
Coraggio, manca poco al giorno della liberazione dal fantasy
Rieccoli, i tredici nani in cerca del tesoro custodito dal dragone Smaug. Uno che come zio Paperone sguazza nel forziere. Anzi, ci dorme dentro aprendo l’occhio quando viene disturbato. E qui lo importunano, eccome: Thorin Scudodiquercia intende riconquistare i beni dei nanerottoli (“feccia nanica”, per gli orchi ferocemente contrari alla missione) con l’aiuto di Bilbo Baggins (qui avvantaggiato dall’anello che rende invisibili), mentre Gandalf ha il suo daffare con le forze del male.
Rieccoli, i tredici nani in cerca del tesoro custodito dal dragone Smaug. Uno che come zio Paperone sguazza nel forziere. Anzi, ci dorme dentro aprendo l’occhio quando viene disturbato. E qui lo importunano, eccome: Thorin Scudodiquercia intende riconquistare i beni dei nanerottoli (“feccia nanica”, per gli orchi ferocemente contrari alla missione) con l’aiuto di Bilbo Baggins (qui avvantaggiato dall’anello che rende invisibili), mentre Gandalf ha il suo daffare con le forze del male. Sessant’anni prima degli avvenimenti narrati nel “Signore degli Anelli”, tratta dai romanzi di Tolkien che credevamo di aver evitato, finché non si sono ripresentati sotto forma di film. Tre più tre, essendo “Lo Hobbit” tripartito: “La maledizione di Smaug” è la seconda, la terza uscirà il Natale prossimo, e finalmente festeggeremo la liberazione dal fantasy.
Due ore e quaranta di film girato in 3D e a 48 fotogrammi invece dei soliti 24 (purtroppo la nuova tecnica di ripresa rende tutto plasticoso, come certe soap opera male illuminate). Visto nell’avvolgente formato Imax, lo spettatore viene bombardato da suoni e numeretti che servono a provare il marchingegno. Pensiamo al peggio: “Un viaggio inaspettato” cominciava con l’interminabile pranzo, malissimo sfruttato per la presentazione dei nani (che ancora non distinguiamo bene, e non può essere soltanto colpa del nostro disinteresse per le creature apparecchiate da Tolkien). Qui per fortuna son tutte battaglie e inseguimenti, ogni volta più spettacolari. Struttura da videogioco, più che da film. Un fotogramma nero e i titoli di coda fanno scattare il “game over”. Peter Jackson spinge al massimo gli effetti speciali. Con risultati alterni: non siamo sicuri che fosse necessario ficcare il naso nelle tonsille di tutti i mostri. Ragni giganteschi che imbozzolano i nani e i piedoni pelosi di Bilbo Baggings. Smaug che sputa fuoco come un altoforno. L’uomo lupo irto di tatuaggi con pettinatura anni 80 nota come mullet, capelli corti davanti per l’ufficio e lunghi dietro per la discoteca, calzoni di pelle e un gilet a rete che ricorda le canottiere esibite da Rainer Werner Fassbinder. Solo gli Elfi mantengono una certa compostezza, eccezion fatta per la rossa Tauriel (Evangeline Lilly di “Lost”). Elfa della foresta, a sangue più caldo di Legolas, combatte come una guerriera ninja e risana i moribondi come Florence Nightingale. Si innamora del nano più aitante, ed è odiata (per leso romanzo, l’hanno inventata gli sceneggiatori) dai fan di Tolkien ancor prima della battuta da commedia sofisticata: “Non vuoi perquisirmi? Potrei avere qualsiasi cosa nei pantaloni”. “Magari niente”, risponde la guerriera, che ha già un debole per lui.
Due le scene da antologia. La fuga dei nani nei barili galleggianti nel fiume, spassosa e sguaiata: grande intermezzo comico volontario (prima si era in zona “ridicolo involontario”: “Colui che maneggia il gioiello del re”). E il gran finale – provvisorio – con il drago, che nell’originale aveva la voce assassina di Benedict Cumberbatch.
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