirla con Iacoboni, tutti già ne avevano intravisto la criniera e siccome si deve dirla tutta, lo diciamo: il primo ad aver “intuito” Renzi è David Allegranti del Corriere Fiorentino. Lo fece a suo tempo per il Foglio ed è autore per Vallecchi del primo libro su quello che al tempo – 2011 – era solo il sindaco della sua città. E’ stato così “primo” rispetto a tutti, Allegranti, da essersi guadagnato i galloni della professione. E’ un giornalista “renzologo” più che “renzista”. E Renzi, infatti, non gli invia sms, anzi: gli ha tolto il saluto. E gli ha pure pestato i piedi. Lo ha fatto allo stadio di Firenze, è stata una cosa al modo di Ignazio La Russa (con Corrado Formigli), ma senza il conseguente aita aita sul malsano rapporto stampa/potere. Nessuno ha mai difeso Allegranti perché nessuno ha visto nell’attuale premier un prepotente o un arrogante ras. A differenza di altri, Renzi, che come gli altri s’è irritato perché Allegranti – oltre a non far soffietti – gli aveva messo in copertina una foto con tutti i nei in faccia e non photoshoppati, fa fino. Renzi ha ormai all’attivo un esercito di volenterosi “intuitivi”, e Renzi – dicevamo – non putet. Anzi, olet.

    Renzi, fa fino. Renzi è uno che si porta molto. E con Renzi, che ha quella bella criniera di vincente, fa strada solo il giornalista che prima scrive e dopo pensa, quello che magari lo sollecita su Twitter, quello che gli sta in tasking mentre un altro pensa al multi di future direzioni e smaglianti trasmissioni. Il ricordo di Piero Vigorelli, con la bandiera di Forza Italia al petto, lungo i corridoi della Rai, fa tenerezza al confronto…

    L’ismo del renzismo è il giornalismo. E l’unica maionese che non impazzisce è quella che con la goccia di limone aggiunge la vanità del mestiere nell’ambizione. Li chiama per nome, i giornalisti, e ne evoca il cognome solo quando, con sapienza mediatica, parlando in tivù li eleva al rango di “compagni di strada”. E sempre senza sporcare. “Massimo Gramellini, un giornalista che stimo tanto…”.
    L’ismo irresistibile del giornalismo è il renzismo. Ancora l’altro ieri, in quella sorta di flusso joyciano di Twitter, si poteva leggere tutto il cinguettare di tre autorevoli firme (uno dei quali, strepitoso monellaccio!, sta qui, in questo giornale) su cosa prendersi dal menu, se il Tg3, “Bim Bum Bam” o addirittura il Sole 24 Ore. Perfino l’Unità. O lo spazio di Nicola Porro a Rai2. La parte del leone la faceva Luca Sofri, titolare del Post, il sito internet dei tempi nuovi che sta al renzismo come Publitalia agli albori della Rivoluzione liberale del dottor Berlusconi, e la questione tutta nuova è che dicendo tutto questo non rischiamo di offendere nessuno dei colleghi perché Renzi, di fatto, oltre a ispirare pezzi fondamentali per tutte le conversazioni, profuma chiunque gli si avvicini. Lui, infatti, tanto alla mano com’è, per come ormai scrivono tutti – gli “intuitivi” del fenomeno – è solo uno che “somiglia a Francesco”.

    Chi se lo acchiappa, insomma, non si sporca. Per Francesco – va da sé – s’intende il Papa, il Rottamatore di Santa Romana Chiesa di cui nel mondo mortale si dice un gran bene… la comitiva è la stessa. E questo è già un vantaggio rispetto a Silvio Berlusconi che nel suo trattare in tema di giornalismo, nel fare un complimento – “direttorissimo”, disse di Augusto Minzolini, giunto al Tg1, rovinandolo – provoca anatemi, deturpa carriere e, sempre in tema di immaginario e di comunicazione culturale, attira stroncature. Come quando alla vigilia della Mostra del Cinema di Venezia, a proposito di “Baaria”, il film di Giuseppe Tornatore, parlandone assai bene scatenò la furia della critica che, il giorno dopo, ne disse assai male. Con Berlusconi – ricordate? – ognuno cercava il modo di farsi sputare per ritornare a vita nuova. Ogni sua censura, meglio di un premio Oscar. Come l’editto bulgaro in Rai. Redditizio assai. O come con Dario Fo, ormai dimenticato, che tornò al successo nel ruolo di antagonista nella commedia berlusconiana.

    Storie già vecchie, queste, ma utili nella comprensione del metodo. Se solo – facciamo un esempio – Antonio Polito, intervistato da Anna La Rosa a “Telecamere”, avesse detto: “Conosco Silvio da molto tempo. E’ uno che fa sempre gol. E quando non lo fa sono i suoi avversari a fare autogol”, ecco, se solo fosse successo, è certo che Polito non avrebbe più potuto scrivere sul Corriere della Sera ma quello stesso virgolettato che avete appena letto, recitato per come è stato declamato nell’interezza del suo lessico adolescenziale da Severgnini con Lilli Gruber, a “Otto e Mezzo”, non ha scalfito l’autorevolezza di via Solferino né proclamato lui l’Emilio Fede e lei la Barbara D’Urso di Matteo Renzi perché quest’osso così generoso di brodo non è solo il saltare nel famoso carro, è sempre e solo la cagnacavalla di quello che “somiglia a Francesco”.

    Lui è il fenomeno e con Renzi non è solo questione di cambiare cavallo, il brodo è nel fatto tutto nuovo perché un Severgnini, così giulivo, potrebbe pur accampare con la primogenitura renzista anche un precedente a lui familiare. L’amicizia tra un giornalista e un presidente del Consiglio è qualcosa di già visto. Amicissimi furono Indro Montanelli e Giovanni Spadolini. A quest’ultimo, Montanelli, non lesinava attestazioni di stima. Ma sempre nel vincolo di cinismo e verità. “Ama profondamente una sola persona, se stesso. E ne è profondamente ricambiato”. Questo diceva Montanelli di Spadolini facendo sì che quel suo amico, pur così potente, venisse svelato nel suo più efferato narcisismo, giusto col pistolino piccolo piccolo per come poi – dopo aver letto Montanelli – lo disegnò Giorgio Forattini.

    Lui è il fenomeno e un Severgnini, in questa ultima primavera del giornalismo dove non difetta la vanità, non rischierà certo di generare cinismo e verità, porterà sostanza al tempo che fa, morente, ma vitalissimo nell’istinto di sopravvivenza. E’ successo in politica – luogo geometrico senza regole dove più li ha sputati, Renzi, e a maggior ragione i parlamentari sono accorsi a votarlo – succede sempre di più nel giornalismo dove già in quel suo cercarsi un taxi, da Largo del Nazareno a via del Tritone, un attento osservatore di segni e minacce avrebbe da sbizzarrirsi. E’ un video del sito CorriereTv, “Siparietto con i giornalisti”. Ecco, troverete tutto. Cammina, sorride, avanza, accenna, parla, borbotta, sbotta (ma poco), incede, si ferma. Mette una mano sulla spalla a una cronista. Questa, sbrigativa, gliela toglie. Chiama per nome una di loro, “Wanda, ciao!”, giunge al semaforo, è rosso, si gira su se stesso e rotea un poco la criniera, ma solo un poco, e poi – col verde – acchiappa il taxi e va via. All’accensione dell’albero di Natale in piazza del Duomo a Firenze, l’8 dicembre, allontanò da sé i giornalisti: “Voglio solo i bambini qui. Toglietevi perché vi prendo a calci”. Una importante agenzia di stampa, manco fosse la Stefani di una volta, trasforma in notizie per gli abbonati perfino il dettaglio fisiologico della sua pipì.

    E’ il fenomeno cui tutti danno del tu, Renzi, quando spunta una personalità nuova si eccede in curiosità e lui ricambia con un risultato così surreale che i vecchi del mestiere – quelli del taccuino – avevano vissuto solo con Walter Veltroni, un giornalista tra tanti ancora prima che un politico, uno con cui ci si dava del tu.

    Non c’è che da attendere il primo che correndogli al fianco, complimentandosi per il discorso – per tutti i discorsi che farà – si sentirà dire: “Scrivilo!”. Come accadde a un cronista stordito di felicità nel sentire parlare Bettino Craxi al congresso del Midas. I giornalisti, lui, li solletica al meglio come nessuno ancora aveva saputo fare dovendo – gli Andreotti, i Craxi, per non dire i Berlusconi – districarsi tra potere e consenso o, peggio, tra consenso senza potere.

    Si porta proprio, Renzi. Lui se l’è girate tutte le sette chiese della pletora narrante, l’ha fatto tutto il militare da fare in quel di Cuneo, è nato nelle “Invasioni barbariche” prima ancora di “Tribuna elettorale” dove di certo non pensa di andare. Acchiapparlo per come se lo sono acchiappati in questo concludersi del giornalismo è quasi un aggirarsi dentro un sortilegio, un’illusione di potere, un fottersene tra gli applausi di una stagione che va per come deve andare: dal multitasking al multiparaculismo. L’unica ideologia del renzismo è dunque questo sproposito di giornalismo. In mancanza di carne, l’unico osso che può dare brodo. Il famoso brodo “intuitivo”.

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.