
Colpa umana, clima impazzito, diluvio: il Noè di Hollywood è tratto da un report dell'Onu più che dalla Bibbia
La profezia era scritta nel tema che Darren Aronofsky ha composto quand’era alle medie. La professoressa di inglese aveva chiesto agli studenti di esercitarsi intorno al tema della pace, e il giovane Aronofsky aveva prodotto un racconto liberamente tratto dalla vicenda della colomba di Noè, quella che torna dapprima a becco vuoto e poi con il proverbiale ramoscello d’ulivo (Noè nella circostanza aveva liberato anche un corvo, è bene ricordarlo per gli appassionati del genere corvo vs colomba).
La profezia era scritta nel tema che Darren Aronofsky ha composto quand’era alle medie. La professoressa di inglese aveva chiesto agli studenti di esercitarsi intorno al tema della pace, e il giovane Aronofsky aveva prodotto un racconto liberamente tratto dalla vicenda della colomba di Noè, quella che torna dapprima a becco vuoto e poi con il proverbiale ramoscello d’ulivo (Noè nella circostanza aveva liberato anche un corvo, è bene ricordarlo per gli appassionati del genere corvo vs colomba). Il racconto era a tal punto riuscito che la professoressa l’ha inviato a un concorso sulla pace organizzato dall’Onu, gara che Aronofsky ha vinto a mani basse.
Era naturale che, trent’anni più tardi, il Noè messo in scena dall’Aronofsky diventato regista in un epico blockbuster con Russell Crowe somigli più a un apocalittico burocrate dell’Ipcc che a un profeta biblico. Aveva vinto un concorso dell’Onu, non della Bible Society. La realtà è che al momento del film da 125 milioni di dollari in uscita a fine marzo negli Stati uniti si sa ancora poco. C’è un trailer ufficiale lanciato durante il Superbowl che fa presagire effetti speciali da paura, costumi riciclati dal Signore degli Anelli (ignoto a oggi il motivo esatto del tocco fantasy-medievale che il regista ha voluto dare alla situazione, dice che si era stufato delle barbe bianche, dei sandali e delle tuniche) e musiche di un’improbabile Patti Smith.
Ma c’è anche che i produttori della Paramount, non certo degli sprovveduti, hanno intuito che il profeta è materia sensibile da maneggiare e attirarsi le ire congiunte di tutte le religioni del libro con una rappresentazione approssimativa o cialtrona non è una strategia di marketing geniale. Del resto, Noè è il profeta che ha salvato due esemplari di “ogni essere che ha un alito di vita nelle narici”, genere umano incluso, almeno una punta di rispetto appare dovuta. Così la casa di produzione, contro la volontà del regista (che in questo caso è anche sceneggiatore e produttore) ha organizzato una serie di screening a film ancora incompleto con un pubblico selezionatissimo per testare gli effetti. Il numero due della Paramount, Rob Moore, uno dei pochi cristiani di Hollywood, era particolarmente preoccupato dalla reazione degli evangelici, che non sono noti per l’accondiscendenza verso le distorsioni del dettato biblico. E in effetti i commenti che hanno ottenuto – e che l’Hollywood Reporter ha carpito – non sono sempre positivi, anzi. Il problema non è il numero di cubiti dell’arca, sui quali Aronofsky non sgarra – del resto gli basta seguire il testo: trecento di lunghezza, cinquanta di larghezza, trenta di altezza, su tre piani – o la coerenza con il dettaglio irrilevante, quanto la rappresentazione della personalità di Noè, profeta di cui la Bibbia racconta molte gesta ma pochissime parole. Nei suoi 950 anni di vita Noè parla direttamente soltanto per maledire il nipote che lo scopre ubriaco nella sua tenda. Per costruirci un film ci sono parole da inventare e tratti da definire, e molti sono rimasti delusi – per non dire furiosi – per quanto è tetra e umbratile la figura del profeta che carica la famiglia sull’arca e lascia al diluvio tutti gli altri.
Inevitabile poi che si cada dalle parti dell’ambientalismo militante. La storia, ridotta ai minimi termini, è quella di una colpa punita con un diluvio universale: se si elimina l’elemento divino ci sono gli stessi ingredienti di una conferenza sull’ambiente al Palazzo di vetro. La colpa sono le emissioni nocive con cui l’uomo (intrinsecamente malvagio) sta distruggendo la natura (intrinsecamente buona); il contrappasso è il global warming che innalza il livello degli oceani, spezza il metabolismo climatico naturale e sommerge ogni cosa. Sullo scioglimento delle calotte polari la Scrittura sorvola, lasciando un generico “eruppero tutte le sorgenti del grande abisso” che nelle mani di un regista può diventare qualunque cosa. Magari Noè si salva perché in famiglia facevano la raccolta differenziata. Altro tema che preoccupa il Noè-Russell Crowe è la sovrappopolazione, un mito che andava per la maggiore quando non era chiaro se l’uomo si sarebbe estinto per il buco nell’ozono, per la fine dell’acqua o perché meglio pochi ma buoni. Anche qui il Genesi nelle mani di Hollywood si può modificare a piacere: “Il Signore vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male”. Non potrebbe essere il racconto della ribellione dell’ambiente contro quell’immondo parassita dell’uomo? All’Onu gradiranno parecchio la versione ambigua che ha fatto storcere il naso all’audience religiosa. L’apocalisse è il prodotto che la congrega dell’ambientalismo vende, e qui c’è il disastro per sommersione, che cinematograficamente si presta anche meglio di quell’altra apocalisse, più visionaria e fanta-horror, con il drago che trascina giù un terzo delle stelle del cielo. “Il film vi piacerà, se non siete troppo religiosi”, ha detto un pastore citato dall’Hollywood Reporter. Altri non l’hanno presa così alla leggera e si sono lamentati della riduzione a storiella fantasy con ammonimento durissimo ma in fondo edificante, corredato da Noè nella parte del profeta che non deve chiedere mai e s’infila sull’arca insieme all’élite familiare che si salva dal diluvio (il solito nepotismo, altra chiave di lettura) mentre il resto dell’umanità incazzata si presenta al cantiere come un’orda vichinga.


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