
Imprenditori della lamentela
Nella fase complessa e per certi aspetti decisiva di passaggio dalla crisi finanziaria alla possibile ripresa produttiva, dovrebbero avere un peso rilevante proposte e idee provenienti dal mondo dell’impresa. Dovrebbero, se ci fossero. Invece, a parte la vicenda Fiat che comunque s’è sviluppata in un ambiente più ampio di quello nazionale, dalle rappresentanze del mondo produttivo sono venute solo lamentele, querimonie, richieste di sussidi più o meno giustificate, ma nessuna prospettiva capace di incidere in modo costruttivo sull’opera indispensabile di riforma del sistema e delle sue regole.
Nella fase complessa e per certi aspetti decisiva di passaggio dalla crisi finanziaria alla possibile ripresa produttiva, dovrebbero avere un peso rilevante proposte e idee provenienti dal mondo dell’impresa. Dovrebbero, se ci fossero. Invece, a parte la vicenda Fiat che comunque s’è sviluppata in un ambiente più ampio di quello nazionale, dalle rappresentanze del mondo produttivo sono venute solo lamentele, querimonie, richieste di sussidi più o meno giustificate, ma nessuna prospettiva capace di incidere in modo costruttivo sull’opera indispensabile di riforma del sistema e delle sue regole. Basti pensare che mentre tra le forze politiche, bene o male, il tema della riforma del lavoro ha assunto un rilievo decisivo, da parte di Confindustria, che pure ora ha chiesto il cambio di passo, o meglio di governo, non è arrivato alcun contributo significativo.
Chiedere di ridurre il carico fiscale, naturalmente, è legittimo e sacrosanto, però è abbastanza chiaro che per concentrare risorse già scarse sulla riduzione del cuneo fiscale serve un minimo di certezza che tale scelta avrebbe poi effetti consistenti (e verificabili) in tempi ragionevoli sull’andamento dell’occupazione. Questo effetto non è affatto automatico, solo un keynesismo da apprendisti stregoni può trascurare il fatto che se non si rende più fluido il mercato del lavoro il trasferimento di effetti positivi dalla finanza all’occupazione, sempre che avvenga, richiede tempi prolungati e rischia di perdersi per strada. E’ avvenuto in Spagna in modo assai celere proprio perché si era riformato il lavoro, non avverrebbe in Italia se si mantengono tutti i lacci e i lacciuoli che ingabbiano le potenzialità produttive.
In Confindustria tutte queste cose le sanno benissimo, come si può leggere anche nei rapporti periodici dell’Ufficio studi dell’organizzazione. Se i dirigenti della rappresentanza industriale hanno scelto di non impegnarsi sul terreno riformatore prendendo invece la guida di una specie di movimento dei lamentosi è per una ragione precisa: per la convinzione che sia più utile presentarsi come guida di una sorta di patto dei produttori insieme alle Confederazioni del lavoro, patto che però può trovare una sua unità solo nella richiesta di fondi, e su nient’altro. Ma il governo al quale hanno rivolto la loro richiesta, in nome della concertazione, non c’è più. E ora?


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