Caro Abbate, proprio tu, genio comunista, parli ancora attraverso i libri?

Pietrangelo Buttafuoco

A forza di fissarti finiva che “vinceva sempre lui”. Così era Hitler che campò fino a tutti gli anni 60 del secolo scorso in Sicilia. Il Führer – intanto che passa dicembre, vengo a saperlo – trovò ingaggio come tinteggiatore a casa Abbate, a Palermo. Tutto questo quando Fulvio – artista, fondatore di Situazionismo & Libertà, titolare di Teledurruti, la tivù monolocale da dove sparge arte e sovversione contro la P2 culturale della sinistra – era ancora bambino.

    A forza di fissarti finiva che “vinceva sempre lui”. Così era Hitler che campò fino a tutti gli anni 60 del secolo scorso in Sicilia. Il Führer – intanto che passa dicembre, vengo a saperlo – trovò ingaggio come tinteggiatore a casa Abbate, a Palermo. Tutto questo quando Fulvio – artista, fondatore di Situazionismo & Libertà, titolare di Teledurruti, la tivù monolocale da dove sparge arte e sovversione contro la P2 culturale della sinistra – era ancora bambino.

    Fulvio lo chiamava zio e un giorno lo portò con sé a scuola. C’era da parlare col signor maestro, papà e mamma avevano da fare e fu per ciò che Fulvio ci andò accompagnato da Hitler. Non erano proprio buone le notizie, anzi – intanto che passa dicembre, sorvolo su certi dettagli – ma non finì che Fulvio dovette prendersi, tra capo e collo, una robusta buccia dal Cancelliere del Reich nella veste di premuroso tutore?

    Notizie proprio pessime furono. Ma intanto che passa dicembre, carta canta. E nel libretto delle valutazioni, questo dovette leggere il Führer: “Lo scolaro Abbate Fulvio mostra intelligenza limitata e, quel che è peggio, appare dotato di scarsa volontà allo studio, per giunta non presenta alcuna attitudine, pratica però l’igiene”.

    Andava male anche in matematica, il piccolo Fulvio. E non finì che dovettero cercargli uno che lo seguisse nel doposcuola, giusto Ettore Majorana, giusto lo scienziato, quello che tutti – compreso Leonardo Sciascia – davano per scomparso? Giusto il genio della fisica teorica per fargli entrare in testa le divisioni a una cifra dovettero prendergli, a Fulvio. Non aveva però particolari qualità quel Majorana, “uno che al massimo” – leggo da “Intanto anche dicembre è passato”, il romanzo di Fulvio Abbate (edizioni Baldini&Castoldi, 15,90 euro) – “avrebbe potuto riempire un fiasco di acqua pesante, nulla di più”.

    Fu dunque un’infanzia normale, quella di Fulvio. Ebbe per papà Quattroruote e per mamma Camus nel senso che i suoi genitori leggevano uno la rivista e l’altra, invece, il fascinoso autore di “Caligula”. La madre, Gemma, diceva a Fulvio di conoscerlo bene Camus. Ne aveva avuto, diceva ancora – lo diceva sempre, “la bugiarda!” – un’ottima impressione. Si erano incontrati a Parigi, la città meta di tutti i sogni di Fulvio, ma Camus è proprio un personaggio minore in questo romanzo dove grazie un pezzo di pellicola Ferrania resta un frammento che innalzerà un punto interrogativo gnoseologico: “Perché le foto a colori sono infinitamente più brutte di quelle in bianco e nero?”. In quel pezzo di celluloide c’è Hitler seduto sui gradini della cattedrale di Cefalù, si vede e non si vede, non si capisce bene ma la domanda ricorrente fa sempre epica perché nel frattempo il Führer sparisce, viene eliminato dalla mafia e questa incursione di Cosa nostra che s’intromette nelle vicende del mondo non è patafisica, per come ci si aspetterebbe da Abbate, ma una cosa tutta risolta in un inciampo dello spirito del tempo.

    Intanto che passa dicembre, lo dico: in questo libro si specchia Fulvio. C’è lui in grande spolvero. E’ un libro che solo fosse una telecamera potrebbe registrare, nel lettore, tutta una teoria di sorrisi, risate, lacrime e stupore. Certo, stupore. Per come la letteratura – proprio adesso che i romanzi sono diventanti come i libri di poesia, tutta merce invenduta – possa accompagnare nel mondo dietro al mondo. E sarà per questo che glielo silenziano a Fulvio, il libro, quelli della P2 de sinistra. Sono quelli che sposando le più potenti ovvietà del luogo comune, tutti padroni del regime ufficiale per come sono – da “Che tempo che fa” per arrivare a “Sanremo”, per tramite dello stesso amministratore delegato, ossia Fabio Fazio – non capiscono questo genio così squisitamente comunista. Uno come Fulvio, appunto. E non ha certo bisogno di farsi accreditare al Festival di Mantova perché infine, lui, il manifesto di Situazionismo & Libertà, l’ha avuto disegnato da Wolinski e perciò non può che risultare troppo eccentrico, troppo anarchico, troppo avanti.
    Per come è lui. Come quando scrive: “I raccomandati ci hanno occupato anche i posti dalla parte del torto. E tu, stronza, mi parli ancora di Brecht?”. Ed è un parlare a se stesso. A forza di fissarti finiva che “vinceva sempre lui”.
    E dunque tu, Fulvio, parli ancora attraverso i libri?

    Post scriptum
    Lui ci voleva andare a Sanremo. Ma non lo vogliono. Ascoltate la sua canzone. Con lui Rudy Marra e la Benito Marx Orchestra. Cliccate qui.
     

    • Pietrangelo Buttafuoco
    • Nato a Catania – originario di Leonforte e di Nissoria – è di Agira. Scrive per il Foglio.