Piccola mappa di una disputa globale, aspra e forte

Matteo Matzuzzi

Il capo della commissione che consiglia il Papa sul governo della chiesa universale contro il capo del Sant’Uffizio. Il tutto a mezzo stampa e senza averne prima parlato con il diretto interessato – “il che è un po’ sorprendente”, nota il vaticanista Marco Tosatti. Oscar Maradiaga, l’ascoltatissimo (a Santa Marta) porporato honduregno, salesiano, strenuo nemico del capitalismo e dei grandi circoli finanziari mondiali, suggerisce a Gerhard Müller, che Hans Küng aveva bollato come il “nuovo Ottaviani” (dal nome di un celebre principe della chiesa di Pio XII che capeggiò i conservatori durante il Concilio), di mostrarsi più flessibile.

    Il capo della commissione che consiglia il Papa sul governo della chiesa universale contro il capo del Sant’Uffizio. Il tutto a mezzo stampa e senza averne prima parlato con il diretto interessato – “il che è un po’ sorprendente”, nota il vaticanista Marco Tosatti. Oscar Maradiaga, l’ascoltatissimo (a Santa Marta) porporato honduregno, salesiano, strenuo nemico del capitalismo e dei grandi circoli finanziari mondiali, suggerisce a Gerhard Müller, che Hans Küng aveva bollato come il “nuovo Ottaviani” (dal nome di un celebre principe della chiesa di Pio XII che capeggiò i conservatori durante il Concilio), di mostrarsi più flessibile. “E’ tedesco, un teologo tedesco, per lui esistono solo giusto e sbagliato”, diceva il presule al quotidiano Kölner Stadt-Anzeiger. Non ha vie di mezzo, insomma, e lo si vede bene dalla sua posizione sui divorziati risposati, questione sulla quale curia ed episcopati nazionali non se le sono mandate a dire in vista del sinodo straordinario sulla famiglia in programma il prossimo ottobre. L’attacco di Maradiaga a Müller – dice al Foglio il vaticanista dell’Espresso, Sandro Magister – spiega come “una parte dell’alta gerarchia si senta ormai autorizzata a usare con coloro che sono individuati come i tutori dell’ordine e della dottrina, la stessa disinvoltura mostrata su più fronti dal Papa in questi mesi. Diciamo che c’è un clima generale che incoraggia queste uscite”.

    Il tema scelto per il sinodo è di quelli forti, capaci di esasperare gli animi e portare allo scontro, ma che “alla fine, però, considerata la mole di istanze messe sul tavolo, potrebbe  perfino portare al nulla, a nessuna conclusione”, ipotizza Magister. D’altronde, Robert Zollitsch, capo dei vescovi tedeschi, l’aveva detto: “Al sinodo sulla famiglia faremo sentire la nostra voce”. Da quando Papa Francesco ha indetto l’assise sulla pastorale familiare, c’è stata la corsa a invocare la svolta, a riprendere in mano un tema affrontato l’ultima volta da Giovanni Paolo II trent’anni fa, con l’esortazione Familiaris Consortio, figlia del sinodo del 1980. Di tempo, da allora, ne è passato. Quel modello di famiglia non esiste quasi più, tra genitori non sposati, figli che nascono sempre meno. E poi ci sono le famiglie patchwork, assillo del cardinale principe Christoph von Schönborn. Da Friburgo, un ufficio diocesano subito annunciava la riammissione dei divorziati risposati ai sacramenti: “La fiducia e la misericordia di Dio vale anche per coloro il cui progetto di vita è fallito”, facevano sapere dalla diocesi tedesca. Tutto giusto, se non fosse che “la misericordia di Dio non è una dispensa dai comandamenti di Dio e dalle istruzioni della chiesa”, scriveva sull’Osservatore Romano del 23 ottobre il prefetto custode della fede, monsignor Gerhard Müller. “Attraverso quello che oggettivamente suona come un falso richiamo alla misericordia si incorre nel rischio della banalizzazione dell’immagine stessa di Dio, secondo la quale Dio non potrebbe far altro che perdonare. Al mistero di Dio appartengono, oltre alla misericordia, anche la santità e la giustizia; se si nascondono questi attributi di Dio e non si prende sul serio la realtà del peccato, non si può nemmeno mediare alle persone la sua misericordia”, aggiungeva il teologo scelto da Benedetto XVI e tra i primi, lo scorso settembre, a essere confermati stabilmente nell’incarico da Francesco.

    Immediate furono le reazioni a quella che sembrava una chiusura del Sant’Uffizio alle aperture papaline annunciate durante il volo aereo dello scorso luglio (compresa la prassi ortodossa di concedere ai divorziati una seconda possibilità). Sempre dalla Germania, l’arcivescovo di Monaco Reinhard Marx invitava il collega Müller a stare al proprio posto, ricordandogli che non era compito suo troncare dibattiti aperti da altri e che di tutte le questioni all’attenzione del sinodo – “che richiedono una risposta necessaria e urgente” – si sarebbe discusso in “modo ampio, con risultati che ora non so prevedere”. E poi basta parlare sempre di princìpi non negoziabili, ci vuole più flessibilità, appunto. E se qualche cardinale curiale come l’americano Raymond Burke faceva presente che quello espresso dal prefetto custode dell’ortodossia non era affatto un parere personale bensì “l’insegnamento della chiesa, che non può essere cambiato”, altri rispondevano con le citazioni estrapolate dall’intervista concessa dal Papa alla Civiltà Cattolica la scorsa estate: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto”. Parole che segnalavano un cambio di priorità nell’agenda papale, come per altro si era già capito dai rari accenni di Francesco ai temi dell’Evangelium Vitae durante la giornata dedicata (lo scorso giugno) alla grande enciclica giovanpaolina in difesa della vita. Certo, il Papa ha usato parole violente contro il crimine di uccidere i bambini non nati, ha incoraggiato i fedeli francesi a continuare la loro battaglia antiabortista. Ma la priorità ora è la missione, l’uscita in periferia, e la “pastorale missionaria non è ossessionata dalla trasmissione disarticolata di una moltitudine di dottrine da imporre con insistenza”. Ciò che serve è “un nuovo equilibrio”. Un cambio di marcia avvertito particolarmente e con conseguente spaesamento negli Stati Uniti, il contesto dove più negli anni si era acuito lo scontro tra stato e chiesa sulla triade non negoziabile. Dai pulpiti delle cattedrali, arcivescovi come Timothy Dolan si scagliavano contro le nozze gay, la riforma sanitaria promossa da Obama, l’aborto. E neppure il successore del cardinale di New York, il “moderato” Joseph Kurtz, ha cambiato le cose, anzi. Se da Roma il Papa predica attenzione ai poveri e la necessità di convertire i cuori, in America i vescovi scrivono lettere di fine anno alla Casa Bianca in cui accusano il presidente di mettere a rischio la libertà di professare liberamente la propria religione con l’Obamacare. La linea è dovuta anche al fatto “che la grande maggioranza dell’episcopato americano è conservatore ed è unito nella difesa dei princìpi non negoziabili”, dice Magister. E così sull’aborto, con la Spagna che irridisce la propria normativa e i cattolici francesi che scendono in strada esponendo beffardamente cartelli con su scritto “Sono incinta, e se lo tenessi?”. Il caso francese, aggiunge il vaticanista dell’Espresso, “rappresenta il caso opposto rispetto a quello americano. Qui si fanno le marce, si scrivono appelli, la resistenza dei fedeli c’è ed è forte. Il problema è che i vescovi, qui, non sono una presenza significativa”.

    • Matteo Matzuzzi
    • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.