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Schiaffo alla vecchia Europa
Se decide Francesco chi entra cardinale poi magari esce vescovo
“Il cardinalato non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio”. Per questo, i prescelti ricevano la designazione con umiltà e stando ben lontani “da qualsiasi espressione di mondanità e da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà”. E’ questo il messaggio che il Papa manda, a mezzo lettera, ai novelli porporati. I nomi dei sedici elettori e dei tre ultraottantenni li ha letti domenica, al termine dell’Angelus.
“Il cardinalato non significa una promozione, né un onore, né una decorazione; semplicemente è un servizio”. Per questo, i prescelti ricevano la designazione con umiltà e stando ben lontani “da qualsiasi espressione di mondanità e da qualsiasi festeggiamento estraneo allo spirito evangelico di austerità, sobrietà e povertà”. E’ questo il messaggio che il Papa manda, a mezzo lettera, ai novelli porporati. I nomi dei sedici elettori e dei tre ultraottantenni li ha letti domenica, al termine dell’Angelus. C’è l’arcivescovo di Perugia, non i pastori di Venezia e Torino. Il messaggio di Francesco non poteva essere più chiaro: è finito il tempo della divisione tra diocesi di serie A, ambite perché garantivano lo “scatto di carriera”, il cappello cardinalizio, e quelle di serie B, utili ad accumulare esperienza o a espiare colpe in attesa della redenzione (o del cambio al Soglio pontificio). Con il Papa preso alla fine del mondo, può capitare che la porpora finisca in testa al vescovo di Cotabato e non all’arcivescovo di Cebu, la più grande diocesi di quel paese, le Filippine. Le prime creazioni cardinalizie di Bergoglio chiariscono che anche il pastore della più sperduta diocesi di Haiti, terra martoriata da povertà e terremoti, può diventare elettore nel prossimo Conclave. E pazienza se lui entrerà in Sistina cantando le litanie dei santi e l’arcivescovo di Torino no. Le consuetudini storiche non bastano più, il mondo è cambiato, la chiesa è vecchia in Europa e giovane in America e Africa. Insomma, basta con il “comodo criterio del si è sempre fatto così”, scriveva Francesco nell’Evangelii Gaudium. Un metodo, quello inaugurato da Bergoglio, che punta a frenare il carrierismo, l’aspirazione a essere trasferiti in diocesi grandi che tradizionalmente assegnano il cappello cardinalizio. Una deriva mondana sulla quale aveva già ammonito anni fa il cardinale Bernardin Gantin, primo africano a occupare ruoli di governo nella Santa Sede e precedessore di Joseph Ratzinger nel ruolo di decano del sacro collegio.
Se si eccettuano i ruoli curiali, quello del prossimo 22 febbraio sarà un concistoro che premierà l’America latina (cinque porpore), l’Africa e l’Asia (due a testa). Poca Europa, e non è che non ci fossero posti. Il Papa ha semplicemente scelto persone di stretta fiducia, facce conosciute, a cominciare da Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia, con il quale negli ultimi mesi più volte si è confrontato sulla situazione della chiesa italiana. Considerato unanimemente “un brav’uomo e un ottimo prete”, qualche anno fa sembrava destinato alla guida della diocesi di Firenze. Mancava solo la firma di Benedetto XVI, si disse. Ma poi entrarono in gioco le cordate e a lui fu preferito Giuseppe Betori, già segretario della Cei. Ratzinger decise comunque di spostare Bassetti – sostenitore anche del motu proprio Summorum Pontificum –, promuovendolo da Arezzo a Perugia. L’altro europeo non curiale è mons. Vincent Nichols, arcivescovo di Westminster. Rimangono senza cappello il primate di Spagna, mons. Braulio Rodríguez Plaza e soprattutto l’arcivescovo di Bruxelles, mons. André Léonard, da quattro anni impegnato a seminare nel deserto di una moderna periferia cristiana dove di cattolico è rimasta solo la cattedrale. Un uomo che giungeva le mani in preghiera mentre le attiviste di Femen gli tiravano le torte in faccia, per due volte.
“Il battesimo non si nega mai, a nessuno”
Prima dell’annuncio, il Papa aveva celebrato – dall’altare antico a muro e non da quello posticcio con le ruote coram populo – la messa nella Cappella Sistina, battezzando trentadue bambini. Tra questi, il figlio di una coppia sposata civilmente e non in chiesa. Al clamore suscitato dall’evento – che per la chiesa, salvo sacerdoti burocrati che come disse Francesco pensano più ai certificati, è da tempo routine –, basta opporre quanto disse il cardinale Jorge Mario Bergoglio in un’intervista apparsa qualche anno fa sulla rivista 30Giorni: “Negare il battesimo ai figli perché i genitori non vivono una situazione matrimoniale canonicamente in regola? Questo sarebbe come chiudere le porte della chiesa. Il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi, spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Spesso capita che questi che non erano sposati in chiesa, magari chiedano di venire davanti all’altare per celebrare il sacramento del matrimonio. I sacramenti sono per la vita degli uomini e delle donne così come sono. Che magari non fanno tanti discorsi, eppure il loro sensus fidei coglie la realtà dei sacramenti con più chiarezza di quanto succede a tanti specialisti”.


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