
Ogni uomo è due donne, così a noi provinciali la femme fa ancora effetto
Ogni uomo è “due donne”, anche tre. Non c’è solo Valérie Trierweiler, infatti, nell’avventura di François Hollande con Julie Gayet. Sullo sfondo c’è Ségolène Royal, madre dei figli del presidente della Repubblica francese. Ogni uomo fabbrica il proprio romanzo dove poter amare l’idea dell’amore segreto. E questo signore qui – di mezz’età – che se ne va a bordo di uno scooter per gettarsi dentro l’abbraccio della sua amata (una quarantenne, non una ragazzina), a noi di provincia accende quello speciale morbo che è il seducente mal francese.
Ogni uomo è “due donne”, anche tre. Non c’è solo Valérie Trierweiler, infatti, nell’avventura di François Hollande con Julie Gayet. Sullo sfondo c’è Ségolène Royal, madre dei figli del presidente della Repubblica francese.
Ogni uomo fabbrica il proprio romanzo dove poter amare l’idea dell’amore segreto. E questo signore qui – di mezz’età – che se ne va a bordo di uno scooter per gettarsi dentro l’abbraccio della sua amata (una quarantenne, non una ragazzina), a noi di provincia accende quello speciale morbo che è il seducente mal francese.
Ogni uomo è “la donna”, dunque è “tutte le donne”. E sono sempre signore a popolare l’imprevedibile destino di presidenti, ministri, amministratori delegati, impiegati e rappresentanti di commercio. A maggior ragione se poi, le signore, abitano il mistero tutto francese e tutto osé che non è silicone, sanbittèr e tavernetta ma una fragranza, uno sguardo e una colazione.
Ogni uomo è “due donne, anche tre”. E solo gli italiani della provincia, osservando in tralice quel che combinano i francesi, sanno decifrare tutto ciò. Ci aiuta Giorgio Conte: “I fiori bianchi, la tovaglia, l’uva nera, le sedie bianche e una fresca paglia”. Solo gli italiani che hanno orecchiato tutto quel cantare fatale delle donne – e Paolo Conte, giusto per vedersela con l’altro fratello, ci ha messo del suo – in tutto quel ginepraio di strade dove si perdono gli amanti, possono capire le vicende di eros. Certi uomini o certi gatti svaniscono in una nebbia o in una tappezzeria e a chi capita di tornare sotto certe carezze non serve, a far da anfitrione, un Lele Mora ma Pierre Klossowski.
Il salotto è francese, mentre il tinello è italiano. La questione è ridotta all’osso. Ed è in Francia che ci sono le cortigiane mentre in Italia – al più – abbiamo i cortigiani. E c’è, inutile dirlo, un’insormontabile differenza estetica perché gli uomini che amano l’idea dell’amore non sanno che farsene dell’immaginario sodo e maggiorato dell’italiano da consumo pop dove le bellone vengono convocate per fare il casting del Billionaire, le copertine con i calciatori e mai e poi mai a far le muse di un filosofo. A meno che valga – ricordate? – rubricandola quale eccezione, la passeggiata a Venezia di Evelina Manna con Massimo Cacciari.
Più che una patria, è una “matria” la Francia. E’ una terra tutta femmina dove chiunque, in virtù di un istinto maschio, se ne sta col bavero della giacca alzato – sigaretta in bocca – e smorfia esistenzialista. Vale ancora questo codice e siccome noi italiani non abbiamo apprezzato al meglio Sironi, perfino nell’iconografia terragna dobbiamo affidarci a “Les Joueurs de cartes” di Cézanne; abbiamo perduto Depero e dobbiamo rivolgerci sempre e comunque a Gauguin, “Femmes de Tahiti” e solo nella perentorietà aforistica della vita di provincia – la famiglia Conte, in quel di Asti, docet – ci si consente il lusso di non ridursi al rango di ferocissimi cafoni ma solo e sempre sognatori rapiti dal mal francese.
Come in letteratura.
Come si chiamava – appunto – quel tipo di Luino? Ecco, se ne partì per Parigi, trovò alloggio presso una signora da cui affittò una stanza per poi – sempre a Parigi – incontrare Valentine. S’innamorò di lei amandola anche per come lei – già dal primo giorno, con quel suo gusto perfetto – gli cambiò la carne. Gliela vestì, la polpa, di volubilità e leggerezza. La prima volta che furono a letto lui cercò di dimostrare di essere l’unico a saperci fare ma lei sfoderò tutta la feroce gradevolezza della femmina francese: “Dolcemente, per favore. Questa non è una competizione”.
I francesi lo sanno. Fu una grande francese, madame de Pompadour, a offrire la stupefazione riguardo al discorso a tutti noto: “Dunque questo è ciò che il popolo chiama il fottere? Non può essere affidato a tutti”.
Vestito di volubilità e leggerezza, anche il tipo di Luino – frutto del genio perentorio e provinciale di Piero Chiara – ebbe a capire ciò che non può essere affidato a tutti.
Un provinciale, certo, quel tipo. Aveva vinto il soggiorno in Francia con una partita a biliardo. Fu nella camera ammobiliata che trovò un paletot, il “Cappotto di Astrakan”, per consentirsi così un colpo di scena: diventare uguale a un criminale. E fu così che il tipo di Luino – grazie a un sosia, un grande criminale – incontrò la parte migliore di se stesso: il marito dell’affittuaria, nonché amante di Valentine. Ogni uomo è “due donne”. Anche tre.


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