Gli evangelisti della laicità

Redazione

Non sono un esperto teologo ma vorrei proporre alcuni approfondimenti su come l’insegnamento del Santo Padre viene recepito dalla prospettiva di un rappresentante statunitense. L’obbligo dei cattolici laici di impegnarsi in politica come elettori oppure come eletti e funzionari divenne una questione  urgente durante il Concilio Vaticano II e le osservazioni di Benedetto XVI in questa raccolta riflettono questa preoccupazione.

di Paul Ryan

    Riportiamo stralci della prefazione che il deputato repubblicano Paul Ryan ha scritto alla raccolta di discorsi di Joseph Ratzinger intitolata “Il posto di Dio nel mondo. Potere, politica, legge”, recentemente pubblicata dall’editore Cantagalli.

    Non sono un esperto teologo ma vorrei proporre alcuni approfondimenti su come l’insegnamento del Santo Padre viene recepito dalla prospettiva di un rappresentante statunitense. L’obbligo dei cattolici laici di impegnarsi in politica come elettori oppure come eletti e funzionari divenne una questione  urgente durante il Concilio Vaticano II e le osservazioni di Benedetto XVI in questa raccolta riflettono questa preoccupazione. La mole di libri, omelie, discorsi, saggi, e altri documenti scritti da Papa Benedetto, non solo durante il suo pontificato, ma nell’arco di decenni come professore, sacerdote e vescovo, è senza precedenti. Unitamente alla vasta quantità di testi del suo predecessore, il beato Papa Giovanni Paolo II, richiederà molti anni di studio da parte della chiesa per assorbirne il lascito. Ma già adesso possiamo vedere in Papa Benedetto XVI un evangelista della libertà i cui insegnamenti correggono gli equivoci riguardo a questo tema nella cultura odierna.

    I concetti di diritti umani e libertà religiosa furono sviluppati in principio da pensatori che attingevano alle radici cristiane della cultura europea, ma furono incarnati nella pratica legislativa per la prima volta nella Dichiarazione d’Indipendenza americana e nella sua Costituzione. Papa Benedetto spiega l’Idea americana così: “Al centro di ogni cultura, percepito o no, vi è un consenso riguardo alla natura della realtà e del bene morale, e quindi sulle condizioni per la prosperità umana. In America tale consenso, così come racchiuso nei documenti fondanti della nazione, si basava su una visione del mondo modellata non soltanto dalla fede, ma anche dall’impegno verso determinati principi etici derivanti dalla natura e dal Dio della natura”.

    I fondatori degli Stati Uniti ritenevano che tutti gli esseri umani ricevono dal Creatore alcuni diritti che derivano dalla loro natura di persone, non dalla loro condizione di cittadini sotto un sistema di governo. Sostenevano infatti che la missione più elevata di un sistema di governo è di assicurare questi diritti naturali contro la violenza da parte di altri individui e contro la tentazione del governo stesso di negare i diritti di alcuni all’interno della società civile stessa. Il primo di questi diritti è la libertà di religione.

    La maggior parte dei fondatori apparteneva a confessioni cristiane e condivideva i “principi etici” comuni alla cultura cristiana occidentale del Diciottesimo secolo. Stabilirono un ordine costituzionale che si basava sul presupposto che gli uomini e le donne di sani principi sono in grado di autogovernarsi in libertà all’interno di ordinamenti stabiliti rettamente. L’autogoverno accolse la fede come uno dei pilastri del carattere nazionale.

    Il consenso generale riconobbe la connessione intima tra moralità e credo religioso (…). L’idea di un governo senza una religione ufficiale fu accettata solo lentamente dalla dottrina cattolica. Mentre in America la libertà religiosa incoraggiava la fede in Dio e lo spazio per la religione in politica e nella società, dopo la Rivoluzione francese in Europa la libertà religiosa era generalmente ancorata nell’indifferenza o nell’ostilità alle verità di fede (…). Benedetto XVI riconosce che il contrasto tra queste posizioni culturali e politiche riguardo al ruolo della religione  nella società non è diminuito. Distingue tra “laicismo” e “sana laicità”. Il “laicismo” è un atteggiamento di “esclusione della religione dal contesto sociale e di confine della coscienza individuale”. Esso richiede che lo stato… “consideri la religione semplicemente come un sentimento individuale da confinare alla sola sfera individuale” (…).

    Nella mia esperienza i cattolici che rivestono incarichi di governo sono tentati di relegare la loro coscienza personale in comparti separati dalle loro prese di posizione pubbliche, come se la coscienza fosse una questione privata senza rilevanza per il bene comune. Ma ogni decisione  politica deve essere misurata in base a norme morali oggettive, non in base ai sondaggi (…). Bisogna anche ammettere che tra il clero, le religiose e le commissioni episcopali, alberga la tentazione di emettere giudizi affrettati nei confronti di pubblici ufficiali fedeli che cercano con sincerità di promuovere il bene comune secondo modalità diverse da quelle da loro auspicate. Disattendono così il monito del Santo Padre riguardo al fatto che non è competenza della religione proporre soluzioni politiche concrete.
    Entrambe le parti non riescono a distinguere il numero più ristretto di questioni che contengono mali intrinseci, dalla grande maggioranza delle questioni che richiedono giudizi prudenziali e riguardo alle quali persone ugualmente in buona fede possono differire ampiamente. Il richiamo di Benedetto al dialogo tra la Chiesa e i pubblici ufficiali, in particolare tra cattolici impegnati in politica e i loro vescovi, fa convergere principi morali e soluzioni pratiche mediante la prudenza politica, e questo è il dovere del laicato sia in ruoli di governo che nella società civile. Tra i principi del magistero di Papa Benedetto vi sono le virtù della solidarietà e della sussidiarietà, che si sostengono reciprocamente (…). Una versione politica di questa religione dinamica è ciò che gli americani chiamano “federalismo”. La Costituzione americana fu la prima a incarnare questa idea come principio basilare di governo. In tal modo, al governo centrale a Washington è stato attribuito un numero limitato di poteri importanti per mantenere gli stati uniti e in sicurezza. Questi poteri includono l’uso delle forze militari per proteggere la nazione contro attacchi stranieri, e poteri legislativi che sostengono un mercato economico nazionale finalizzato alla promozione della prosperità generale. I governi dei 50 stati, con le loro suddivisioni locali, hanno la maggior parte dei poteri propri di un governo, soprattutto il controllo di polizia per far rispettare le leggi. Questa forma organizzativa, in accordo con la sussidiarietà, salvaguarda la libertà e l’ordine delle comunità locali del nostro paese, comprese le chiese, le famiglie, le imprese, i mercati, i sindacati, le scuole e altre istituzioni private che costituiscono la catena di relazioni che forma il vissuto quotidiano del nostro popolo.

    Il Santo Padre esprime forti critiche sia verso i sistemi marxisti che quelli capitalisti. La sua preoccupazione è che entrambi  “falsifichino la nozione di realtà distogliendola dalla realtà fondante e decisiva che è Dio”. Come rappresentante al Congresso ho difeso con costanza ciò che gli americani chiamano capitalismo. Papa Benedetto ha ragione a richiamare l’attenzione sui risultati di entrambi i sistemi nelle loro tendenze a focalizzarsi sull’incremento della ricchezza come fine in se stesso. Il capitalismo può incoraggiare una mentalità consumista; il marxismo incoraggia l’invidia, aggravata dall’impoverimento tipico delle società socialiste. Ma i peccati mortali non sono limitati a un solo sistema economico, a una nazione, o a una fase storica. L’avarizia, l’invidia e l’orgoglio si manifestano non solo a ogni livello socioeconomico, ma anche negli ambienti politici. Lo Stato ha un appetito pericoloso di una quantità sempre maggiore di risorse economiche attraverso la tassazione e il prestito, allo scopo di ottenere consenso elettorale con programmi di spesa crescenti. Questo può provocare gravi danni al bene pubblico, incoraggiando spesso i poveri a diventare sempre più dipendenti dai sussidi pubblici. Gli effetti di un indebitamento pubblico eccessivo, risultante da una spesa incontrollata, sono stati una preoccupazione costante per il Papa Benedetto (…).

    La vera domanda posta dal Santo Padre è se sia possibile istituire un sistema economico organizzato in maniera tale da ottenere il benessere e la soddisfazione dei bisogni della persona umana tutelandone la dignità (…).
    Il Papa scrive che “un autentico sviluppo deve essere integrale, (…) diretto alla promozione della persona nella sua totalità”. Il solo sviluppo economico non è sufficiente per la “pienezza di vita che ci ha insegnato Cristo”. La missione evangelizzatrice – non quindi l’economia o l’indirizzo politico – della chiesa, deve consistere nell’aiutare il mondo a dare la priorità alla libertà perché si accordi con la struttura di realtà che inizia e si conclude nella parola creatrice di Dio.

    Papa Benedetto è diventato maestro e taumaturgo della libertà in primo luogo perché possiede una mente non dogmatica e liberale in un’accezione oggi quasi perduta. Aperto alla verità dovunque si trovi, si confronta con il pensiero non solo dei teologi cattolici, ma anche dei portavoce di altre religioni, dei progressisti laicisti, degli atei, e dei filosofi pagani e antireligiosi del passato e del presente. Trova sempre qualcosa di positivo da cogliere, con gratitudine gentile per il dono… e lo pone al servizio dell’uomo. A nostra volta noi gli dobbiamo il dono della nostra gratitudine.
    Il pontificato di Benedetto XVI è giunto al termine. Il suo magistero sulla libertà perdurerà fintanto che i cuori si accenderanno alla scintilla della libertà umana e desidereranno ardentemente il fuoco dell’amore divino.

    di Paul Ryan