Rischi come nei Balcani

La piazza di Kiev ha perso la sua identità, il regime va all'assalto finale

Luigi De Biase

Si potrebbe pensare che il prestito miliardario concesso dal Cremlino alimenti soprattutto il fuoco scoppiato negli ultimi giorni per le strade e le piazze di Kiev, più che la malandata economia dell’Ucraina. Martedì mattina il ministro russo delle Finanze, Anton Siluanov, ha fatto sapere di avere sbloccato una nuova tranche del finanziamento, due miliardi di dollari rispetto ai quindici stanziati il mese scorso dal Cremlino.

    Si potrebbe pensare che il prestito miliardario concesso dal Cremlino alimenti soprattutto il fuoco scoppiato negli ultimi giorni per le strade e le piazze di Kiev, più che la malandata economia dell’Ucraina. Martedì mattina il ministro russo delle Finanze, Anton Siluanov, ha fatto sapere di avere sbloccato una nuova tranche del finanziamento, due miliardi di dollari rispetto ai quindici stanziati il mese scorso dal Cremlino. E poche ore più tardi Maidan Nezalezhnosti, la grande piazza dell’Indipendenza ucraina nel centro della capitale, è tornata a essere un campo di battaglia dopo alcune settimane di tregua, anzi, di attesa. Il bilancio è terribile, l’Europa non vede nulla di simile dai tempi della guerra nei Balcani: i morti sono almeno 26 (e fra loro ci sono anche un giornalista e sei uomini delle forze di sicurezza), i feriti non si contano, gli ospedali sono al limite operativo. Per le cancellerie dell’Unione europea la responsabilità di quei morti e dei disordini che scuotono Kiev, Leopoli, Ternopil’ e il resto dell’Ucraina è del presidente, Viktor Yanukovich, che governa dal 2010 e ha già ricevuto critiche pesanti in passato per questioni legate ai diritti umani – si pensi allo scalpore suscitato dall’arresto e l’incarcerazione di Yulia Timoshenko, già capo dell’opposizione. Il premier britannico, David Cameron, invita Yanukovich a fare un passo indietro, i ministri degli Esteri europei valutano l’ipotesi di sanzioni economiche che dovrebbero colpire Yanukovich e gli uomini che controllano le operazioni antiterrorismo a Kiev. Per la Casa Bianca le scene viste in questi giorni a Kiev sono “un oltraggio” (gli Stati Uniti avrebbero già bloccato i visti ad alcuni rappresentanti del governo ucraino). Opposta la versiona russa: per il Cremlino, in Ucraina è in corso un colpo di stato, un tentativo violento di abbattere un leader eletto dal popolo. E’ normale che Yanukovich sposi questa versione, e che convochi nuovamente nel suo palazzo Vitaly Klitschko e Arseniy Yatsenyuk, i due volti più noti dell’opposizione, sempre più deboli e compromessi agli occhi della piazza.

    Dietro le dichiarazioni da cortina di ferro, Vladimir Putin cerca una soluzione pacifica a una rivolta che già rappresenta una preoccupazione per la sicurezza interna. “La priorità è risolvere la crisi causata dagli estremisti”, ha detto ieri il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, schivando le domande sul destino dei due miliardi che la Russia avrebbe già dovuto versare all’Ucraina, e che potrebbero ancora essere fermi nelle casse del governo russo.

    Ieri sera Yanukovich ha firmato la destituzione del capo dell’esercito Volodymyr Zamana e la sua sostituzione con il capo della marina Yuriy Ilyin, segno di insofferenza nelle Forze armate ucraine per la gestione della crisi. A Kiev non è stato proclamato lo stato di emergenza, ma tutto si muove come se ci fosse. Gli aeroporti sono aperti, le strade che conducono in città non lo sono, perché la polizia ferma le auto dirette nelle capitale, i treni sono fermi e così anche la metropolitana. Cinquecento paracadutisti di stanza a Dnipropetrovsk avrebbero ricevuto l’ordine di sorvegliare gli arsenali in tutto il paese. E oltre ai berkut, i mastini del ministero dell’Interno che cercano di arginare la rivolta, entrano in azione anche i cosiddetti titushky, che sono uomini della malavita al servizio di interessi ombrosi. L’Ucraina probabilmente non rischia di dividersi com’è accaduto alla ex Yugoslavia, ma i fuochi della rivolta hanno raggiunto gli altri centri del paese, potrebbero avere un raggio più vasto, rischiando di affascinare i paesi del Caucaso, e questo è un problema in più per Putin e per i suoi diplomatici, che obbligherà le parti in lotta a prendere decisioni nette: trattare o scegliere la strada dell’intransigenza.