Vie di fuga dallo scandal o dal rezalet*

Per salvarsi dallo *scandalo, Erdogan dà pure ragione ai militari

Redazione

Fethullah Gülen, l’imam miliardario in esilio in Pennsylvania, e i suoi seguaci ben radicati nella magistratura e in tutti i gangli dello stato turco “stanno cercando di fare con Erdogan quello che hanno fatto all’establishment militare con i controversi processi Ergenekon e Sledgehammer”, racconta al Foglio il corrispondente dalla Turchia di un grande giornale americano che ha chiesto di rimanere anonimo. In quei due processi i magistrati turchi annichilirono l’élite militare che aveva dominato a lungo il paese, e ora potrebbe essere il turno dell’ex alleato, il premier Recep Tayyip Erdogan.

    Fethullah Gülen, l’imam miliardario in esilio in Pennsylvania, e i suoi seguaci ben radicati nella magistratura e in tutti i gangli dello stato turco “stanno cercando di fare con Erdogan quello che hanno fatto all’establishment militare con i controversi processi Ergenekon e Sledgehammer”, racconta al Foglio il corrispondente dalla Turchia di un grande giornale americano che ha chiesto di rimanere anonimo. In quei due processi i magistrati turchi annichilirono l’élite militare che aveva dominato a lungo il paese, e ora potrebbe essere il turno dell’ex alleato, il premier Recep Tayyip Erdogan. L’ultimo mese è stato per la Turchia il più sconvolgente del decennio. Una gigantesca inchiesta che si presume manovrata da Gülen e dai suoi ha abbattuto parte della classe dirigente turca appartenente all’Akp, il partito di governo di Erdogan.

    In pochi giorni il premier ha visto sgretolarsi una parte consistente del suo potere, e dapprima è corso ai ripari, ha annunciato un rimpasto di governo, ha costretto alle dimissioni i tre ministri macchiati dalle inchieste (uno di questi, amico fedele dalla fondazione dell’Akp, ha chiesto rabbiosamente le dimissioni del premier). Poi è passato al contrattacco. Ha rimosso dal loro incarico i procuratori che si occupavano dell’inchiesta, ha allontanato o trasferito migliaia di ufficiali e agenti di polizia (più di 2.500 secondo i partiti di opposizione). Ha varato, con la preoccupazione della comunità internazionale, una serie di norme volte a estendere il controllo dell’esecutivo sul potere giudiziario. Soprattutto, ha ripetuto come un mantra la tesi che aveva già esposto durante le proteste di piazza Taksim: c’è un gruppo di potere dentro lo stato, un gruppo aiutato da potenze straniere invidiose del successo della Turchia che sta cercando di distruggere il governo democraticamente eletto dai cittadini. Erdogan è convinto che i servizi segreti americani abbiano una parte nella vicenda, ha velatamente minacciato di espellere l’ambasciatore ad Ankara, e la notizia, riportata da Intelligence Online, che l’ex direttore della Cia David Petraeus avrebbe consigliato alla società di cui è consulente, la Kkr, di ritirare tutti i suoi investimenti dalla Turchia (1,2 miliardi di dollari) appena pochi giorni prima dell’inizio degli scandali ha esaltato i suoi sospetti. Erdogan avrebbe attivato contro il movimento di Gülen il Mit (Milli Istihbarat Teskilati), i servizi segreti turchi, per individuare e isolare i membri di quello “stato nello stato” che starebbe minando la stabilità del paese. Il risultato del lavoro del Mit potrebbe essere la lista “di 2.000 alti funzionari di polizia, accademici, burocrati, giudici, procuratori e imprenditori” che il parlamentare dell’Akp Burhan Kuzu ha descritto su Twitter a inizio gennaio. “Il personaggio chiave dell’organizzazione è nella lista”, ha scritto Kuzu.

    Il personaggio chiave è Gülen, che dalla Pennsylvania gestisce un conglomerato imprenditorial-religioso che la giornalista Suzy Hansen sul New Republic ha definito simile alla massoneria o a Scientology. I suoi adepti sono disciplinati, hanno un’etica quasi calvinista del lavoro e sono ben piazzati dentro a tutte le maggiori istituzioni dello stato, nei media e nel mondo dell’imprenditoria. “Si stima che il potere elettorale del movimento di Gülen sia tra uno e cinque milioni di voti”, dice la nostra fonte dalla Turchia, “ma la sua effettiva capacità elettorale è ancora tutta da valutare”. Quello che è sicuro è che Gülen “è stato indispensabile nel fornire all’Akp la base organizzativa che ha consentito il suo successo elettorale”. Senza il sostegno di Gülen, affievolitosi e poi trasformatosi in opposizione feroce negli ultimi anni, Erdogan non esisterebbe. Senza l’aiuto dei suoi media, senza i suoi contatti con le élite dello stato, Erdogan non sarebbe mai riuscito a compiere l’impresa che fino a ieri anche i suoi più aspri critici gli riconoscevano, aver tolto la Turchia dalle mani dei militari. Ma ora che i due conglomerati che fanno capo l’uno all’imam della Pennsylvania e l’altro al vizir di Ankara e che fino all’anno scorso “erano riusciti ad appianare le loro differenze a porte chiuse” sono entrati in guerra aperta, anche questo assunto sembra vacillare. Questa settimana, mentre il premier tesseva la sua tela di complotti internazionali e di giudici che tramano contro lo stato, i militari imprigionati e umiliati dai magistrati di Gülen hanno chiesto una revisione dei loro processi. Ed Erdogan ha appoggiato le loro richieste. Perché la battaglia interna al fronte islamista è così feroce che anche i militari possono diventare un alleato inaspettato, perché tra i generali dei mille colpi di stato e le rigorose istituzioni educative di Gülen, quelle che spaventano davvero il premier sono queste ultime.

    La corrispondenza del presidente
    Il terzo protagonista di questa vicenda, il presidente della Repubblica Abdullah Gül, vecchio sodale di Erdogan, con lui cofondatore dell’Akp ma ormai proiettato verso un futuro in cui i due saranno rivali alle elezioni, si tiene riparato in attesa di muovere le sue pedine. “Gül ed Erdogan fino a poco tempo fa erano impegnati in una competizione fraterna, il loro comune obiettivo, l’avanzamento dell’islamismo conservatore in Turchia, veniva prima delle ambizioni personali. Ora questo sodalizio sembra crollato”, dice la nostra fonte. “Probabilmente aspetterà la fine dello scontro tra Gülen ed Erdogan e le elezioni locali di marzo per fare la sua mossa. E Gül, al contrario di Erdogan, ha un’assiduità notevole con il movimento di Gülen”. Pochi giorni fa i giornali turchi hanno scritto che a dicembre Gülen avrebbe inviato una lettera al presidente. Non si sa se Gül abbia risposto.