Capello o toupè?

Jack O'Malley

Il premio That Win The Best va per acclamazione popolare a Fabio Capello, che ha espresso con voce autorevole ciò che qui e non solo qui si ripete con insistenza da monomaniaci: “Il campionato italiano non è abbastanza competitivo”. E vorrei fermarmi qui un attimo prima della polemica che, chissà perché, l’ipersensibile Antonio Conte ha trascinato sul livello personale ringhiando una lunga serie di “e quella volta che tu…” che lisciano completamente il bersaglio. Capello ha ovviamente ragione: le squadre vendono i loro pezzi più pregiati e rimangono lassù in classifica, a contendersi gli obiettivi che contano, mentre in Europa le cose vanno come sappiamo, controprova della flessione generale.

 

Leggi anche Crippa Onore a Conte: toupè! - Giuli Un daspo per Conte - Pace Signora e signore - Pardo Succedono cose strane - Fox Arbitrare in calzamaglia e con il velo in testa

    “I wouldn’t say I was the best manager in the business… but I was in the top one” (Brian Clough)

    And the winner is. Il premio That Win The Best va per acclamazione popolare a Fabio Capello, che ha espresso con voce autorevole ciò che qui e non solo qui si ripete con insistenza da monomaniaci: “Il campionato italiano non è abbastanza competitivo”. E vorrei fermarmi qui un attimo prima della polemica che, chissà perché, l’ipersensibile Antonio Conte ha trascinato sul livello personale ringhiando una lunga serie di “e quella volta che tu…” che lisciano completamente il bersaglio. Capello ha ovviamente ragione: le squadre vendono i loro pezzi più pregiati e rimangono lassù in classifica, a contendersi gli obiettivi che contano, mentre in Europa le cose vanno come sappiamo, controprova della flessione generale. Di queste affermazioni dovrebbero essere più preoccupate le società che gli allenatori: a loro tocca inventare il modello di business per ridare dignità a un campionato che sta scivolando verso le amarezze della Liga (ok, forse il paragone è ingeneroso, ma di questo passo tempo due-tre anni e ci siamo). Poi, certo, se voi italiani continuate a farvi rappresentare presso il mondo anglofono da Beppe Severgnini non uscirete mai dal tunnel, nemmeno con un primo ministro giovane e pieno di promesse che poi va allo stadio e sta tutto il tempo attaccato all’iPhone (andare in tribuna per farsi inquadrare e pensare ad altro fa vecchia politica e vecchio calcio, meglio stare a casa).

     Celia Kay, la modella che avrebbe avuto una storia con il giocatore dell’Arsenal Olivier Giroud, in uno dei rari scatti in cui è molto vestita

     

     

    Se poi voglio proprio immergermi nelle polemiche sterili fra allenatori preferisco quelle fra Mourinho e Wenger, che iniziano velenosi scambi di finte cortesie e immancabilmente sbracano. Mou ha assunto la posa di quello che, dal primo posto in classifica, snobba la Premier, dice che di vincerla non gli interessa poi molto, e figurarsi della FA Cup, dove il suo Chelsea ne ha presi due dal City. E fra una cosa e l’altra dice al collega dell’Arsenal che è specializzato in fallimenti, e qui non si tratta di scudetti assegnati e revocati – l’Italia è una Repubblica basata sull’interpretazione di un giudice sportivo – ma di otto anni di vorrei-ma-non-posso che sono, in effetti, il tratto fondamentale della legacy di Wenger.

    La fidanzata di Kieran Richardson, Natalie Suliman, si piazza in barriera

     

     

     

    L’Arsenal eterna incompiuta è un luogo comune universale mica per niente. Lui risponde, sprezzante, che non ha voglia di parlare di argomenti tanto futili e intanto sfotticchia leggermente l’avversario dicendogli che ormai la premier la può perdere soltanto lui (e intanto vince contro il Liverpool in coppa). Solo che Mou, bontà sua, dice che non gliene frega nulla, ed eccoci nel bel mezzo della classica argomentazione circolare di Mourinho. Anche qui è difficile trovare l’aporia nella logica mourinhana, così simile a quella di Capello (i due si scambiano complimenti alla grande) e che fa uscire pazzi interlocutori troppo francesi o troppo nervosi per ribattere sensatamente.

    Leggi anche Crippa Onore a Conte: toupè! - Giuli Un daspo per Conte - Pace Signora e signore - Pardo Succedono cose strane - Fox Arbitrare in calzamaglia e con il velo in testa

    Sheffield. Lasciatemi essere romantico per una volta, e credere che la svolta sia avvenuta davvero durante l’intervallo. E’ domenica, e a Bramall Lane, lo stadio dello Sheffield United, si gioca il quinto turno della FA Cup. I padroni di casa, ventiduesimi nella terza divisione inglese, hanno già eliminato due nobili della Premier League, l’Aston Villa e il Fulham, in tre partite piuttosto brutte. Tre, perché col Fulham si è giocato due volte: dopo l’1-1 di Sheffield, i Blades hanno vinto a Craven Cottage grazie a un gol all’ultimo minuto dei supplementari. Per quell’insondabile mistero che è la FA Cup, per la prima volta dopo 25 anni una squadra di terza divisione ha l’opportunità di arrivare ai quarti di finale. Succede anche questo, in Inghilterra, ma meno spesso di quanto si creda. Prima, comunque, bisogna battere in casa il Nottingham Forest (che gioca in Championship, seconda divisione). Tra Sheffild e Nottigham ci sono meno di quaranta miglia, ma la rivalità tra le due nobili e malandate società questa volta non è soltanto geografica. Tutti gli incroci possibili del destino calcistico si danno appuntamento a Bramall Lane. L’allenatore dello Sheffield è Nigel Clough, che nel 1984 esordì come attaccante nel Nott’m Forest. Lo allenava Brian Clough, suo padre e leggenda del calcio britannico: qualche anno prima aveva vinto due Coppe dei Campioni di fila alla guida del Forest, entrando nella storia con il piglio di chi ci vuole restare per sempre. Nigel non è Brian, ma nel calcio la storia non è un concetto assoluto. Battendo il Nottingham può scriverne un pezzo. Qualche mese fa Clough allenava il Derby County  (15 miglia da Nottingham) e venne esonerato dopo una sconfitta contro il Forest. Al confronto di questa, le sfide con Aston Villa e Fulham non valgono niente. Gli spalti rigurgitano entusiasmo, ma il primo tempo è triste come una giornata di nebbia. Il Nottingham Forest, che in campionato e in coppa attraversa un periodo grandioso, passa in vantaggio con un colpo di testa di Paterson. I Blades sono molli, e vanno al riposo sotto di 1-0 ringraziando il portiere per il passivo non troppo pesante. Succede però che durante l’intervallo arrivi la notizia. Sono appena stati fatti i sorteggi per i quarti di finale, e se lo Sheffield United passerà il turno se la vedrà con la vincente di Sheffield Wednesday-Charlton. Se si batte il Nottingham Forest non solo si fa un pezzo di storia, ma ci si va a giocare il derby più importante di sempre, contro i cugini che militano in Championship, una serie più su.

    Appresa la notizia, Clough ci pensa un po’. Poi, mentre i ragazzi rientrano in campo, glielo dice. Se vinciamo oggi, c’è il derby. Lo United cambia testa, e al sessantaseiesimo Coady raccoglie nell’area del Forest un pallone scivolato dalle mani del portiere avversario e insacca. Bramall Lane esplode, la gente – che sa del sorteggio – ci crede. Il secondo tempo corre via veloce, però, e al 90’ sembra chiaro che si dovrà giocare il replay a Nottingham. Il calcio però è imprevedibile, direbbe un cronista poco originale, e su un innocuo affondo in area dello Sheffield un difensore del Forest scivola e tocca il pallone con la mano. Rigore. Chris Porter lo calcia davanti alla curva. Tira di piattone. Non incrocia. Palla da una parte e portiere dall’altra. 2-1. Dagli spalti c’è gente impazzita che entra in campo ad abbracciare i giocatori dello United con le lacrime agli occhi. A fatica l’arbitro li fa ritornare al loro posto. Ci sono ancora 6 minuti di recupero. Giusto il tempo per segnare il 3-1 definitivo. Ancora Porter, incredulo. Al fischio finale i tifosi entrano in campo piangendo, ballano, corrono e si abbracciano. La curva, ebbra di gioia, canta il coro di chi si avvicina alla finale: “Que sera sera / whatever will be will be / we are going to Wembley”. Adesso, per la prima volta, i fan dei Blades tiferanno per gli odiati cugini del Wednesday: il derby ai quarti di finale di FA Cup sarebbe apoteosi quasi mistica per una squadra che in campionato lotta per non retrocedere in quarta divisione. Non stupitevi più di tanto, però: Sheffield è il posto in cui il calcio come lo conosciamo oggi è nato. E’ qui che nel 1857 Nathaniel Creswick fondò la prima società della storia, lo Sheffield Fc. Questa squadra esiste ancora, non ha vinto nulla tranne una FA Amateur Cup nel 1904, gioca in un campo in periferia con spalti che contengono al massimo 1.500 persone. Alle panchine si accede passando in un pub dove tifosi e giocatori bevono birra dopo ogni partita. Hanno un solo difetto: il loro presidente onorario è Joseph Blatter.

     

    TAGLI DI LUCE POTENTI
    I migliori tweet di Aldo Serena

    @jack_omalley comprensione e banalità o sarcasmo e cinicita'?ho sentito il dolore sulla pelle ela reazione è stata comprendere non acredine

    — Aldo Serena (@Aldito11) 12 Febbraio 2014

    @jack_omalley Parlavo di me e di come ci si possa porre come osservatori in fatti odierni simili ad un proprio vissuto precedente

    — Aldo Serena (@Aldito11) 12 Febbraio 2014