
Grovigli poco armoniosi
Da politico a banchiere e ritorno. L'autodifesa (tenue) di Chiamparino
“Semel politicus, semper politicus”, una volta diventati politici lo si rimane per sempre, diceva nemmeno un anno fa Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, ricordando una frase latina cara al padre eletto nell’Assemblea costituente. “Si riferisce a Sergio Chiamparino, di cui si parla come candidato alla segreteria del Pd?”, chiese un cronista. “Oh no, non ci avevo proprio pensato. Questa è un’interpretazione maliziosa”, glissò Bazoli, che poi definì l’ex sindaco di Torino e allora presidente della Compagnia di San Paolo (principale azionista di Intesa) come “il miglior azionista che potessi avere”.
“Semel politicus, semper politicus”, una volta diventati politici lo si rimane per sempre, diceva nemmeno un anno fa Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, ricordando una frase latina cara al padre eletto nell’Assemblea costituente. “Si riferisce a Sergio Chiamparino, di cui si parla come candidato alla segreteria del Pd?”, chiese un cronista. “Oh no, non ci avevo proprio pensato. Questa è un’interpretazione maliziosa”, glissò Bazoli, che poi definì l’ex sindaco di Torino e allora presidente della Compagnia di San Paolo (principale azionista di Intesa) come “il miglior azionista che potessi avere”. Chiamparino in cuor suo non lo prese come un appello, da parte del banchiere cattolico, a restare. Tuttavia, a otto mesi di distanza, non si può negare che Bazoli avesse ragione. “Difficile contraddirlo”, dice oggi – sorridendo – Chiamparino. Ieri infatti poco dopo le 15 è rientrato a Torino e ha firmato le sue dimissioni da presidente della Compagnia di San Paolo. Dopo la sentenza del Tar che la settimana scorsa ha annullato le elezioni regionali piemontesi di quattro anni fa, Chiamparino si è detto “disponibile” per partecipare alla competizione elettorale guidando il centrosinistra. “Prim’ancora di sapere se il Consiglio di stato confermerà la scelta del Tar”, precisa.
Sarà, tuttavia le polemiche non mancano. Il tema delle “porte girevoli” tra enti elettivi e fondazioni, cioè tra politica e credito, è tornato da mesi alla ribalta, complici anche le difficoltà di istituti di credito primari, come Mps, dove criteri politici hanno prevalso su quelli manageriali. Lodovico Festa e Angelo De Mattia, su questo giornale, hanno citato proprio il caso Chiamparino: “Vorrei replicare innanzitutto sul piano formale. Primo, la Compagnia non è controllata da Torino: il comune nomina solo 2 consiglieri generali su 21. Né la Compagnia è controllata dalla regione che non è l’Autorità di vigilanza. Il Consiglio regionale nomina un consigliere su 21, e spesso non ci riesce, perciò a decidere è il Tribunale di Torino”. Gli altri li nominano le Camere di commercio locali (5) e di Roma (1), poi enti accademici e di volontariato locali. “Inoltre io ho lasciato passare un anno di ‘freezing’, dal maggio 2011 al maggio 2012, tra incarichi politici e incarichi in Fondazione. Formalmente sono al riparo da critiche”. Formalmente, l’ha detto lei. “Conta la qualità della persona. Sfido chiunque a trovare decisioni della Compagnia influenzate da pressioni politiche locali o nazionali”. Un sistema che si è dimostrato inefficiente, e a volte dannoso, ha comunque bisogno di criteri certi per separare politica e credito: “Rilancio: perché nessuno parla delle sliding doors tra fondazioni e banche allora? In generale, non credo che regole dettagliate siano un antidoto efficace. Come non è efficace il periodo di ‘freezing’ tra ruoli politici e nelle fondazioni… Lo dimostro io stesso”.
Chiamparino ammette che un “rapporto perverso c’è” nel sistema creditizio italiano, ma è “quello tra fondazioni e banche. Nel senso che le fondazioni hanno un ruolo eccessivo in un sistema finanziario chiuso. Così si arriva a risultati come quelli del Monte dei Paschi, dove la Fondazione ha fatto di tutto per restare saldamente al comando. Poi, certo, va pur detto che in tutti i paesi liberali lo stato è intervenuto dopo la crisi per puntellare le banche, mentre qui sono state le fondazioni a sostenere le ricapitalizzazioni”. Adesso però la Banca d’Italia chiede da tempo alle fondazioni un passo indietro, anche per fare largo a capitali freschi: “Ma non esiste un’Autorità di vigilanza preposta? La legge Ciampi, del 1998, imponeva alle fondazioni di lasciare il controllo delle società bancarie. Cosa ne è stato? Vede, le regole funzionano fino a un certo punto”. L’ex sindaco di Torino rivendica che grazie alla sua gestione la Compagnia di San Paolo, per esempio, è “al lavoro per gestire la migliore collocazione sul mercato di nostre azioni pari all’1,68 per cento di Intesa” (sul 9,7 per cento detenuto complessivamente).
Chiamparino insiste sul ruolo della Vigilanza che spetta al ministero dell’Economia: “Non ho da muovere appunti al ministro Saccomanni. Ma quando si è parlato di una cordata di fondazioni per rilevare la quota di Palazzo Sansedoni in Mps, ho spiegato al ministro che non ritenevo percorribile questa strada per la Compagnia. In questo modo avremmo aumentato ancora la nostra esposizione su investimenti bancari”. Dalla politica alla finanza, e ritorno: Matteo Renzi la sostiene, ma lei davvero si può ritenere un rottamatore? “No, io sono un rottamando che si salva”, replica Chiamparino. Che poi conclude: “Se sulle riforme istituzionali e sull’insopportabile carico fiscale per le imprese non si vedranno novità in tempi certi, sarà difficile evitare l’incidente tra Letta e Renzi”.


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